Premessa
Il principio ne bis in idem impone di non procedere per lo stesso fatto, nei confronti del medesimo imputato, giudicato in via definitiva.
In Italia è stabilito dall’art. 649 c.p.p. e circoscritto al settore penale. Il principio è riconosciuto anche in ambito eurounitario, art. 50 Carta di Nizza, e dei paesi del Consiglio d’Europa, art. 4 prot. 7 CEDU.
Quest’ultimo ha una portata più ampia, perché la Corte EDU lo estende al settore degli illeciti amministrativi ma sostanzialmente penali, per come a sua volta interpretati dalla Corte EDU stessa[1]. Da ciò deriva il dubbio se il sistema italiano a doppio binario sanzionatorio, in materia fiscale[2] e market abuse[3], sia, o meno, “convenzionalmente” legittimo.
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Il primo tassello: Grande Stevens
Nel 2014 Strasburgo ha condannato l’Italia (sentenza Grande Stevens[4]): i ricorrenti, per lo stesso fatto[5] sono stati sanzionati in via definitiva con un provvedimento amministrativo[6], e imputati in un processo penale.
La Corte EDU ha ritenuto la sanzione, formalmente amministrativa, fosse di natura penale perché con funzione deterrente, non compensatoria[7]. Si boccia, in ogni caso, il sistema del doppio binario sanzionatorio eventualmente predisposto negli ordinamenti nazionali.
A seguito di tale condanna è stata sollevata questione di legittimità costituzionale[8] della fattispecie amministrativa, e, in via subordinata, dell’art. 649 c.p.p., rispetto all’art. 117 integrato dall’art. 4 prot. 7. L’accoglimento dell’una, o dell’altra, avrebbe condotto a esiti speculari[9]. Nel primo, applicabilità della sola fattispecie penale, nel secondo amministrativa. Ma la Consulta[10] ha dichiarato inammissibili i quesiti, ha «deciso… di non decidere»[11].
Il secondo tassello: A&B
Nel 2016 la Corte EDU (A&B c. Norvegia[12]) fa “un passo indietro”[13], affermando il principio secondo il quale non è violato il ne bis in idem nel caso di celebrazione di un processo penale nonostante l’imputato per lo stesso fatto sia già stato sanzionato in via definitiva dall’amministrazione, purché tra i due procedimenti intercorra «a sufficiently close connection in substance and time»: l’autorità che procede successivamente all’irrogazione di una prima sanzione, anche definitiva, può procedere e irrogarne una seconda purché:
- I procedimenti perseguano scopi complementari e riguardino differenti aspetti della medesima condotta; nel caso di specie la sanzione amministrativa[14], oltre ad una finalità deterrente, ha anche funzione compensatoria[15]
- La doppia perseguibilità fosse prevedibile
- Vi sia un’attività probatoria “coordinata”
- Nella seconda sanzione si sia tenuto conto di quella già inflitta per garantire una proporzionalità tra condotta e sanzione complessiva[16]
- Vi sia un collegamento cronologico sufficiente vicino per evitare incertezza, ritardo e l’eccessiva lunghezza dei tempi di definizione[17].
Connessione temporale non significa necessaria simultaneità, ma maggiore è lo scarto temporale, maggiore sarà l’impegno chiesto allo Stato per giustificare il ritardo.
La pronuncia della Corte EDU ha esplicato i suoi effetti anche rispetto all’analogo principio in ambito UE: l’art. 50 della Carta di Nizza ha lo stesso significato e portata di quello CEDU grazie ala “clausola al rialzo” che collega i due corpi normativi[18]. Solo la norma UE[19], “chiara precisa e incondizionata”, ha efficacia diretta nell’ordinamento interno, con la conseguenza che il giudice nazionale è autorizzato a disapplicare la disciplina interna eventualmente in contrasto con la prima; mentre la CEDU è priva di efficacia diretta. Nel caso in cui il giudice nazionale riscontrasse un contrasto tra norma interna e convenzionale tuttalpiù, potrebbe proporre questione di legittimità costituzionale della prima.
Anche la Corte di Giustizia si è pronunciata[20] ribadendo che il principio può trovare delle limitazioni, specificando che debbano essere previsti dei meccanismi normativi che permettano il coordinamento tra i due procedimenti; coordinamento «volto a ridurre allo stretto necessario l’onere supplementare che un simile cumulo comporta»[21], non si fa riferimento invece al requisito della connessione temporale.
La Corte di Giustizia non può esercitare la propria influenza rispetto alle vicende interne, quindi spetta al giudice nazionale assicurarsi che, tenuto conto delle circostanze fattuali, l’incombenza derivante dall’applicazione della disciplina nazionale non sia eccessiva rispetto alla gravità del reato commesso.
Però la Corte chiarisce che la prosecuzione del processo, formalmente amministrativo, supera quanto strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo della disciplina perché la sanzione dell’illecito penale è già sufficientemente severa. Si tratterebbe si un difetto di proporzione inevitabile perché la sanzione penale dovrebbe essere già da sola «idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva»[22], con la conseguenza che, un ulteriore sanzione comporterebbe, per la parte corrispondente, una sproporzione tra la gravità del fatto e il trattamento sanzionatorio complessivo. Si tratta di una «circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare»[23].
La risposta italiana
La Cassazione[24] ha ritenuto di potere valutare essa stessa la proporzionalità del cumulo sanzionatorio[25] e si è espressa nel senso della prevalenza del processo penale, e della pena a esso conseguente, al fine di adeguare il complessivo trattamento sanzionatorio ammettendo l’opportunità di non applicare la sanzione formalmente amministrativa, mentre è residuale il caso inverso[26]. Ha specificato inoltre che per valutare la proporzionalità e adeguatezza delle sanzioni si deve avere in riferimento la pena concretamente irrogata e non edittale[27].
Per concludere, con la sentenza A&B la Corte EDU sembra aver “stravolto” la lettura del principio del ne bis in idem, rendendolo inoperante come canone processuale quando ci si ponga oltre il diritto penale in senso stretto, cioè quando si tratta di una materia che non costituisce il “nocciolo duro”[28] del diritto penale, con la conseguenza che le garanzie penalistiche non si applicano in tutto il loro rigore. Si degrada il canone ad ancillare rispetto alla proporzionalità, cioè come canone che permette lo svolgimento di due procedimenti, purché al momento dell’irrogazione della seconda sanzione si tenga conto di quella precedentemente irrogata; o, eventualmente, come presidio contro l’eccessiva durata del procedimento nel caso in cui il secondo si protragga per molto tempo oltre la definizione del primo[29].
La pronuncia è criticabile perché il criterio della “connessione sostanziale e cronologica sufficientemente stretta” tra i due procedimenti è vago e arbitrario: si tratta solo d’indici che si prestano ad ambiguità, manipolabili dall’interprete a piacimento; con buona pace del principio secondo cui il ne bis in idem dovrebbe garantire da un doppio procedimento, non semplicemente da una doppia condanna[30].
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Note
[1] C. d. Criteri Engel (Corte EDU, Sezione Plenaria, 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi, caso n. 5100/71) in cui si valorizza, non solo la qualificazione giuridica interna, ma anche la natura dell’illecito e la gravità della sanzione.
[2] Si tratta della fattispecie di omesso versamento di IVA, che costituisce reato ex art. 10-ter d.lgs. 74/2000 nel caso in cui per la stessa condotta si sia già concluso il procedimento di accertamento dell’illecito tributario ex art. 13 comma 1 d.lgs. 471/1997. Lo stesso dicasi per la fattispecie di omessa dichiarazione IRPEF e IVA ex art. 5 comma 1 d.lgs. 74/2000 al fine di evadere l’imposta, se lo stesso fatto sia già stato perseguito come illecito amministrativo ai sensi rispettivamente dell’art. 1 comma 1 e 5 comma 1 del d.lgs. 477/1997.
[3] Ci si riferisce al sistema normativo contenuto nel Titolo I-bis del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, c.d. t.u.f. Più specificamente, le fattispecie penali sono contenute negli artt. 184 e 185; quelle amministrative negli artt. 187-bis e 187-ter. Il regime di “doppia perseguibilità” è reso manifesto dalla clausola di apertura delle fattispecie amministrative, secondo la quale sono “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato” (il quale ha un significato speculare rispetto all’espressione “salvo che il fatto costituisca reato”), che sembra integrare una deroga al c.d. principio di specialità (art. 9 l. 681/1989) che regola i rapporti tra sanzioni penali e amministrative; dall’art. 187-duodecies, rubricato “Rapporti tra procedimento penale e procedimento amministrativo e di opposizione”, ove esplicitamente si fa riferimento ai “medesimi fatti”; nonché dall’art. 187-terdecies, rubricato “Esecuzione delle pene pecuniarie e delle sanzioni pecuniarie nel processo penale”, all’interno del quale si disciplina l’applicazione della pena pecuniaria e della sanzione amministrativa pecuniaria per il medesimo fatto, specificando che, quando per lo stesso fatto è stata applicata una sanzione amministrativa pecuniaria «la esazione della pena pecuniaria […] è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall’Autorità amministrativa”.
[4] Ci si riferisce alla pronuncia Grande Stevens e altri c. Italia, seconda sezione, 4 marzo 2014. Nel caso di specie a nulla erano valse le difese del Governo Italiano focalizzate sul conflitto che si sarebbe creato con la disciplina dell’art. 14, comma1, direttiva 2003/6/Ce che impone agli stati membri di predisporre la sanzione amministrativa, ma permette anche la previsione di fattispecie penali. La Corte EDU ha escluso la sussistenza del contrasto perché la direttiva non impone un cumulo sanzionatorio, ma una mera facoltà. In ogni caso, oggi lo scenario normativo europeo è diametralmente opposto (direttiva 2014/57/Ue artt. 13 e 14; regolamento Ue n. 596/2014 art. 39) prevedendo l’obbligatorietà della sanzione panale, e la facoltatività di quella amministrativa, stavolta addirittura stimolandone la contemporanea presenza, purché ciò non violi il divieto di ne bis in idem .
[5] Di manipolazione del mercato.
[6] Irrogata dalla Consob.
[7] Come dimostrato dal fatto che la sanzione è inflitta «in funzione della gravità della condotta ascritta e non del danno […]». Vedi Grande Stevens, cit., par. 96.
[8] Ci si riferisce alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Quinta sezione penale della Corte di Cassazione rispetto all’art. 187-bis comma 1 d.lgs. 58/1998: ordinanza 10 novembre 2014, n. 1782, depositata il 15 gennaio 2015.
[9] È stata seguita da un’ordinanza della sezione tributaria civile della Corte di Cassazione del 6 novembre 2014, depositata il 21 gennaio 2015, in cui si chiedeva la dichiarazione d’illegittimità dell’art. 187-ter d.lgs. 58/1998.
[10] Sentenza n. 102 del 2016.
[11] D. M. VIGANO’, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, in Dir. pen. cont., 8 febbraio 2016, p. 1.
[12] Corte EDU, sentenza del 15 novembre 2016, n. 24130/11 e 29758/11, A e B c. Norvegia.
[13] M. MIEDICO, Gli abusi di mercato. La disciplina penalistica, in A. Alessandri, a cura di, Reati in materia economica, Giappichelli, Torino, 2017, p. 356.
[14] Nel caso, tributaria.
[15] Vedi Grande Stevens, cit., par. 144.
[16] Vedi Grande Stevens, cit., par. 133.
[17] Vedi Grande Stevens, cit., par. 134.
[18] Gli art. 53 CEDU, 82.2. TFUE, 53 Carta di Nizza, seguono il principio della maggiore protezione, in ossequio del quale deve essere privilegiata quella tutela che, nella fattispecie concreta, appare più elevata.
[19] La carta di Nizza concorre a formare diritto primario dell’Unione perché dotata della medesima forza giuridica dei trattai (art. 6.1 TUE).
[20] Si tratta di tre pronunce rese il 20/03/2018 dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle cause Menci (C-. 524/15), Garlsson (C-537/16) e Di Puma (C-596/16).
[21] Garlson, cit., par. 55.
[22] Garlson, cit., par. 59.
[23] Garlson, cit., par. 59.
[24] Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 45829 anno 2018
[25] Art. 620 comma 1 lett. 1) c.p.p.
[26] Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 49869 anno 2018.
[27] Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 49869 anno 2018, par. 59.
[28] Sentenza Corte EDU, Jussilia c. Finlandia, n. 73053/01 del 2006.
[29] Sentenza Corte EDU, Johannesson c. Islanda, n. 22007/11 del 2017.
[30] Sentenza Corte EDU, Zolotoukhine c. Russia, n. n. 14939/03 del 2009.
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