Quando l’abusiva occupazione di un bene immobile può risultare scriminata dallo stato di necessità

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(Annullamento con rinvio)

(Riferimenti normativi: Cod. pen., art. 54, 633)

Il fatto

La Corte di Appello di Messina confermava la sentenza emessa dal giudice di prime cure della stessa città con cui le imputate erano state ritenute colpevoli di concorso in abusiva occupazione di un alloggio del competente IACP, condannandogli alla pena ritenuta di giustizia.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la decisione summenzionata proponevano ricorso per Cassazione le imputate adducendo plurimi vizi di motivazione e violazioni di legge quanto all’esclusione della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p., al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed al complessivo trattamento sanzionatorio.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il motivo comune riguardante la mancata configurazione della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p. veniva stimato fondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal riguardo che la Cassazione (Sez. 3, sentenza n. 5924 del 18/03/1983) ha, da tempo risalente, ammesso che, ai fini della configurazione della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p., nel concetto di “danno grave alla persona“, in armonia con quanto stabilito dall’art. 2 della Costituzione, possano farsi rientrare anche alcune situazioni che minacciano solo indirettamente l’integrità fisica dell’agente ovvero che, ancor più in generale, attentano alla complessa sfera dei beni attinenti alla personalità morale di esso tra le quali ben possono rientrare anche quelle connesse all’esigenza di ottenere un alloggio ovvero di soddisfare uno dei bisogni primari della persona, nel rispetto dei principi costituzionali che riguardano i diritti fondamentali della persona umana fermo restando che tale interpretazione estensiva del concetto di “danno grave alla persona“, mediante l’inclusione dei diritti inviolabili, impone, tuttavia, una attenta e penetrante indagine, diretta a circoscrivere la sfera di azione della causa di giustificazione ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità della condotta antigiuridica e della inevitabilità del pericolo, tenuto anche conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi, involontariamente coinvolti, che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate.

Ciò posto, gli Ermellini facevano inoltre presente come la giurisprudenza più recente avesse precisato che l’occupazione arbitraria di un appartamento di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari può essere scriminata ex art. 54 c.p. solo in presenza del pericolo attuale di un danno grave alla persona non coincidendo la predetta causa di giustificazione dello stato di necessità con l’esigenza dell’agente di reperire un alloggio e risolvere i propri problemi abitativi (Sez. 2, sentenza n. 4292 del 21/12/2011) facendosene conseguire da ciò che l’abusiva occupazione di un bene immobile può risultare scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo e quindi che la causa di giustificazione de qua può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva le proprie esigenze abitative (Sez. 2, sentenza n. 10694 del 30/10/2019).

In applicazione del principio, i giudici di piazza Cavour denotavano come la causa di giustificazione in questione fosse stata configurata in relazione all’occupazione arbitraria di un alloggio di proprietà dello IACP in quanto l’imputata, dopo un litigio con il marito, con il quale condivideva un alloggio insalubre, si era trovata con la propria figlioletta priva di riparo in una situazione così grave ed eccezionale che l’amministrazione comunale del luogo aveva poi requisito l’appartamento per destinarlo a residenza temporanea del nucleo familiare della donna (Sez. 2, sentenza n. 24290 del 19/03/2003) mentre era stata annullata con rinvio, per difetto di motivazione, la sentenza di merito che aveva ritenuto l’imputata responsabile del reato di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell’IACP senza in alcun modo prendere in esame la rappresentata esistenza di condizioni che avrebbero potuto rendere configurabile lo stato di necessità (Sez. 2, sentenza n. 35580 del 27/06/2007).

Detto questo, quanto all’onere probatorio, si metteva in risalto il fatto che, anche per questa causa di giustificazione, vale la regola dettata in generale dall’art. 530, comma 3, c.p.p., a norma del quale, se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione, ovvero vi è dubbio sull’esistenza di essa, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione: l’imputato è, pertanto, gravato da un mero onere di allegazione, soddisfatto il quale, l’onere della prova “negativa” quanto alla configurabilità della causa di giustificazione (la cui configurabilità sia stata specificamente allegata dall’imputato) incombe, secondo i principi generali, sulla pubblica accusa.

Ciò premesso, secondo quanto prospettato nella sentenza qui in commento, le imputate avevano, con il corrispondente motivo di appello, compiutamente e dettagliatamente allegato una situazione di estremo disagio ed in particolare l’impossibilità di procurarsi altrimenti un alloggio all’indomani dell’esecuzione dello sfratto per morosità dall’alloggio che occupavano in precedenza; necessità resa ancor più cogente per tutelare la salute della minorenne con esse convivente (affetta anche da gravi problemi di salute) asseritamente documentandone i presupposti.

Per tale ragione, ad avviso del Supremo Consesso, aveva errato la Corte di Appello nel disattendere il motivo affermando che le imputate non avevano compiutamente documentato il ricorrere delle condizioni per la configurabilità dell’invocata causa di giustificazione: come premesso, le imputate erano gravate da un mero onere di allegazione, senza dubbio soddisfatto, ed il relativo onere di prova negativa – previa verifica fattuale, in concreto, della corrispondenza al vero di quanto allegato e documentato dalle imputate, e successiva valutazione di rilevanza ai fini de quibus – incombeva sulla parte pubblica mentre, residuando il dubbio, s’imponeva una decisione di assoluzione ex art. 530, comma 3, c.p.p.

Per altro verso, rilevavano sempre gli Ermellini nella pronuncia in esame, se è vero che attraverso l’occupazione abusiva di un edificio di edilizia popolare non è possibile ovviare in maniera duratura all’impossibilità di procurarsi un alloggio, deve tuttavia rilevarsi che la Corte di appello aveva omesso del tutto di considerare se, quanto meno in fase genetica (ed in caso affermativo fino a quale momento) lo stato di necessità evocato (asseritamente conseguente all’esecuzione di una sentenza di sfratto per morosità, in ipotesi cagionato dall’assoluta indigenza delle imputate) potesse legittimare, almeno per un periodo iniziale, l’accertata occupazione, rendendo meno grave il reato agli effetti della commisurazione del complessivo trattamento sanzionatorio (in particolare, nonostante la situazione di estremo disagio allegata dalle imputate, risultano negate le circostanze attenuanti generiche “tenuto conto della lunga durata dell’occupazione”).

Ciò posto, una volta affermato che questa statuizione assorbiva le ulteriori doglianze, la Cassazione postulava che, per le considerazioni svolte, il ricorso doveva essere accolto e la sentenza impugnata doveva essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Reggio Calabria che avrebbe dovuto colmare le lacune motivazionali dianzi evidenziate attenendosi al seguente principio di diritto: Ai fini della configurazione di una causa di giustificazione, l’imputato è gravato da un mero onere di allegazione, essendo tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze altrimenti ignoti che siano in astratto idonei, ove riscontrati, a configurare in concreto la causa di giustificazione invocata; ove tale onere di allegazione sia positivamente adempiuto dall’imputato, l’onere di dimostrare la non configurabilità della causa di giustificazione invocata grava sulla parte pubblica e, nei casi in cui residui il dubbio sull’esistenza di essa, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si spiega quando l’abusiva occupazione di un bene immobile può risultare scriminata dallo stato di necessità.

In particolare – dopo essere stato affermato che l’abusiva occupazione di un bene immobile può risultare scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo e quindi che la causa di giustificazione de qua può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva le proprie esigenze abitative – viene postulato che l’imputato è gravato da un mero onere di allegazione, soddisfatto il quale, l’onere della prova “negativa” quanto alla configurabilità della causa di giustificazione (la cui configurabilità sia stata specificamente allegata dall’imputato) incombe, secondo i principi generali, sulla pubblica accusa nel senso che l’imputato è gravato da un mero onere di allegazione essendo tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze altrimenti ignoti che siano in astratto idonei, ove riscontrati, a configurare in concreto la causa di giustificazione invocata mentre, ove tale onere di allegazione sia positivamente adempiuto dall’imputato, l’onere di dimostrare la non configurabilità della causa di giustificazione invocata grava sulla parte pubblica fermo restando però che, nei casi in cui residui il dubbio sull’esistenza di essa, il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare se la condotta delittuosa preveduta dall’art. 633 c.p. possa ritenersi scriminata a norma dell’art. 54 c.p..

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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