Il fatto
Con ordinanza, giudicando in sede di rinvio disposto dalla Cassazione che a sua volta aveva riconosciuto la legittimazione attiva del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi dell’art. 324 c.p.p., rigettava l’istanza di riesame presentata da taluni curatori fallimentari di una società per azioni messa in liquidazione avverso un decreto emesso dal G.i.p. del Tribunale di Nola che aveva disposto, tra l’altro, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del saldo attivo dei rapporti di conto corrente e dei rapporti finanziari intestati alla predetta società quale indebito risparmio conseguito dalla società per avere il legale rappresentante della medesima omesso il versamento, in relazione all’anno di imposta 2013, delle ritenute dovute quale sostituto d’imposta entro il termine previsto per la presentazione della relativa dichiarazione annuale.
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Sequestri e confische
Aggiornata alla recente giurisprudenza, l’opera affronta le diverse misure di contrasto alla ricchezza illecita, con un taglio pratico-operativo utile al Professionista per comprendere l’ambito di applicazione dei sequestri e delle varie tipologie di confisca, tra cui quella disposta nell’ambito della criminalità organizzata di stampo mafioso.Una trattazione dettagliata è dedicata alle molteplici ipotesi di sequestro disciplinate dal codice di procedura penale, nell’ambito della quale si analizza la disciplina delle misure cautelari reali e del sequestro probatorio con riferimento sia ai profili sostanziali che a quelli processuali.Oggetto di un’ampia e articolata disamina è, poi, l’ipotesi classica di confisca, con riferimento alla quale si analizzano la confisca facoltativa e la confisca obbligatoria e si illustrano le problematiche relative all’applicazione di tale forma di ablazione nel procedimento di applicazione della pena concordata dalle parti (patteggiamento).Dalla fattispecie tradizionale di confisca si procede all’esame delle singole ipotesi di confisca speciale, analizzandone le criticità applicative e i possibili rimedi; il lavoro si conclude con un’approfondita analisi delle misure di prevenzione patrimoniali.L’intera opera si completa con la trattazione dei profili processuali, legati all’iter di applicazione della misura e ai mezzi di impugnazione.Luigi CaprielloAvvocato presso il foro di Reggio Calabria.
Luigi Capriello | 2020 Maggioli Editore
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso l’indicata ordinanza, i curatori del fallimento della società s.p.a. in liquidazione, per il tramite dei difensori di fiducia nonché procuratori speciali, proponevano ricorso per cassazione affidato a quattro motivi così enunciati: 1) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), assumendo la curatela ricorrente che il Tribunale cautelare, pur avendo correttamente sintetizzato i motivi dell’istanza di riesame sub 4) e 6) riguardanti, rispettivamente il fatto che il sequestro si riferisca a somme rese disponibili sul conto corrente solo successivamente al momento di consumazione del reato e che tali somme, pertanto, non rappresentino il profitto del reato, avrebbe poi omesso di esaminare detti motivi non essendo sufficiente, ad avviso del ricorrente, valorizzare la natura fungibile del denaro per qualificare come profitto l’oggetto del sequestro come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (si indicava, al proposito, Sez. 3, n. 22061 del 23/01/2019); 2) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis e 322-ter c.p. lamentando la curatela ricorrente che il Tribunale avrebbe errato nell’interpretazione del concetto di profitto il quale, nel contestato reato omissivo ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, non si identifica per importi superiori ai saldi attivi giacenti sui conti bancari e/o postali di cui il contribuente disponeva alla scadenza del termine per il pagamento, nè per somme di danaro acquisite successivamente alla consumazione del reato fermo restando che tale conclusione non si poneva in contrasto con i principi affermati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (sentenze n. 10561 n. 31617) che riguardavano le diverse ipotesi in cui “le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute” della somma che costituisce il profitto del reato; nel caso in esame, invece, si sarebbe in presenza di un mero risparmio d’imposta che non era “accrescitivo“; 3) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis e art. 322-ter c.p. dato che, ad avviso della curatela ricorrente, il Tribunale cautelare avrebbe errato nel ritenere che integrino il profitto del reato le somme di denaro frutto dell’attività di recupero credito da parte del curatore fallimentare dopo la consumazione del reato medesimo e depositate su un conto corrente intestato al fallimento; 4) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, art. 322-ter c.p., art. 42 L. Fall., artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p. assumendosi che, nel caso di specie, la disponibilità dei beni sarebbe stata in capo non alla società fallita, ma alla curatela, essendo il fallimento stato dichiarato prima del sequestro, come si desume dall’art. 42 L. Fall., con la conseguenza che, per la difesa, il fallimento era da considerarsi “terzo” rispetto all’autore del reato e, pertanto, ove, come nella specie, sia intervenuta la sentenza di fallimento e, di conseguenza, la persona giuridica abbia perso la disponibilità dei beni in favore della curatela, il sequestro non è più ammissibile anche considerando che si tratta di somme di denaro frutto dell’attività recuperatoria posta in essere dal curatore; oltre a ciò, si evidenziava come sarebbe stata irrilevante la circostanza, valorizzata dal Tribunale, secondo cui si sarebbe trattato di una confisca obbligatoria sia perché non è il carattere obbligatorio della confisca che determina la pericolosità intrinseca della res, sia perché il fallito non aveva più la disponibilità dei beni.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Gli Ermellini osservavano in via preliminare come, nelle more del giudizio, fossero intervenute le Sezioni Unite le quali, nel comporre un contrasto giurisprudenziale, avevano affermato il principio secondo cui il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale (Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019).
Pertanto, alla stregua di ciò, alla curatela fallimentare, deve riconoscersi, ad avviso del Supremo Consesso, come già ritenuto dalla sentenza rescindente, la legittimazione ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza del Tribunale distrettuale che aveva rigettato l’istanza di riesame ex art. 322 c.p.p..
Ciò posto, il primo motivo veniva stimato fondato con assorbimento dei motivi residui.
In particolare, si faceva presente che se è esatto, come ricordato dal Tribunale cautelare, che le Sezioni Unite hanno affermato che, ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. Un., n. 10561 del 30/01/2014 nonché Sez. Un., n. 31617 del 26/06/2015, dep. 21/07/2015) e ciò, implicitamente, proprio perché la natura fungibile del bene, che, come sottolineato dalle Sezioni Unite n. 31617/2015, si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ed è tale da perdere – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita; “ciò che rileva”, proseguono le Sezioni Unite, è che “le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo”, ma, proprio in ragione di ciò, ed in senso esattamente corrispondente, seppure a contrario, al principio enunciato dalle Sezioni Unite, ove si abbia invece la prova che tali somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato (come appunto nel caso in cui le stesse, come nella specie, siano corrispondenti a rimesse effettuate dal curatore fallimentare successivamente alla scadenza del termine per il versamento delle ritenute), di talché le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte (ovvero, in altri termini del “risparmio di imposta” nel quale la giurisprudenza ha costantemente identificato il profitto dei reati tributari), le stesse non sono sottoponibili a sequestro difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro, come quello di specie, in via diretta e ciò, a maggior ragione ove le somme siano rinvenute, in connessione con la stessa ragione della loro corresponsione, in un conto corrente intestato non già alla società, bensì al fallimento; in altri termini, il denaro versato successivamente alla data di consumazione del reato non può essere ritenuto “profitto” del reato ma rappresenta un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato eventualmente aggredibile con un provvedimento ablativo se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente.
Oltre a ciò, si notava come quanto sin qui esposto fosse in linea con la costante giurisprudenza della Cassazione secondo cui, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito (Sez. 3 n. 41104 del 12/07/2018; Sez. 3 n. 6348 del 04/10/2018).
Tal che se ne faceva conseguire come l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro di sequestro preventivo dovessero essere annullati senza rinvio limitatamente all’importo eccedente la somma di Euro 1.006,03 Euro disponendone la restituzione agli aventi diritto.
Conclusioni
La decisione in esame è interessante specialmente nella parte in cui si spiega quando, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si afferma che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito.
Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare se, nel caso di sequestro preventivo funzionale alla confisca avente ad oggetto somme di denaro depositate su un conto corrente bancario, tale misura cautelare reale sia stato correttamente disposta o meno.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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