Il fatto
La vicenda ha origine dal ricorso incidentale proposto dalla banca per violazione o falsa applicazione degli artt. 2934, 2935 e 2946 c.c. per non avere il giudice di appello riconosciuto la prescrizione della ripetizione dell’indebito riguardo al periodo ulteriore rispetto ai dieci anni prima dell’atto interruttivo. In particolare la banca contesta alla Corte distrettuale di non aver ridotto l’importo dovuto nei confronti del correntista (come determinato dal CTU) non avendo tenuto conto che la prescrizione delle rimesse solutorie decorre dal momento in cui le stesse sono attuate e che, quindi, in un conto corrente scoperto, qual era quello oggetto della controversia, andassero esclusi, per il periodo oltre i dieci anni dalla domanda, gli addebiti illegittimi di interessi pagati con le rimesse aventi detta natura.
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La decisione della corte di cassazione
Con riferimento al suindicato ricorso incidentale, la Corte evidenzia che il giudice di seconde cure ha errato nel richiamare la pronuncia della Corte Cost. n. 78 del 2012, con cui è stata dichiarata l’incostituzionalità del D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 61, convertito in L. n. 10 del 2011, secondo cui – in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente – l’art. 2935 c.c., si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa.
Tale decisione, invero, non assume rilievo. Dirimente ai fini della prescrizione è, invece, secondo la Corte, la distinzione tra rimesse solutorie e/o ripristinatorie offerta dalla Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418.
Nella fattispecie le Sezioni Unite affermavano che l’azione di ripetizione del cliente della banca che si doglie della nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito è soggetto al termine di prescrizione decennale, “la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto”.
La pronuncia muove dal rilievo per cui non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito.
Saranno considerati versamenti indebiti da parte del correntista soltanto quelli che determinino uno spostamento economico (indebito) nei confronti della banca: non certamente, quindi, le rimesse ripristinatorie che, come noto, ampliano (ripristinano) la facoltà d’indebitamento del correntista, non costituiscono “pagamenti”; pertanto la prescrizione della loro domanda di ripetizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto.[i]
In altri termini, con riferimento alle rimesse ripristinatorie, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti: per essi, quindi, la prescrizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. [ii]
Lo spostamento patrimoniale a favore della banca, invero, si avrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento.
Secondo tale interpretazione solo le rimesse solutorie possono essere inquadrate nell’ambito dell’art. 2033 c.c.[iii] con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre, per esse, dal momento in cui abbiano avuto luogo.
Il principio di diritto
La Corte di Cassazione formula, quindi, il seguente principio di diritto: “In materia di contratto di conto corrente bancario, la decorrenza della prescrizione delle rimesse solutorie, operate cioè su di un conto in passivo, quando non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure su di un conto scoperto, essendo i versamenti destinati a coprire quella parte del passivo eccedente il limite dell’accreditamento, matura sempre dalla data del pagamento”.
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Note
[i] La definizione è tratta da CASSAZIONE – La prescrizione delle rimesse solutorie e ripristinatorie della domanda di ripetizione di indebito portata dal correntista – Magistra Banca e Finanza, 28.08.2020.
[ii] Cassazione Civile, sez. VI, sent. n. 14958 del 14/7/2020.
[iii] Ai sensi del quale “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto [1189] ha diritto di ripetere ciò che ha pagato
[1185 comma 2, 1463, 1952 comma 3]. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se
chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda
[1148, 2036; 39 l.f.].”(Brocardi.it).
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