Ancora sulla posizione del proprietario incolpevole nel caso di abbandono incontrollato di rifiuti di cui all’art. 192 del Codice dell’Ambiente e sul diritto al risarcimento nel caso di ripristino spontaneo dello stato dei luoghi

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SOMMARIO 1. Inquadramento del problema 2. L’accertamento della responsabilità e l’onere di istruttoria 3. La posizione del proprietario 4. La posizione dell’amministrazione 5. La sentenza n. 7657 del 3 dicembre 2020 della quarta sezione del Consiglio di Stato 6. Rilevanza di circostanze tipiche in ordine all’elemento soggettivo: l’omessa recinzione e predisposizione di un sistema di videosorveglianza 7. L’omessa attivazione dei rimedi civilistici a tutela della proprietà nel caso di illegittima occupazione del fondo 8. La rimozione dei rifiuti e il ripristino “spontaneo” del sito a spese del proprietario 9. Prospettive risarcitorie 10. La responsabilità dell’amministrazione 11. Il computo dei danni

Di recente sono state – in questa stessa rivista[1] – spese ampie considerazioni sulla potenziale responsabilità del proprietario incolpevole del fondo nel caso di sversamento incontrollato di rifiuti. Si era infatti avvertita la necessità di indagare il complesso e articolato assetto giurisprudenziale disegnato, in epoca recente, dallo stratificarsi sull’argomento della giurisprudenza del Consiglio di Stato e dei Tribunali Amministrativi.

Ebbene, a breve distanza dalle precitate riflessioni, in subiecta materia è intervenuta la sentenza n. 7657 del 3 dicembre 2020 della quarta sezione del Consiglio di Stato, che ha affrontato in prospettiva in parte nuova alcune delle questioni sottese al problema, confermando poi nella sostanza – ma con nuovi sviluppi – gli orientamenti radicatisi negli ultimi anni a Palazzo Spada e nelle precedenti riflessioni già richiamati.

Inquadramento del problema

È appena il caso di ricordare che tanto il previgente decreto “Ronchi”[2] all’art. 24, quanto il nuovo Codice dell’Ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) all’art. 192, contengono norme di identico tenore e – salvo alcune limature[3] – di pressoché corrispondente formulazione, in forza delle quali è sancito il divieto di abbandono incontrollato di rifiuti sul (e nel) suolo e di immissione in qualsiasi forma nelle acque. Le norme prevedono poi che «chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa», oltre le sanzioni.

Il nuovo Codice ha espressamente disposto, rispetto al previgente Decreto Ronchi, che l’eventuale responsabilità del proprietario debba essere accertata in contraddittorio, con ciò rimarcando l’opportunità di serie garanzie procedimentali, profondamente avvertita nella prassi.

Nel caso di abbandono incontrollato di rifiuti, dunque, il Sindaco[4] emette ordinanza con cui dispone le necessarie operazioni di rimozione finalizzate al ripristino dello stato dei luoghi. Tale ordinanza ha come destinatario naturale il responsabile dell’inquinamento[5] e, solo nel caso di corresponsabilità e secondariamente, il proprietario, nei termini che comunque diffusamente si vedranno appresso.

L’accertamento della responsabilità e l’onere di istruttoria

In questo quadro generale, si inserisce un fondamentale problema di ordine pratico, le cui conseguenze hanno suscitato attenzione nella prassi e sono state più volte condotte all’attenzione del giudice amministrativo.

L’individuazione del responsabile dell’inquinamento non sempre è agevole e, anche ove lo sia, spesso accade che l’ordine nei confronti di tali soggetti si riveli inutiliter dato, perché incapienti o tendenzialmente indisponibili a provvedere al ripristino del sito nel breve tempo. È infatti evidente che l’interesse al tempestivo ripristino sieda solo nel proprietario e che, ove i responsabili dell’inquinamento dilazionino l’adempimento dell’ordinanza, l’intervento solo sussidiario dell’amministrazione richieda in concreto il decorso di un tempo insostenibilmente lungo. È quindi dato della prassi che, nelle spire di tali vicende, il proprietario interessato al ripristino immediato si veda costretto a provvedere in proprio.

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Le responsabilità della pubblica amministrazione

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La posizione del proprietario

Ma, basti ricordarlo, il proprietario non è almeno di norma tenuto alla bonifica in proprio, non essendo il destinatario naturale del provvedimento sindacale. Anzi, il tessuto normativo contempla la possibilità soltanto condizionata di attingerlo con l’ordinanza ai sensi dell’art. 192, ossia quando di questo si provi la corresponsabilità nell’inquinamento.

Tale prova richiede l’individuazione della condotta, anche solo per omissione, causalmente inserita nella concatenazione fattuale causativa del danno, e dell’elemento soggettivo, inteso che la predetta condotta deve essergli addebitabile a titolo di dolo o colpa.

Il sistema rifugge infatti qualsiasi forma di responsabilità oggettiva del proprietario, in piena ottemperanza al principio europeo del “chi inquina paga”.

La posizione dell’amministrazione

Si è detto che l’ordinanza ex art. 192 deve attingere in via principale i responsabili dell’inquinamento. Secondo la giurisprudenza consolidatasi in relazione al recente contenzioso amministrativo[6] in subiecta materia, l’Amministrazione è onerata di un serio e articolato onere procedimentale, dovendo compiere ogni necessaria attività istruttoria al fine di individuare i concreti responsabili dell’inquinamento.

Questo orientamento consente anche di superare una degenerazione della prassi che, considerata l’agevole possibilità di rivolgersi al proprietario e, anche in ragione della ben più frequente capienza economica e disponibilità operativa di quest’ultimo, tendeva a ridirigergli l’ordinanza.

Ove l’amministrazione intenda rivolgersi al proprietario dovrà quindi anzitutto esaurire pur sempre l’istruttoria per l’individuazione del responsabile dell’inquinamento e sempre e in ogni caso si vedrà costretta a fornire la prova della corresponsabilità, ma anche a discuterla in contraddittorio, alla luce dell’inserto normativo che caratterizza il precetto del Decreto Ronchi trapiantato nel nuovo Codice dell’Ambiente[7].

La sentenza n. 7657 del 3 dicembre 2020 della quarta sezione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato – in una controversia relativa a uno sversamento di rifiuti occorso nella vigenza del Decreto Ronchi, ma con considerazioni ugualmente valide oggi nel prisma dell’art. 192 del Codice dell’Ambiente – ha ribadito i principi supra sinteticamente richiamati. SI tratta della recentissima sentenza n. 7657 del 3 dicembre 2020 della quarta sezione.

In quella sede il giudice d’appello ha anzitutto ribadito che il proprietario incolpevole può essere attinto dall’ordinanza di ripristino dei luoghi unicamente ove sia positivamente riscontrata la sua corresponsabilità nell’inquinamento, validata dalla sussistenza dell’elemento soggettivo, ossia il dolo o la colpa, ma ha fornito nuove e più profonde considerazioni su alcuni aspetti nuovi: come tale responsabilità debba essere accertate e quali conseguenze si ricolleghino alla condotta del proprietario incolpevole che però proceda spontaneamente alla rimozione dei rifiuti.

Rilevanza di circostanze tipiche in ordine all’elemento soggettivo: l’omessa recinzione e predisposizione di un sistema di videosorveglianza

La pronuncia si caratterizza peculiarmente perché affronta anzitutto il dibattuto problema della condotta omissiva del proprietario incolpevole e della sua rilevanza in termini di corresponsabilità. Il giudice è infatti chiamato a decidere in prima istanza se l’omessa recinzione del fondo sia di per sé elemento indiziario colpevole della responsabilità del proprietario.

Come avevamo sommessamente immaginato già prima d’oggi[8], l’omessa recinzione in sé non costituisce elemento sufficiente in tal senso, sia per la dispendiosità dell’opera, sia per l’effetto dissuasivo scarsamente rilevante.

Lo stesso giudice ricostruisce l’orientamento del proprio ufficio, tanto in sede giurisdizionale[9] quanto in sede consultiva[10], per confermare che «l’omessa recinzione del suolo non costituisce ex se un indice di negligenza nella vigilanza sul fondo da parte del proprietario, essendo oltre tutto le recinzioni scarsamente dissuasive in determinati contesti». Ricorda, a ulteriore conferma, che la recinzione si configura come una mera facoltà del proprietario e che dunque non è ragionevolmente esigibile. Il che rileva a maggior ragione quando il fondo abbia una estensione e una morfologia tale da rendere l’opera di perimetrazione e recinzione economicamente dispendiosa e logisticamente complessa.

Il giudice esclude parimenti che possa configurarsi in capo al proprietario un obbligo di presidiare il fondo mediante l’utilizzo di un sistema di video-sorveglianza, anche in ragione dei conseguenti oneri economici tanto di acquisto, quanto di manutenzione.

L’omessa attivazione dei rimedi civilistici a tutela della proprietà nel caso di illegittima occupazione del fondo

Infine, la sentenza esclude che – ove l’inquinamento sia conseguenza di una illecita stabile occupazione abusiva del proprio terreno[11] – il proprietario sia tenuto all’attivazione di (probabilmente infruttuosi[12]) rimedi civilistici, quali l’esercizio dell’azione di spoglio, ove egli abbia comunque più volte sollecitato le competenti autorità di pubblica sicurezza, chiedendone l’intervento per la repressione dell’illecito (di rilevanza penale) e l’adozione di ogni provvedimento di tutela della proprietà.

È significativo che si dia rilievo, nel percorso argomentativo della pronuncia, alla circostanza che l’amministrazione fosse ben a conoscenza della situazione del fondo, per avervi condotto un sopralluogo, e dunque sapesse che lo sversamento era dipeso dalla condotta di terzi e, nonostante questo, l’ordinanza fosse stata emessa nei confronti del proprietario.

Tale rilievo rinsalda le già rassegnate conclusioni per cui è richiesto un severo onere istruttorio all’amministrazione di individuare i responsabili dell’inquinamento e di rivolgersi a questi, limitando l’intimazione al proprietario al solo caso di comprovata corresponsabilità.

La rimozione dei rifiuti e il ripristino “spontaneo” del sito a spese del proprietario

Ciò premesso quanto alla responsabilità del proprietario e all’onere “difensivo” del fondo, la sentenza sviluppa rilevanti riflessioni sull’ipotesi – come già anticipato non di certo infrequente – in cui sia effettivamente il proprietario incolpevole a bonificare dai rifiuti l’area.

Le riflessioni, nella specifica pronuncia, riguardano un proprietario colpito da un’ordinanza ai sensi dell’art. 192 Codice dell’Ambiente rivelatasi poi illegittima, ma sembrano estensibili al caso del proprietario non destinatario del provvedimento e dunque parimenti incolpevole.

La sentenza riconosce che, nel caso in cui sia stato infine il proprietario a provvedere alla rimozione dei rifiuti e al ripristino del sito, pur non ricorrendo i presupposti per l’emissione anche nei suoi confronti dell’ordinanza ai sensi dell’art. 192 del Codice dell’Ambiente, possa configurarsi un diritto risarcitorio.

Prospettive risarcitorie

La sentenza di primo grado aveva respinto la richiesta risarcitoria avanzata dal privato, nel presupposto che l’attività di rimozione e bonifica garantisse un incremento del valore del bene, di cui non si poteva gravare in manleva l’amministrazione.

Il Consiglio di Stato esclude invece che una tale attività rappresenti una locupletazione, trattandosi della mera rimozione di un pregiudizio patrimoniale subito, la cui responsabilità è riconducibile proprio all’amministrazione, per non aver gravato delle relative attività, almeno nel caso esaminato, anche i responsabili dell’inquinamento, ma solo la proprietà.

In effetti, la tesi del primo giudice collide con l’evidente rilievo che l’attività di bonifica, imposta illegittimamente al proprietario, ha il solo scopo di ripristinare lo stato dei luoghi antecedente allo sversamento di rifiuti e non di arricchire il valore del bene. All’esito, il proprietario subisce quindi il saldo negativo dei costi di pulizia e non ne ricava invece, come ritenuto dal primo giudice, alcun vantaggio economico.

Parrebbe dunque potersi concludere che ove l’omessa individuazione dei responsabili dell’inquinamento dipenda dall’inefficace istruttoria dell’amministrazione o dalla sua inerzia, sussista una responsabilità risarcitoria.

La responsabilità dell’amministrazione

In effetti, il giudice esclude che le spese sostenute per la rimozione dei rifiuti diano luogo a richieste risarcitorie dirette nei confronti dei soli responsabili dell’inquinamento, come avrebbe voluto l’amministrazione. Ciò sull’assunto che l’omesso esercizio dei poteri (o meglio poteri-doveri) amministrativi nell’interesse generale, sia autonomo capo di responsabilità in quanto ai sensi dell’allora vigente art. 21 d.lgs. n. 22 del 1997, la “gestione dei rifiuti urbani” competeva ai Comuni, i quali avevano la responsabilità di vigilanza sul territorio e di “assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani”.

La violazione di tali doveri procura evidentemente una responsabilità che, nello specifico caso esaminato, è ancor più grave in quanto l’amministrazione nemmeno avrebbe dovuto compiere alcuna istruttoria per individuare i responsabili dell’inquinamento, in quanto questi erano chiaramente noti. Ciò determina una responsabilità dell’amministrazione per essere rimasta colpevolmente inerte.

Sicché, l’amministrazione è responsabile in quanto «nonostante la risalente conoscenza della situazione e le ripetute segnalazioni della società, non solo non è per lungo tempo intervenuto con i poteri previsti dall’ordinamento, ma ha alfine scaricato su di essa il costo della bonifica, spendendo potestà pubblicistiche in palese difetto dei presupposti di legge».

 

Il computo dei danni

Sul computo del risarcimento dovuto dall’Amministrazione in ordine alle spese di ripristino e pulizia del fondo, vale rilevare come il Consiglio di Stato abbia inteso rimettere l’esatta determinazione del quantum a un accertamento in contraddittorio tra le parti.

In particolare, atteso che le spese documentate dal proprietario comprendevano anche la realizzazione di una nuova recinzione, il giudice ha specificato che quest’ultima opera non può dirsi compresa nel compendio economico risarcibile e ha dunque invitato il privato e l’amministrazione all’accertamento in contraddittorio dell’esborso economico effettivamente collegato alle sole attività di pulizia e ripristino del fondo.

Da questi rilievi si evince l’approdo quantificatorio della pronuncia, che riconosce la rifondibilità unicamente delle spese effettivamente e concretamente sostenute, cui si aggiungono – forfettariamente – i danni patiti per la mancata fruibilità dell’area nel periodo in cui era occupata dai rifiuti (patrimoniali e non patrimoniali).

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Note

[1] Sia consentito il richiamo a D. Gambetta, Abbandono incontrollato di rifiuti: la posizione del proprietario incolpevole nella recente giurisprudenza amministrativa a margine dell’art. 192 del Codice dell’Ambiente, in questa rivista, 16 novembre 2020.

[2] Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, di attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.

[3] È stata infatti operata un’inserzione in ordine alla corresponsabilità del proprietario («in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo») sulla quale si tornerà diffusamente.

[4] E solo lui, non anche i dirigenti, checché si voglia argomentare in virtù della devoluzione generale ex lege prevista dall’art. 107, comma 5, del Testo Unico degli Enti Locali (D. lgs. 18 agosto 2000, n. 267), in quanto – come espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza in subiecta materia – l’art. 192 si pone in termini di norma speciale e successiva, prevalente sulla disciplina generale del TUEL.

[5] Destinatario naturale che è individuato sulla base dell’espressa previsione della normativa dell’art. 192 Codice dell’Ambiente e già del previgente decreto Ronchi.

[6] Su tutte T.A.R. Campania, sez. V, 15 settembre 2020, n. 3840.

[7] Su cui si veda infra.

[8] Sull’argomento D. Gambetta, Abbandono incontrollato di rifiuti: la posizione del proprietario incolpevole nella recente giurisprudenza amministrativa a margine dell’art. 192 del Codice dell’Ambiente, in questa rivista, 16 novembre 2020.

[9] Richiamando sez. IV, 15 dicembre 2017, n. 5911; id., 4 maggio 2017, n. 2027; Sez. V, 22 febbraio 2016, n. 705.

[10] Sez. I, 15 giugno 2020, n. 1192; id., 27 febbraio 2020, n. 496.

[11] Nel caso oggetto della sentenza in commento, l’inquinamento era stato causato dall’illegittima occupazione del suolo da parte di un campo nomadi che si era ivi stabilmente insediato e che aveva dunque cagionato lo sversamento di rifiuti. La proprietà del suolo aveva più volte notiziato le competenti autorità dell’occupazione.

[12] Così almeno con riguardo al caso specifico.

Avv. Gambetta Davide

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