Secondo l’Adunanza Plenaria il termine decennale previsto dall’articolo 114 comma 1 c.p.a. può essere interrotto anche con atto stragiudiziale

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Compiendo un’ampia disamina dell’istituto della prescrizione e del giudizio di ottemperanza, il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 24 del 4/12/2020 ha affermato che il termine decennale previsto dall’articolo 114 comma 1 c.p.a. può essere interrotto anche con atto stragiudiziale volto a conseguire quanto spetta in base al giudicato.

I fatti ad oggetto del giudizio

Con la sentenza n. 180 del 23 aprile 2001, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha accolto l’appello in riforma della sentenza n. 2223 del 1997 del TAR per la Sicilia, Sezione di Catania, ha dichiarato la sussistenza del loro diritto di ottenere alcune differenze retributive spettanti al dante causa, oltre rivalutazione ed interessi, per il lavoro prestato dal 1 agosto 1980 al 31 luglio 1985, a seguito della rideterminazione della decorrenza giuridica della nomina a professore associato.

Gli interessati in data 5 aprile 2011, hanno notificato la sentenza all’Università ed al Ministero dell’università e della ricerca scientifica (entrambi soccombenti nel giudizio di cognizione) ed in data 9 luglio 2019, hanno diffidato le Amministrazioni al pagamento di euro 86.846,74.

Con il ricorso d’ottemperanza n. 67 del 2020, proposto al Consiglio di giustizia amministrativa, i ricorrenti hanno chiesto che siano disposte le misure volte alla esecuzione del giudicato.

L’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria

Il Consiglio di giustizia amministrativa ha rimesso all’esame dell’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

a) se il termine di prescrizione decennale dell’actio iudicati previsto dall’art. 114 c. 1 c.p.a. riguardi il diritto di azione o il diritto sostanziale riconosciuto dal giudicato;

b) se, ritenuta la prescrizione riferita all’azione processuale, secondo il chiaro tenore letterale dell’art. 114 c. 1 c.p.a., il termine di prescrizione possa essere interrotto esclusivamente mediante l’esercizio dell’azione (come sembra desumersi dall’Adunanza plenaria n. 5/1991 resa anteriormente all’entrata in vigore del c.p.a. del 2010), (anche davanti a giudice incompetente o privo di giurisdizione e fatti salvi gli effetti della translatio iudicii) o anche mediante atti stragiudiziali volti a conseguire il bene della vita riconosciuto dal giudicato;

c) se, pertanto, al di là del nomen iuris di prescrizione utilizzato dall’art. 114, comma 1, c.p.a., il termine di esercizio dell’actio iudicati operi, nella sostanza, come un termine di decadenza, al pari di tutti gli altri termini previsti dal c.p.a. per l’esercizio di azioni davanti al giudice amministrativo, e si presti, pertanto, ad una esegesi sistematica e armonica con l’impianto del c.p.a.;

d) se, in subordine, ove si ritenesse che l’art. 114 c. 1 c.p.a. vada interpretato nel senso di consentire atti stragiudiziali di interruzione dell’actio iudicati, non si profili un dubbio di legittimità costituzionale della previsione quanto meno in relazione agli artt. 111 e 97 Cost., per violazione dei principi di ragionevole durata dei processi e di buon andamento dell’Amministrazione.

Nell’ordinanza di rimessione emerge la posizione del Consiglio di giustizia amministrativa sulla questione di diritto, laddove viene prospettata la non condivisibilità della tesi che ammette atti interruttivi stragiudiziali dell’actio iudicati, sostenendo che il processo amministrativo si caratterizza per il principio secondo cui ‘il termine per l’azione è interrotto solo ed esclusivamente dall’esercizio dell’azione e non da atti stragiudiziali’. Inoltre, il Consiglio di giustizia amministrativa condivide i principi di diritto dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 1991, la quale ha dato ‘per presupposto che solo l’esercizio dell’actio iudicati può interrompere il relativo termine. Il giudice remittente, peraltro, sostiene che seguendo ‘la concezione estensiva degli atti interruttivi’, l’azione sarebbe proponibile ‘senza limiti, potendosi ipotizzare ‘atti interruttivi stragiudiziali fatti nell’imminenza dello scadere dei dieci anni, reiterati ogni dieci anni’, col conseguente dubbio che l’art. 114, comma 1, del c.p.a. si ponga in contrasto con gli articoli 111 e 97 Cost., sotto i profili della ragionevole durata dei processi e del buon andamento della pubblica amministrazione.

L’evoluzione della normativa in tema di giudizio di ottemperanza e della prescrizione

Il giudizio d’ottemperanza è stato per la prima volta disciplinato dall’art. 4, n. 4, della legge n. 5992 del 31 marzo 1889, istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato. Tale articolo, poi trasfuso nei testi unici sul Consiglio di Stato approvati con i regi decreti n. 6166 del 1889, n. 638 del 1907 e n. 1054 del 1924, ha testualmente ammesso la proponibilità del rimedio solo per eseguire il ‘giudicato dei tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico’.

Il Consiglio di Stato, in seguito, ha ammesso il ricorso d’ottemperanza anche nel caso di mancata esecuzione di proprie decisioni, dapprima nel caso di lesione di un diritto soggettivo di un dipendente, nel sistema della giurisdizione esclusiva prevista dalla legge n. 2840 del 1923, e poi nel caso di mancata emanazione di un atto ulteriore dopo l’annullamento di un diniego o di esecuzione della sentenza d’annullamento di un titolo abilitativo rilasciato ad un terzo.

Per quanto attiene alla prescrizione, d’altra parte, con l’entrata in vigore del codice civile del 1942, vi è stata una profonda modifica della disciplina. Oltre alla disciplina sul termine ordinario in dieci anni (art. 2946) e sui termini più brevi, anche presuntivi (artt. 2948-2952; 2954-2957), il codice del 1942 all’art. 2953, ha specificamente disciplinato l’actio iudicati, disponendo che ‘i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni’; all’art. 2943, quarto comma, ha previsto che la prescrizione è interrotta ‘da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore’.

Sotto il profilo lessicale, va rimarcato che – mentre l’art. 90 del regio decreto n. 642 del 1907 e l’art. 2135 del codice civile del 1865 si sono riferiti all’‘azione’ e alle ‘azioni’ e dunque a nozioni ‘processuali’ – l’art. 2953 del codice civile del 1942 si è invece riferito ai ‘diritti’ e dunque ad una nozione ‘sostanziale’, facendo sorgere la perdurante discussione se l’istituto della prescrizione riguardi il diritto o l’azione.

L’Adunanza Plenaria 26 agosto 1991, n. 5 si è richiamata al principio secondo il quale il termine richiamato l’art. 90 del regio decreto del 1907 si dovesse intendere ‘non interrompibile’ quando si agiva in ottemperanza per la tutela di un interesse legittimo, con il corollario della necessaria proposizione del ricorso entro il termine decennale, pena la conseguente prescrizione.

La sentenza

Il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 24 del 4/12/2020 sostiene che in tale quadro normativo e giurisprudenziale, nel codice del processo amministrativo è stato inserito l’art. 114, comma 1, che in tema di giudizio d’ottemperanza dispone che ‘l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza’.

L’Adunanza Plenaria compie un’ampia disamina degli istituti e dell’evoluzione della normativa in tema di giudizio di ottemperanza e della prescrizione. In particolare, interpreta, dapprima sotto il profilo lessicale, l’art. 114, comma 1, il quale ha sancito la ‘regola della prescrizione decennale’ riferendosi alla proponibilità della ‘azione’ di esecuzione del giudicato e non al rilievo del decorso del tempo sulle posizioni giuridiche oggetto del giudicato, a differenza di quanto ha previsto l’art. 2953 del codice civile. Ad avviso dell’Adunanza Plenaria, il legislatore si è consapevolmente riferito alla prescrizione della ‘azione’, senza fare riferimento alle posizioni giuridiche oggetto del giudicato. Per quanto riguarda l’actio iudicati riguardante il giudicato (del giudice civile o del giudice amministrativo) avente per oggetto diritti, non vi era alcuna lacuna da colmare, proprio perché già gli articoli 2953 e 2943, quarto comma, del codice civile del 1942 hanno sancito le regole della prescrizione decennale e della sua interrompibilità. Per quanto riguarda l’actio iudicati riguardante il giudicato avente per oggetto interessi legittimi, invece, il legislatore – nel tenere conto del precedente dibattito – ha ritenuto di non trasporre in legge il principio che la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 1991 aveva enunciato. Infatti, l’art. 114, comma 1, ha introdotto la diversa regola per la quale in ogni caso è ‘interrompibile’ il termine di prescrizione decennale, quando si agisce con l’actio iudicati: non rileva sotto tale profilo la posizione soggettiva di cui si chieda tutela al giudice dell’ottemperanza. Da tale comma, si desume chiaramente la determinazione del legislatore di qualificare come termine di prescrizione e non di decadenza quello entro il quale è proponibile il ricorso d’ottemperanza: non si può ritenere che il legislatore abbia utilizzato termini aventi un significato diverso da quello attribuibile in base alle nozioni generali.

La scelta del legislatore è stata dunque quella di disporre regole unitarie per l’actio iudicati, quanto al tempo della proposizione del ricorso d’ottemperanza, con riferimento sia ai diritti che agli interessi.

Ad avviso della Adunanza Plenaria, tale scelta risulta coerente con il principio di effettività della tutela e con la giurisprudenza costituzionale, in quanto: l’art. 1 del codice del processo amministrativo dispone che ‘la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo’, senza distinguere i diritti dagli interessi, aventi pari dignità ai sensi degli articoli 24 e 103 della Costituzione; più volte la Corte Costituzionale, anche con le sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, ha evidenziato lo stretto legame che intercorre tra gli interessi e i diritti devoluti dalla legge alla giurisdizione amministrativa esclusiva, sicché si giustifica un regime giuridico unitario dell’actio iudicati.

Infine, la regola generale della interrompibilità del termine decennale di prescrizione dell’actio iudicati non  risulta in contrasto con gli articoli 97 e 111 della Costituzione, in quanto l’Amministrazione risultata soccombente nel giudizio di cognizione ha il dovere di dare esecuzione d’ufficio al giudicato e la mancata esecuzione del giudicato si pone in sé in contrasto con il principio del buon andamento dell’azione amministrativa.

Il principio di diritto

Sulla base di tale quadro normativo desumibile dall’art. 114, comma 1, del c.p.a., ed in risposta ai quesiti sollevati dall’ordinanza di rimessione il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 24 del 4/12/2020 enuncia il seguente principio di diritto:

Il termine decennale previsto dall’art. 114, comma 1, del c.p.a. in ogni caso può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale volto a conseguire quanto spetta in base al giudicato.

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Dott.ssa Laura Facondini

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