La salute del detenuto prevale sulla sicurezza della persona offesa

Gennaro Russo 19/02/21
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La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza del 5 gennaio 2021 n. 165, ha dichiarato che non sussiste obbligo di notifica alla persona offesa, in caso di sostituzione della misura detentiva per motivi legati alla salute del tenuto, in quanto incompatibile con il regime intramurario, ai sensi dell’art. 275 co.4 del codice di procedura penale.

Normativa di riferimento: Artt. 299 co.2 e 275 co.4 c.p.p.

I fatti che hanno determinato la pronuncia della Corte di Cassazione.

La pronuncia in epigrafe della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, trae origine dal ricorso presentato avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Palermo, che dichiara inammissibile l’appello proposto avverso il provvedimento con il quale il G.I.P. del Tribunale di Palermo rigetta la richiesta di sostituzione della custodia in carcere, applicata per partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso e reati connessi, alcuni eseguiti con violenza alla persona. In particolare, il G.I.P. non ravvisa alcuna ragione d’incompatibilità con il regime carcerario del ricorrente, ultrasessantenne e soggetto a rischio di contrazione del virus Covid-19. Conferma la declaratoria d’inammissibilità anche il Riesame, il quale rileva oltretutto anche l’assenza di notifica alla persona offesa all’atto di presentazione della domanda di sostituzione del regime cautelare. Secondo il Riesame, la notifica deve essere posta a favore della persona offesa, essendo il reato imputato quello di estorsione aggravata dal metodo mafioso, per cui eseguito necessariamente con violenza verso la persona offesa, che quindi ha diritto di essere interpellata ai fini della sostituzione della misura cautelare. Il ricorrente, per il tramite del suo difensore, ricorre in Cassazione ritenendo che, secondo quanto disposto dall’art. 275 co.4 c.p.p., non fosse necessaria la predetta notifica, poiché sussiste una situazione d’incompatibilità con il regime intramurario, dovuta all’età e alle condizioni di salute del detenuto.

Il diritto alla salute e il rapporto con la funzione rieducativa della pena.

La Suprema Corte si sofferma sull’applicabilità dell’art.32 Costituzione, disciplinante il diritto alla salute. Il riconoscimento di tale diritto quale valore costituzionale supremo è il risultato di un’evoluzione giurisprudenziale, che ritiene applicabile l’art.32 Cost. a qualsiasi cittadino, anche se sottoposto a misure restrittive della libertà personale. Tuttavia la Cassazione, in varie sentenze tra cui la n.2819/92, ha più volte ribadito la necessità di bilanciare tale principio con quelli dell’uguaglianza (art.3 Costituzione) e del senso di umanità(art.27 Costituzione), principi che devono caratterizzare l’esecuzione della pena, precisando che tale compito spetta al giudice, il quale è tenuto a motivare la sua decisione. L’art. 32 Cost. è divenuto, nel tempo, uno dei baluardi del trattamento rieducativo, in combinato disposto con gli artt. 27 co.3 e 13 co.4 della Costituzione, diventando un diritto centrale all’interno della normativa sia penale che penitenziaria. Circa il diritto alla salute, si è pronunciata anche la Corte Costituzionale, che ha affermato il “valore primario, sia per la sua inerenza alla persona umana sia per la sua valenza di diritto sociale, caratterizzante la forma di Stato sociale, designata dalla Costituzione” (Corte Cost., sentenza n.37 del 1991). Tale valore è ribadito, nella sentenza n.99 del 2019, in cui emerge l’apertura verso il riconoscimento della prevalenza del diritto alla salute nel bilanciamento con il principio di ordine e sicurezza pubblica. Tale apertura è individuata anche nella giurisprudenza sovranazionale, dove il diritto alla salute viene ricondotto quale corollario del diritto alla vita ( art. 2 CEDU),del divieto di pene e trattamenti inumani o degradanti (art.3 CEDU) e del diritto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU). Tale filone, che ha trovato inizio con la sentenza Mouisei (Corte EDU, 14 novembre 2002, Mousiel c. Francia), ha avuto consacrazione nella sentenza Xiros (Corte EDU, 9 settembre 2010 n.1033. Xiros c. Grecia), con cui la Corte ha chiarito che il diritto alla salute si specifica in “ tre obligations particulières: verificare che il detenuto sia in condizioni di salute tali da poter scontare la pena, somministrargli le cure mediche necessarie e adattare le condizioni generali di detenzione al suo particolare stato di salute”. La Corte di Cassazione, a seguito di tale evoluzione giurisprudenziale, afferma che “ è quindi necessario un bilanciamento dei diritti in gioco, poiché se così non fosse l’esecuzione della pena verrebbe illegittimamente ad incidere sul dritto alla salute costituzionalmente riconosciuto a tutti e si risolverebbe in un trattamento contrario al senso di umanità, cui la Costituzione deve ispirarsi”.

La pronuncia della Cassazione: il ricorso viene accolto.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso presentato, ritenendo che “ l’obbligo di notifica di cui all’art. 229 c.p.p. sorge qualora vi sia il rischio di recidiva personale, poiché è tale rischio che genera il diritto della vittima a partecipare al procedimento incidentale sulla libertà e a rappresentare le proprie ragioni attraverso il deposito di memorie. Tale rischio di recidiva e pericolosità sociale, deve ritenersi quantomeno fortemente scemato in presenza di condizioni di salute fragili riscontrate nel detenuto”. Quindi la ratio della norma d’impedire che vi possa essere una “vittimizzazione secondaria” della persona offesa, che tramite la notifica esercita il diritto al contradittorio cartolare postumo su revoca e sostituzione delle misure adottate, trova quindi limite nel nucleo irriducibile del diritto alla salute, protetto dalla Costituzione, anche alla luce del principio costituzionale dell’umanizzazione e della funzione rieducativa della pena, nonché della previsione della normativa sovranazionale che proibisce la sottoposizione del detenuto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, specie ove si afferma che la finalità del trattamento sanzionatorio deve essere quella di salvaguardare la salute e la dignità della persona.  Per tali motivi, la Corte ritiene che la questione sollevata circa l’applicabilità della previsione di cui all’art.299 comma 2bis c.p.p., debba essere accolta. La Suprema Corte stabilisce che nel caso in cui venga prospettata l’incompatibilità con il regime carcerario delle condizioni di età e di salute del detenuto in stato di custodia intramuraria, nel caso di revoca o di  sostituzione della misura cautelare, venga meno dell’ obbligo di notifica alla persona offesa.

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