Profili di responsabilità
La responsabilità medica consegue ai danni cagionati ai pazienti da errori od omissioni dei sanitari.
Come è noto, infatti, gli enti ospedalieri e le aziende sanitarie sono responsabili dei danni causati ai pazienti dai medici che prestano servizio presso la struttura.
La responsabilità civile per tali danni ha natura contrattuale. La riforma legislativa apportata dalla Legge 24/2017 (Legge Gelli) ha del resto stabilito che “la struttura sanitaria che si avvalga di operatori, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti, risponde sempre contrattualmente ex art. 1218 – 1228 c.c., della loro condotta dolosa e colposa”.
La disposizione si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramoenia, ma anche nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
Risulta invece extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., la responsabilità dell’operatore sanitario, salvo che non abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale di prestazione sanitaria assunta con il paziente.
Ciò con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di prescrizione (quinquennale per la responsabilità extracontrattuale, decennale per la responsabilità contrattuale) e di onere della prova.
L’onere della prova
Nel caso in cui il paziente offeso da malpractice, voglia far valere i propri diritti, dovrà dunque provare sia l’evento dannoso, sia il nesso causale tra la condotta del sanitario, nella sua materialità, e cioè a prescindere dalla negligenza e dall’evento dannoso.
Solo dopo che questi abbia adempiuto a tali oneri, il medico (o la struttura) è chiamato a dimostrare di aver adempiuto esattamente o che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile.
Il nesso di causa e quindi la colpa del medico non è configurabile quando il peggioramento delle condizioni di salute sia dipeso da una circostanza eccezionale e non prevedibile.
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Il punto di vista della Cassazione
Sul punto, peraltro, si è recentemente espressa la Suprema Corte che con sent. n.5128 26/2/2020 ha stabilito che:” Ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile”.
Il profilo risarcitorio
Venendo ora al profilo risarcitorio, occorre differenziare le varie tipologie di danno che possono affliggere la vittima di malasanità. Le conseguenze negative che il paziente abbia subito o subirà a causa della lesione della sua integrità fisica, le spese che dovrà sostenere per le cure necessarie e l’assistenza di cui dovrà avvalersi, oltre all’eventuale perdita di reddito futuro configurano il danno patrimoniale da questi patito.
Le tipologie di danno non patrimoniale
Qualora invece si accerti una lesione del diritto alla salute, alla integrità fisica e morale del paziente il danneggiato avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale.
Vengono così in considerazione il danno permanente o biologico (danno all’integrità psico-fisica), il danno morale (da sofferenza più o meno prolungata) il danno esistenziale (danno alla vita di relazione sociale).
A causa di un errore medico il paziente potrebbe subire, come si accennava, un aggravamento del proprio stato di salute o riportare una lesione permanente che non ha nulla a che vedere con la patologia per la quale era ricorso all’intervento dei sanitari.
In questo caso andrá accertato, sotto il profilo medico-legale, quale sia l’entità della lesione permanente subita.
Ciò avviene tramite l’utilizzo di tabelle medico-legali utilizzate per accettare il così detto “danno biologico”.
In caso di lesioni permanenti (danno biologico) il danneggiato avrà diritto ad un risarcimento commisurato all’entità della lesione, ovvero al punteggio di invalidità riconosciutogli (da 1% a 100%).
Inoltre dovrà essergli risarcito il “danno biologico temporaneo”, ovvero gli dovrà essere riconosciuta una sorta di diaria giornaliera per ogni giorno di ulteriore ricovero ospedaliero (dovuto agli effetti dell’errore medico) e per ogni giorno di successiva cura e riabilitazione, sino alla stabilizzazione dei postumi permanenti.
Al danneggiato spetta ancora il risarcimento del danno morale, consistente nel patema d’animo subito dalla vittima dell’illecito.
Il danno non patrimoniale andrà poi personalizzato con riferimento ad eventuali ulteriori ripercussioni che la lesione fisica o la malattia abbiano avuto sugli aspetti relazionali, affettivi e di realizzazione della propria personalità umana.
La legittimazione dei parenti
Non si trascuri infine che i parenti del paziente che sia deceduto a causa della responsabilità dei sanitari o abbia subito gravi lesioni o il peggioramento delle proprie condizioni di salute, sono legittimati a richiedere il risarcimento del danno dagli stessi patito.
Si pensi, ad esempio, ai genitori di un neonato che abbia subito gravi menomazioni, a causa di una errata diagnosi prenatale o per via di imperite manovre mediche durante il parto; o al caso della moglie che ha perso il marito durante un intervento chirurgico dall’esito mortale.
In questi casi i parenti hanno un titolo proprio per richiedere il risarcimento dei danni patrimoniali o morali subiti.
In caso di contenzioso, dunque, il paziente danneggiato ed i parenti agiranno congiuntamente al fine di ottenere il ristoro dei danni, ciascuno in base al proprio diritto.
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