(Riferimento normativo: D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 11, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27)
Il fatto
Il Tribunale di Venezia, adito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., dichiarava l’inammissibilità un appello proposto dal ricorrente avverso un’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Rovigo con la quale era stata respinta la richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari applicata nei confronti del ricorrente.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Con atto a firma del difensore di fiducia, l’imputato chiedeva l’annullamento del provvedimento deducendo violazione di legge e vizio della motivazione per avere il Tribunale dichiarato l’inammissibilità dell’appello perché trasmesso a mezzo PEC e non presentato nelle forme previste per le impugnazioni dagli artt. 582 e 583 c.p.p., richiamate anche per il procedimento cautelare ex art. 309 c.p.p., comma 4.
Si doleva in particolare il ricorrente di come il Tribunale avesse preso sicura cognizione dell’atto trasmesso via PEC avendo fissato l’udienza camerale tenuto conto che l’appello era stato trasmesso via PEC nel rispetto dei diversi provvedimenti organizzativi emessi dal Presidente del Tribunale che prevedevano il deposito degli atti urgenti tramite posta certificata come da provvedimenti presidenziali organizzativi per fronteggiare l’emergenza pandemica allegati in copia (il primo in data 12/03/2020, l’ultimo del 24/04/20).
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva reputato inammissibile per manifesta infondatezza.
Sì osservava a tal proposito che il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 11, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, contenente le misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 in materia di giustizia penale, civile, tributaria e militare, nel prevedere l’utilizzo del mezzo telematico di trasmissione come unico mezzo di deposito degli atti, per i soli uffici che hanno già attivo il servizio di deposito telematico degli atti, si riferisce esclusivamente ai procedimenti civili, poiché richiama le disposizioni della D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, comma 1-bis, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, che riguarda il deposito telematico degli atti nei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione innanzi ai tribunali e innanzi alle corti di appello, con le modalità previste dalla normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
Quindi, secondo gli Ermellini, il riferimento alla trasmissione degli atti urgenti contenuto nelle disposizioni organizzative dei capi degli uffici giudiziari non può certamente ritenersi esteso ai mezzi di impugnazione previsti nei procedimenti penali in assenza di una disposizione di legge che lo preveda non essendo peraltro neppure ancora stato istituito il c.d. fascicolo penale telematico (vedi sul punto, Sez. 5, n. 12949 del 05/03/2020) così che sarebbe senz’altro contraria alla legge una disposizione organizzativa che avesse autorizzato per la proposizione dei mezzi di impugnazione forme diverse ed alternative rispetto a quelle legali.
Ciò posto, oltre a quanto sin qui esposto, veniva tra l’altro dedotta l’assoluta genericità del motivo di ricorso che non indicava in quale parte dei numerosi e articolati provvedimenti organizzativi del Presidente del Tribunale di Venezia si possa ritenere che sia stato autorizzato il deposito a mezzo PEC per la proposizione dell’appello cautelare previsto dall’art. 310 c.p.p. non essendo evidentemente sufficiente l’allegazione dei predetti provvedimenti presidenziali ed il richiamo generico del loro intero contenuto a soddisfare il requisito della specificità delle ragioni in fatto ed in diritto che condiziona l’ammissibilità del ricorso essendo onere di chi adduce l’esistenza di una determinata disposizione regolamentare, non costituente fonte di legge, indicarne in modo puntuale gli estremi per consentirne l’individuazione, in specie quando si tratti di testi composti da numerosi articoli.
Del resto, veniva oltre tutto osservato come la decisione impugnata fosse comunque in linea con il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme stabilite dalla legge per la presentazione dei mezzi di impugnazione che esclude l’ammissibilità dell’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della posta elettronica certificata (c.d. PEC) in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p. – espressamente richiamato dall’art. 309, comma 4, che, a sua volta, è richiamato dall’art. 310 c.p.p., comma 2, – sono tassative e non ammettono equipollenti stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC (Sez. 3 n. 38411 del 13/04/2018; Sez.1, n. 16356 del 20/03/2015).
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si postula che il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 11, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, contenente le misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 in materia di giustizia penale, civile, tributaria e militare, nel prevedere l’utilizzo del mezzo telematico di trasmissione come unico mezzo di deposito degli atti, per i soli uffici che hanno già attivo il servizio di deposito telematico degli atti, si riferisce esclusivamente ai procedimenti civili e non può ritenersi esteso ai mezzi di impugnazione previsti nei procedimenti penali in assenza di una disposizione di legge che lo preveda.
Tale decisione, dunque, deve essere presa nella dovuta considerazione ogniqualvolta si debba presentare un mezzo di impugnazione in materia penale al fine di evitare che esso venga dichiarato inammissibile.
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