Riferimenti normativi: articoli 1803, 1809 e 1810 c.c. – comodato precario – recesso ad nutum – conferma l’orientamento giurisprudenziale precedente
La vicenda
I proprietari agivano in giudizio per richiedere il rilascio di alcuni beni immobili all’interno dei quali veniva esercitata un’attività commerciale.
Sia il Giudice di primo grado che la Corte d’Appello di Palermo rigettavano la domanda. Alla base di entrambe le sentenze, i Giudici di merito ritenevano di essere in presenza di un contratto di comodato. Al riguardo, entrambi i Giudici di merito rilevavano che la semplice concessione degli immobili per soddisfare esigenze commerciali della convenuta fosse di per sé sufficiente a dotare detto contratto di un implicito termine di durata (art. 1809 c.c.), con la correlativa esclusione della possibilità di ottenere la restituzione dei beni a semplice richiesta (art. 1810 c.c.).
Gli attori decidevano di ricorrere per Cassazione, contestando, in particolare, che la Corte d’Appello di Palermo fosse giunta a individuare un implicito termine di durata del contratto di comodato esclusivamente in base alla mera destinazione di detti beni a sede della società.
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Il comodato ordinario e precario
Ai sensi dell’art. 1803 c.c. il comodato è quel negozio giuridico col quale una parte (detta comodante) consegna all’altra (detta comodatario) una cosa mobile o immobile, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Nella definizione di comodato, fornita testualmente dal codice civile, si legge che il bene è consegnato al comodatario affinché quest’ultimo se ne serva per un tempo o per un uso determinato.
Tuttavia, è bene precisare che il nostro codice civile prevede anche un’altra ipotesi disciplinata all’art. 1810 c.c., rubricato “comodato senza determinazione di durata”; tale figura è anche nota come comodato precario e riguarda la fattispecie secondo cui al negozio giuridico non è apposta alcuna durata o vi è l’impossibilità di desumerla dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata.
Le conseguenze sul piano pratico non sono di poco conto.
Invero, qualificando la fattispecie nel cd. comodato precario di cui all’art. 1810 c.c. è possibile ottenere la restituzione del bene a semplice richiesta del comodante, ossia ad nutum. Al contrario, qualificando la fattispecie nell’alveo di cui all’art. 1809 c.c., la restituzione immediata, ossia prima della scadenza del termine o dell’uso della cosa, è subordinata solo alla sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno del comodante.
A titolo esemplificativo, la giurisprudenza è concorde nel far rientrare nell’art. 1809 c.c. il caso tipico in cui il bene immobile viene concesso in uso quale abitazione di un nucleo familiare; in tale ipotesi, si discorre infatti di contratto sorto per un uso determinato e dunque, come è stato osservato, per un tempo determinabile per relationem, che può essere cioè individuato in considerazione della destinazione a casa familiare[1]. Di conseguenza, sempre in tale ipotesi, il rilascio dell’immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c., solo nell’ipotesi di un bisogno contrassegnato dall’urgenza e dall’imprevedibilità).
Il percorso logico giuridico della giurisprudenza
Nel caso affrontato all’interno dell’ordinanza in commento non si versa nell’ipotesi di cui all’art. 1809 c.c., bensì in quella di cui all’art. 1810.
Invero, la Suprema Corte di Cassazione, inserendosi nel filone giurisprudenziale consolidato, prende le mosse dal principio di diritto secondo cui “il termine del comodato può risultare dall’uso cui la cosa deve essere destinata solo se tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo”[2].
Poste tali premesse, richiamando un precedente giurisprudenziale in un caso simile, la Suprema Corte statuisce che l’apposizione di un termine derivante dall’uso a cui la cosa è destinata non può in alcun modo desumersi dal mero svolgimento di un’attività commerciale al suo interno. In caso contrario, prosegue la Suprema Corte, si correrebbe il rischio di rendere di fatto un comodato sine die nel caso in cui lo svolgimento dell’attività commerciale non abbia alcun termine[3].
Una siffatta conclusione, precisa molto opportunamente la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento, sarebbe irragionevole all’interno del nostro ordinamento, posto che verrebbe snaturata la causa del negozio giuridico.
Pertanto, in assenza di altre prove di segno contrario, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile non permette di identificare all’interno del negozio stesso un termine implicito tale da ricondurlo nell’alveo di cui all’art. 1809 c.c., bensì di configurare un comodato a titolo precario ex art. 1810 c.c., di per sé revocabile dietro semplice richiesta del comodante.
Principio di diritto
Il principio di diritto che ne deriva e che si inserisce nell’orientamento giurisprudenziale prevalente è il seguente: “la circostanza che un immobile concesso in comodato sia destinato a una specifica attività non è sufficiente per ritenere il relativo contratto soggetto a un termine implicito, sicché il comodante può domandare la restituzione del bene prima della cessazione di tale attività”.
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Note
[1] Così, Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 29/09/2014 n. 20448. Si vedano anche Cass. nn. 2627/06, 13603/04, 3553/2017 nonché Cass. Civ., sentenza 21/06/2011 n. 13592.
[2] Così Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza del 25/06/2013 n. 15877; anche Cass. Civ.,Sez. Un., Sentenza del 09/02/2011 n. 3168.
[3] Si veda Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza del 18/11/2014 n. 24468).
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