Sezioni Unite sul deposito per ricorso cautelare per Cassazione

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Il fatto

Con ordinanza il Tribunale di Reggio Calabria, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta da un indagato per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1 e 2, e art. 73, annullava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere del Giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria limitatamente al capo B8) dell’addebito provvisorio, confermandola nel resto.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale provvedimento il difensore dell’indagato proponeva ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 273 c.p.p. e vizio di motivazione in quanto dall’ordinanza impugnata, ad avviso del ricorrente, non sarebbero emersi, sotto il profilo della gravità indiziaria, nè il ruolo ricoperto, nè il contributo offerto dall’indagato al sodalizio criminale, nè la consapevolezza dello stesso di partecipare ad un’associazione.
Oltre a ciò, veniva altresì eccepita l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3,13 e 111 Cost., dell’art. 309 c.p.p., nella parte in cui non prevede un termine entro il quale la richiesta di riesame, depositata dinanzi ad un’autorità diversa da quella competente per il successivo giudizio, debba essere trasmessa al giudice del riesame che si dovrà pronunziare su di essa, ovvero nella parte in cui non prevede che il termine di dieci giorni, entro il quale deve intervenire la decisione, debba ritenersi valido anche nel caso di presentazione della richiesta nelle forme di cui all’art. 582 c.p.p., comma 2.

Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

La Terza sezione penale della Corte di cassazione, dopo avere constatato che il ricorso risultava essere stato depositato presso la cancelleria del Tribunale di Locri anzichè di quella del Tribunale di Reggio Calabria, dinanzi al quale si era svolto il giudizio di riesame e dove era pervenuto dopo la scadenza del termine di dieci giorni indicato dall’art. 311 c.p.p., comma 1, rilevava un principio di contrasto interpretativo circa l’individuazione del luogo presso il quale deve essere presentato il ricorso cautelare per cassazione avente ad oggetto il provvedimento in materia cautelare personale reso dal giudice del riesame o dell’appello cautelare, ovvero l’ordinanza genetica con la quale è stata disposta la misura coercitiva.
Il Collegio rimettente, in particolare, sul presupposto che il regime delle impugnazioni cautelari non possa definirsi, nè come un sistema chiuso ed autonomo rispetto a quello riferibile alle altre tipologie impugnatorie, nè come un sistema strutturato in maniera autosufficiente, valutava poco convincenti le argomentazioni sottese a quelle sentenze che confinano l’applicabilità degli artt. 582 e 583 c.p.p. ai soli procedimenti di riesame e di appello cautelare e non anche al ricorso per cassazione in materia de libertate.
Si rilevava a tal riguardo come la Corte di cassazione avesse già respinto modalità di lettura basate sul solo criterio esegetico di tipo lessicale quando: 1) ha affermato che le parti private sono legittimate a presentare la richiesta di riesame e l’atto d’appello delle ordinanze in materia di misure cautelari personali anche presso la cancelleria del luogo in cui si trovano, se diverso da quello nel quale il provvedimento fu emesso (Sez. U, n. 11 del 18/06/1991); 2) ha esteso l’operatività del principio anche al riesame reale (Sez. U, n. 47374 del 22/06/2017); 3) ha affermato che in materia di misure cautelari, sia reali che personali, la richiesta di riesame può essere proposta con telegramma o con atto trasmesso a mezzo di raccomandata, a norma dell’art. 583 c.p.p. (Sez. U, n. 8 del 11/05/1993); 4) ha precisato, in relazione al differente istituto disciplinato dall’art. 625-bis c.p.p., che le eccezioni ai principi generali che governano le impugnazioni, tra cui figurano quelle contemplate sulla presentazione degli atti, devono essere espresse (Sez. U, n. 32744 del 27/11/2014, dep. 2015), così escludendo la possibilità che al mancato richiamo alle forme di cui agli artt. 582 e 583 c.p.p., in materia di ricorso per cassazione de libertate, possa attribuirsi alcun significato preclusivo.
Infine, veniva evidenziato il possibile contrasto dell’art. 311 c.p.p., nell’interpretazione più restrittiva, con gli artt. 3 e 24 Cost. e art. 6 CEDU, in quanto ingiustificatamente compressiva del diritto di difesa e foriera di disparità di trattamento tra coloro i quali intendano impugnare un provvedimento cautelare in materia di libertà “per saltum” e coloro che, invece, si determinano per il riesame o l’appello cautelare.
Il Collegio, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1, quindi, rimetteva il ricorso alle Sezioni Unitesegnalando che la questione, connotata da “incertezza applicativa”, avrebbe potuto dare luogo a un reale contrasto giurisprudenziale.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite delimitavano prima di tutto il quesito sottoposto al loro vaglio giudiziale nei seguenti termini: “se il ricorso cautelare per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame o, in caso di ricorso immediato, del giudice che ha emesso la misura, debba essere presentato esclusivamente presso l’organo giudiziario che ha emesso il provvedimento impugnato ovvero possa essere presentato nei luoghi di cui all’art. 582 c.p.p., comma 2, e se, in tale ultimo caso, debba ritenersi tempestivamente proposto solo quando perviene entro i termini di cui all’art. 311 c.p.p., comma 1, alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, a seguito di trasmissione a cura della cancelleria dell’ufficio giudiziario o dell’agente consolare all’estero”.
Premesso ciò, gli Ermellini ritenevano all’uopo opportuno operare prima di tutto un sintetico inquadramento normativo della materia enunciato nei seguenti termini: “L’art. 582 c.p.p., norma generale sulle impugnazioni, prevede che, “salvo che la legge disponga altrimenti” l’atto di impugnazione è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato e che “le parti private e i difensori possono presentare l’atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all’estero”, aggiungendo che in tali casi l’atto deve essere immediatamente trasmesso alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. L’art. 583 c.p.p., dopo aver previsto che le parti e i difensori possono proporre l’impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria indicata nell’art. 582, comma 1 e sul quale il pubblico ufficiale appone l’indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione, stabilisce “che l’impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma”. Per la richiesta di riesame delle ordinanze che dispongono, per la prima volta, una misura cautelare personale, l’art. 309 c.p.p. dopo aver stabilito al comma 1 che “entro dieci giorni dalla notificazione o esecuzione dell’ordinanza coercitiva, l’imputato può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, della ordinanza che dispone una misura coercitiva, salvo che si tratti di ordinanza emessa a seguito di appello del pubblico ministero”, prevede al comma 4 che la richiesta di riesame debba essere presentata nella cancelleria giudice ad quem, precisando che si osservano le forme previste dagli artt. 582 e 583 c.p.p.. Per tutti gli altri provvedimenti, l’imputato, il difensore e il pubblico ministero possono proporre appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p. con le forme e modalità previste dall’art. 309 c.p.p., commi 1, 2, 3, 4 e 7. Con riferimento al ricorso per cassazione, l’art. 311 c.p.p., comma 1, dispone che le parti legittimate possono ricorrere entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento. L’articolo citato, al comma 2, prevede che, entro gli stessi termini l’imputato ed il suo difensore possono proporre il ricorso per cassazione per saltum, direttamente contro le ordinanze genetiche che dispongono una misura coercitiva, nei termini di cui all’art. 309 c.p.p., commi 1, 2 e 3. Per quanto riguarda la presentazione del ricorso, l’art. 311 c.p.p., comma 3, dispone che debba essere presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione ovvero, in caso di ricorso diretto, in quella del giudice che ha emesso l’ordinanza. Analogamente a quanto previsto in tema di cautela personale, per le misure cautelari reali, l’art. 324 c.p.p., comma 1, stabilisce che la richiesta di riesame è presentata nella cancelleria del tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento entro il termine di dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento o dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’esecuzione. Anche al rimedio previsto dall’art. 322-bis c.p.p., proponibile contro i provvedimenti di modifica, sostituzione, revoca della misura o di rigetto delle relative istanze, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 310 c.p.p. e pertanto, di rimando, quelle previste dall’art. 309 c.p.p., commi 1, 2, 3, 4 e 7. Sempre in materia di cautela reale, l’art. 325 c.p.p. prevede, al comma 1, che il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge avverso le decisioni assunte in sede di appello e di riesame e, al comma 2, che possono proporre il ricorso per cassazione direttamente contro il decreto di sequestro emesso dal giudice (cd. ricorso per saltum). Il comma 3, inoltre, richiama l’applicazione dell’art. 311 commi 3, 4 e 5. Infine, anche in materia di estradizione la presentazione del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti cautelari emessi durante la procedura deve seguire le regole indicate dall’art. 311 c.p.p. (così, Sez. 6, n. 435 del 05/12/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278094)”.
Ciò posto, terminata questa disamina di ordine prevalentemente normativo, i giudici di legittimità ordinaria denotavano come a sua volta la giurisprudenza della Cassazione sia costante nel rimarcare l’autonomia delle modalità di presentazione dell’impugnazione indicate dall’art. 311 c.p.p. rispetto alla regola generale contenuta negli artt. 582 e 583 c.p.p. affermandosi in proposito che, in tema di riesame, le specifiche modalità fissate dal legislatore per la presentazione del gravame costituiscono evidente deroga alle norme che regolano in via generale la presentazione dell’impugnazione (Sez. 6, n. 3593 del 06/12/1990) mentre, con specifico riferimento alla questione in esame, è stato stabilito che il ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza emessa in materia di misure cautelari personali dal Tribunale della libertà è inammissibile, qualora sia presentato direttamente in Corte di cassazione e non nella cancelleria del suddetto tribunale come prescrive l’art. 311 nuovo c.p.p., comma 3, (così, Sez. 6, n. 29477 del 23/03/2017; Sez. 2, n. 2056 del 20/03/1991) rilevandosi al riguardo che per il ricorso cautelare in cassazione non possono trovare applicazione le diverse norme sulla presentazione dell’atto di impugnazione di cui agli artt. 582 e 582 c.p.p. la cui operatività, per effetto delle modifiche introdotte dalla L. n. 332 del 1995 al solo art. 309 c.p.p., comma 4, è limitata alla presentazione della richiesta di riesame nonchè dell’atto di appello, giusta il rinvio contenuto nell’art. 310 c.p.p., comma 2 (Sez. 6, n. 13420 del 05/03/2019).
Detto questo, veniva messo in evidenza come, all’orientamento più rigoroso che esclude soluzioni alternative alla presentazione del ricorso nella cancelleria del giudice a quo, ve ne sia un altro più “sostanzialista” (oramai maggioritario) secondo cui è ammissibile il ricorso cautelare – anche se presentato nella cancelleria del giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento cautelare impugnato – a condizione che l’atto pervenga nella cancelleria del giudice a quo nel termine dei dieci giorni (Sez. 3, n. 14774 del 05/03/2020; Sez. 6, n. 435 del 05/12/2019; Sez. 2 n. 3261 del 30/11/2018; Sez. 1, n. 6912 del 14/10/2011) rilevandosi al contempo che tale orientamento non pone mai in discussione il principio della autonomia della regola dell’art. 311 c.p.p., comma 3, ma, richiamando i principi del favor impugnationis e di conservazione dell’atto, si limita a fare salvi gli effetti dell’atto medesimo se pervenuto nel termine dei dieci giorni nella cancelleria del giudice a quo.
Orbene, a fronti di tali approdi interpretativi, si faceva presente, da un lato, come la Terza sezione avesse ritenuto non appaganti tali approdi e proponesse una diversa lettura sistematica della norma escludendo il contenuto precettivo dell’art. 311 c.p.p., comma 3 denotandosi contestualmente come l’assunto contenuto nell’ordinanza di rimessione si basi sostanzialmente su tre postulati: a) l’individuazione di una diversa funzione della norma intesa semplicemente a chiarire che la deroga introdotta dall’art. 309 c.p.p., comma 4, riguarda solo il giudizio dinanzi al tribunale; b) la mancanza di una deroga espressa ai principi dettati dagli artt. 582 e 583 c.p.p. per il giudizio di legittimità; c) la cedevolezza dell’opzione interpretativa corrente rispetto al principio del favor rei, dall’altro, come tale lettura non potesse essere condivisa per le seguenti ragioni.
Detto questo, si rilevava preliminarmente che l’art. 12 preleggi, nel dettare le principali regole di interpretazione, dispone che nell’applicare la legge “non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
Con riguardo al luogo di presentazione del ricorso cautelare, si è da ultimo affermato in giurisprudenza che l’art. 311 c.p.p., comma 3, rappresenta un’autonoma disposizione il cui contenuto è solo in parte coincidente con la disposizione generale in quanto riproduce solo l’art. 582 c.p.p., comma 1, nonché si è precisato che la coincidenza tra la modalità di presentazione del ricorso cautelare per cassazione, stabilita in via esclusiva dall’art. 311 c.p.p., comma 3, e la modalità ordinariamente prevista per l’atto di impugnazione, ai sensi dell’art. 582 c.p.p., comma 1, è espressione dell’interesse prioritario dell’ordinamento alla massima celerità nell’avvio del giudizio di impugnazione e che è questa la modalità attraverso la quale il giudice che ha emesso il provvedimento apprende immediatamente dell’impugnazione e può, con prontezza, provvedere agli adempimenti di cui all’art. 164 disp. att. c.p.p., relativi alla formazione dei fascicoli (in questi termini, Sez. 1 n. 4096 del 10/12/2019).
Ebbene, secondo le Sezioni Unite, siffatte argomentazioni sono corrette e condivisibili essendo agevole rilevare che l’art. 311 c.p.p., comma 3, non riproduce, nè richiama, il contenuto dell’art. 582 c.p.p., comma 2, e neppure quello dell’art. 163-ter disp. att. c.p.p. che, nei casi previsti dall’art. 461 c.p.p., comma 1, e art. 582 c.p.p., comma 2, consente che le dichiarazioni e le impugnazioni possono essere presentate anche nella cancelleria della sezione distaccata del tribunale tenuto conto altresì del fatto che rileva poi, sul piano interpretativo, il confronto – più volte evocato nelle decisioni della Corte – tra la formulazione dell’art. 311 c.p.p., comma 3 e quella dell’art. 309 c.p.p., comma 4, per evidenziare che il richiamo alle norme generali per la individuazione del luogo di presentazione dell’impugnazione è espressamente formulato unicamente per il giudizio dinanzi al tribunale e non può valere, quindi, per il ricorso cautelare.

La littera legis è, dunque, per la Suprema Corte, chiara e rende palese l’intento del legislatore di indicare – per ragioni di urgenza – all’art. 311 c.p.p., comma 3, nel solco dell’incipit dell’art. 582 c.p.p., comma 1 (“salvo che la legge disponga altrimenti”), autonome forme per la presentazione del ricorso cautelare, operando una limitazione della regola generale per la sua presentazione nel senso che l’intento di definire un autonomo percorso normativo per il ricorso cautelare in considerazione dell’urgenza di trattazione si conferma nella seconda parte del comma 3 là dove si onera il giudice della cancelleria che riceve l’atto, di curare che sia dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente la quale trasmette, entro il giorno successivo, gli atti alla corte di cassazione fermo restando che l’interpretazione corrente trova, peraltro, conferma nella relazione illustrativa del codice che, con riferimento all’art. 311 c.p.p., afferma: “(…) nell’uno e nell’altro caso (ricorso per saltum, n.d.r.) si tratta di un ricorso disciplinato secondo ritmi piuttosto serrati. Ciò risulta non solo dalla disciplina della sua presentazione e della conseguente trasmissione degli atti (“entro il giorno successivo”) alla corte di cassazione da parte dell’autorità giudiziaria procedente” nonché corrispondenza nella dottrina costante nell’evidenziare che il legislatore, nel libro Quarto, Titolo I, ha inteso indicare un sistema organico dei rimedi contro i provvedimenti applicativi delle misure cautelari imperniato sui mezzi del riesame, dell’appello e del ricorso per cassazione, rivisitando tutti gli ordinari mezzi di impugnazione nei loro aspetti procedurali all’insegna di un’esigenza di maggiore efficienza e tempestività.
Infine, veniva rimarcato il fatto che neanche successivamente il legislatore è intervenuto sulla formulazione dell’art. 311, comma 3, c.p.p., a differenza di quanto avvenuto per l’art. 309, comma 4, c.p.p., al quale è stato aggiunto, con l’art. 16, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 322, il richiamo all’art. 583 c.p.p..

A tal proposito appariva per il Supremo Consesso significativo che il legislatore, nell’intento di superare il rigore della normativa previgente, nel recepire le indicazioni delle sentenze Sez.U, n. 11 del 18/06/1991, e Sez. U, n. 8 del 11/05/1993, (le stesse dalle quali l’ordinanza di rimessione trae spunto per le sue argomentazioni), non abbia inteso procedere anche alla modifica dell’art. 311 c.p.p. e tali considerazioni, sempre per la Suprema Corte, valgono evidentemente anche per il ricorso per saltum in quanto all’art. 311 c.p.p., comma 3, viene fatto richiamo anche “alle ordinanze che dispongono una misura coercitiva” con evidente riferimento alla disciplina del comma 2.
La funzione di mero richiamo alla disciplina ordinaria in cui l’ordinanza di rimessione confina l’art. 311 c.p.p., comma 3, non trova, dunque, per gli Ermellini, sostegno nella littera legis, così pure nell’analisi storica e nel sistema rilevandosi a tal proposito che, per richiamare la disciplina generale, non si sarebbe nemmeno resa necessaria la formulazione dell’art. 311 c.p.p., comma 3, in quanto, nel silenzio della legge, sarebbero valsi comunque gli ordinari criteri che regolano le modalità di presentazione del ricorso in cassazione.

La tesi propugnata nell’ordinanza di rimessione condurrebbe quindi per la Cassazione a dovere considerare la disposizione in questione alla stregua di una norma sostanzialmente inutile in quanto (parzialmente) ripetitiva e priva di funzione precettiva o esplicativa il che contrastarebbe, non solo con il c.d. criterio di economicità dell’interpretazione fondato sul convincimento che il legislatore nella redazione delle norme operi evitando inutili ripetizioni, ma anche con il principio generale valorizzato dalla dottrina secondo cui, nel dubbio, il testo normativo va, comunque, interpretato nel senso della conservazione del suo significato precettivo.
L’esistenza di una regolamentazione derogatoria specifica esclude, infine, sempre per le Sezioni Unite, qualsiasi possibilità di richiamo all’analogia legis.

Quanto alla necessità di deroga espressa ai principi degli artt. 582 e 583 c.p.p., appare per la Corte di legittimità ordinaria inconferente il richiamo che l’ordinanza di rimessione fa alla sentenza delle Sez. U, n. 32744 del 27/11/2014 atteso che la decisione in questione ha riguardo alle modalità di presentazione del ricorso straordinario dell’art. 625-bis c.p.p. per le quali manca una disciplina normativa espressa e, proprio partendo da tale considerazione, si è affermata, nella decisione citata, la necessità di ricorrere alle disposizioni generali; in sostanza si è voluto nell’occasione riaffermare il principio che, in mancanza di una deroga espressa, valgono i principi generali dell’art. 582 c.p.p. ma tale principio non vale evidentemente nel caso di specie in presenza di una disciplina derogatoria.

Neanche il rilievo della necessaria cedevolezza dell’interpretazione ai principi del favor impugnationis si appalesa per il Supremo Consesso condivisibile visto che se è vero che quest’ultimo viene definito in alcune pronunce una “indiscutibile regola generale” delle impugnazioni (Sez. 5, n. 41082 del 19/09/2014; Sez. 6, n. 9093 del 14/01/2013), esso non può, tuttavia, tradursi nell’attribuzione al diritto vivente di una potestà integrativa della voluntas legis, nè quindi consentire la individuazione di diverse forme di presentazione del ricorso rispetto a quelle volute dal legislatore deducendosi al contempo che i limiti connessi all’applicazione del principio sono stati già evidenziati quando, per sostenere l’inammissibilità dell’appello per mancanza del requisito della specificità, si è affermato che il favor impugnationis non può che operare nell’ambito dei rigorosi limiti rappresentati dalla natura intrinseca del mezzo di impugnazione (Sez. U, n. 8825 del 26/10/2016) nè i precedenti delle Sezioni Unite citati nell’ordinanza di rimessione (Sez. U, n. 11 del 18/06/1991; Sez. U., n. 8 dell’11/05/1993; Sez. U., n. 47374 del 22/06/2017) hanno mai superato tale limite in quanto le prime due sono intervenute per chiarire il riferimento del richiamo contenuto nell’art. 309 c.p.p., comma 4, e art. 324 c.p.p., comma 2 alle forme dell’art. 582 c.p.p. e, la terza, alle forme dell’art. 583 c.p.p..

Si deve allora concludere per le Sezioni Unite che, in relazione all’art. 311 c.p.p., comma 3, l’operatività della disposizione dell’art. 582 c.p.p. rimanga confinata unicamente al secondo periodo del comma 1 e, cioè, alla individuazione degli adempimenti del pubblico ufficiale che riceve l’atto (inserimento data, nominativo della persona che presenta l’atto, sottoscrizione ed eventuale rilascio di copia dell’attestazione) trattandosi infatti di precetti che operano sul piano generale e che attengono ad un aspetto diverso da quello della individuazione del luogo della presentazione da cui prescindono così come allo stesso modo si deve escludere l’operatività per il ricorso cautelare dell’art. 583 c.p.p. in quanto anche per tale disposizione si sarebbe reso necessario, per le ragioni evidenziate in precedenza, un richiamo espresso che, come si è visto, è mancante.
Orbene, per i giudici di piazza Cavour, sebbene, in presenza di un univoco tenore letterale della norma, deve ritenersi precluso il ricorso ad un’interpretazione “adeguatrice” e, nel caso di dubbio circa la sua conformità ai principi costituzionali o convenzionali internazionali, si dovrebbe necessariamente lasciare spazio unicamente al sindacato di legittimità costituzionale (ex plurimis, Corte cost. n. 82 del 2017), purtuttavia, nemmeno sotto tale aspetto sembrano da condividere i rilievi dell’ordinanza di rimessione.

Difatti, rispetto all’interpretazione corrente, l’ordinanza paventa la possibile violazione degli artt. 3 e 24 Cost. e dell’art. 6 Cedu sotto il profilo della ingiustificata compressione del diritto di difesa del ricorrente, se privato delle facoltà ordinariamente riconosciutegli di esercitare tempestivamente il diritto di difesa e, al contempo, rimarca la disparità di trattamento in cui verserebbe colui che intenda impugnare il ricorso per saltum rispetto a chi scelga il rimedio del riesame e al riguardo la Corte di Cassazione ha già escluso il contrasto dell’attuale disciplina con gli artt. 3, 24, 13 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, comma 3, lett. b), CEDU, nella parte in cui non estende alla proposizione del ricorso per cassazione in materia cautelare le forme previste dagli artt. 582 e 583 c.p.p., richiamate, invece, dall’art. 309 c.p.p., comma 4, per la richiesta del riesame, vertendosi in materia di modalità di presentazione dell’impugnazione, rimessa, come tale, alla discrezionalità del legislatore (Sez. 1, n. 4096 del 10/12/2019).
Le forme di presentazione dell’impugnazione, come rilevato nella decisione citata, invero, sono il portato di una scelta del legislatore – insindacabile – di indicare per la materia cautelare personale e per quella reale modalità tra di loro omogenee che si differenziano tra di loro in relazione alla tipologia del giudizio (di merito o di legittimità) mentre la concentrazione in un’unica sede del luogo di presentazione del ricorso coniuga, in particolare, le ragioni di urgenza della trattazione con le peculiarità del giudizio di legittimità che, va ricordato, esclude la presentazione personale del ricorso, richiedendo sempre l’assistenza di un professionista abilitato sulla base di quanto disposto dall’art. 613 c.p.p. (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017) e dunque, per la Suprema Corte, appare sicuramente ragionevole che l’impugnazione cautelare di merito, proponibile, invece, direttamente dalla parte o da un avvocato non abilitato al patrocinio in cassazione abbia maglie formali più larghe per la presentazione.
Le diversità strutturali del giudizio di merito e di legittimità, del resto, sempre ad avviso del Supremo Consesso, si accentuano nel confronto specifico del ricorso cautelare con il mezzo del riesame attraverso il quale il legislatore ha inteso incoraggiare la rivalutazione sul piano fattuale dei presupposti e delle ragioni della misura cautelare, tant’è che l’art. 309 c.p.p., comma 5, e art. 324 c.p.p., comma 3, attribuiscono natura interamente devolutivi al giudizio, rendendo persino facoltativa l’indicazione dei motivi così come nello stesso senso si deve escludere qualsiasi profilo di lesione ai principi costituzionali per la diversa disciplina della presentazione tra riesame e ricorso per saltum rappresentando quest’ultima un’opzione aggiuntiva per la difesa, alternativa al riesame.

Inoltre, le Sezioni Unite ritenevano come alcun contrasto fosse ravvisabile alla luce dell’interpretazione corrente con le fonti sovranazionali sul giusto processo vertendosi in tema di modalità di presentazione dell’impugnazione e, dunque, in un campo nel quale la stessa Corte Edu riconosce agli Stati ampio margine di apprezzamento tale da consentire anche la imposizione di requisiti formali rigorosi per l’ammissibilità dell’impugnazione,ma a condizione che le restrizioni applicate non limitino l’accesso aperto all’individuo in una maniera o a un punto tali che il “diritto a un tribunale” risulti pregiudicato nella sua stessa sostanza (in tal senso, Corte Edu, Garcia Manibardo c. Spagna, n. 38695/97, p. 36; Mortier c. Francia, n. 42195/98, p. 33 e Trevisanato c. italia n. 32610/07, p. 36.).

La compressione del diritto di difesa, di conseguenza, è da escludere in presenza di un termine sicuramente congruo (dieci giorni) espressamente indicato, peraltro, solo per il ricorso cautelare attinente alla libertà personale, in ragione della urgenza di trattazione delle questioni attinenti a tale profilo tanto è vero che, in materia reale, le decisioni più recenti affermano che, facendo riferimento l’art. 325 c.p.p. solo all’art. 311 c.p.p., commi 3 e 4, il termine di presentazione del ricorso cautelare reale è quello di quindici giorni, previsto in via generale dall’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), per i provvedimenti emessi in seguito a procedura camerale (così, Sez. 3, n. 13737 del 15/11/2018; Sez. 2, n. 3261 del 30/11/2018).

Né, infine, può essere trascurato per la Corte che per la presentazione del ricorso è possibile avvalersi di un sostituto processuale, ai sensi dell’art. 102 c.p.p., e che il ricorso medesimo è ammissibile pur se proposto da avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell’imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista (Sez. U, n. 40517, 28/04/2016).
Precisato ciò, per gli Ermellini rimaneva da affrontare la questione relativa alla sorte dell’atto di impugnazione, irritualmente presentato presso una cancelleria diversa, che, tuttavia, sia pervenuto nel termine di dieci giorni alla cancelleria del giudice a quo.

Si notava prima di tutto come sulla questione si fosse registrato un iniziale contrasto interpretativo con riferimento all’impugnazione dinanzi al tribunale del riesame.
Inizialmente era difatti prevalso un orientamento di maggiore rigore secondo cui non è suscettibile di sanatoria l’inammissibilità dell’impugnazione derivante dal fatto che essa sia stata presentata nella cancelleria del giudice ad quem anzichè in quella del giudice a quo; in particolare, è stata esclusa l’applicazione dell’art. 568 c.p.p., comma 5, sul rilievo che “tale disposizione disciplina il diverso caso in cui l’impugnazione sia proposta ad un giudice incompetente (cui fa obbligo di trasmettere gli atti a quello competente) e che, dunque, attenendo alla sola ipotesi della proposizione del gravame, non concerne quella relativa alle modalità della sua presentazione, disciplinate appunto dal ricordato art. 582, e la cui inosservanza, a tenore dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), determina l’inammissibilità dell’impugnazione” (in questi termini, Sez. 1, n. 4706 del 17/11/1992; Sez. 6, n. 3718 del 12/11/1999; Sez. 3, n. 2737 del 10/07/2000) mentre un successivo orientamento ha, invece, escluso la sanzione dell’inammissibilità per il solo errore di presentazione del ricorso argomentando che in questo modo sarebbe vanificato l’obbligo di trasmissione al giudice competente e che rimarrebbe altresì frustrato il principio di conservazione dell’impugnazione stabilito dall’art. 568 c.p.p., comma 5, (Sez. 3, n. 130 del 13/01/2000).

A fronte di tali orientamenti ermeneutici, si faceva presente che l’orientamento, che esclude l’inammissibilità del ricorso, puntualizza, tuttavia, che l’impugnazione irritualmente proposta è ammissibile solo quando venga poi rimessa nei termini di legge presso la cancelleria dell’ufficio del giudice competente a riceverla e che, nel caso di presentazione ad ufficio diverso, colui che ha proposto l’impugnazione si assume il rischio che l’impugnazione stessa sia dichiarata inammissibile per tardività perchè la data di presentazione non può che essere quella in cui l’impugnazione perviene all’ufficio competente a riceverla (Sez. 4, n. 30060 del 20/06/2006; Sez. 5, n. 42401 del 22/09/2009; Sez. 1, n. 6912 del 14/10/2011) così come un’analoga interpretazione viene seguita anche per il ricorso per cassazione contro i provvedimenti cautelari emessi nel corso della procedura di estradizione dalla corte di appello presso la quale il ricorso deve essere presentato nel termine indicato dall’art. 311 c.p.p. (Sez. 6, n. 435 del 05/12/2019 secondo cui resta a carico del ricorrente il rischio che il ricorso, presentato presso un ufficio diverso, sia dichiarato inammissibile per tardività, in quanto la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività resta pur sempre quella in cui l’atto perviene all’ufficio competente a riceverlo).

Per quanto riguarda il ricorso per cassazione, si evidenziava come la soluzione di maggiore favore, che – come già rilevato – è seguita nella maggioranza delle decisioni più recenti, dovesse essere riaffermata in sede di legittimità apparendo al riguardo condivisibile che solo l’inosservanza del termine di presentazione determina, in realtà, l’inammissibilità del ricorso dal momento che se le ragioni di carattere sistematico, che hanno già portato a superare il rigido formalismo interpretativo dell’art. 591 c.p.p., lett. c), che richiama espressamente l’art. 582 c.p.p., valgono a fortiori per il ricorso cautelare là dove si consideri che, come evidenziato dalla dottrina, manca nell’art. 591 c.p.p., lett. c) qualsiasi richiamo all’art. 311 c.p.p., il luogo di presentazione rileva, invece, per la verifica della tempestività del ricorso, in quanto il termine dei dieci giorni – che al pari di tutti i termini di impugnazione ha natura perentoria ed alla cui inosservanza consegue sul piano soggettivo la decadenza dal diritto di impugnazione e, su quello degli effetti, l’inammissibilità del ricorso – va computato tenendo conto della data in cui l’atto materialmente perviene nella cancelleria del giudice a quo.

Il ricorso depositato presso una cancelleria diversa, ancorchè le formalità connesse alla presentazione siano le stesse (art. 582 c.p.p., comma 1, art. 164 disp. att. c.p.p.), rimane, dunque, per la Suprema Corte, privo di effetti se nel termine dei dieci giorni non perviene anche nella cancelleria indicata nel senso che, se tale condizione si avvera, non vi sono ragioni sostanziali per negare la validità del ricorso in quanto non viene compromessa la scansione temporale degli adempimenti relativi alla presentazione indicati dall’art. 311 c.p.p., comma 3, e, dunque, può ritenersi raggiunta la finalità del ricorrente di attivare il sistema impugnatorio dal momento che in questo caso occorre avere riguardo non al principio di conversione dell’art. 568 c.p.p., comma 5, (impugnazione della parte con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto) – che attiene al diverso profilo dell’irregolarità sostanziale del mezzo di impugnazione, opera nel presupposto dell’esistenza in un atto dei requisiti di un atto diverso e richiede, comunque, una valutazione del giudice – bensì al principio del raggiungimento dello scopo dell’atto fermo restando che tale principio, declinato nell’art. 156 c.p.c., comma 3, ha ormai assunto una valenza generale e trova implicita affermazione anche nel processo penale, come è dato evincere, ad esempio, dall’art. 184 c.p.p., comma 1 posto che l’atto raggiunge l’obiettivo che il ricorrente si era prefisso.

L’attività di deposito, quindi, rimane irregolare ed assume efficacia solo per il concomitante intervento di fattori esterni (l’inoltro alla cancelleria competente) della cui mancanza il ricorrente non può che assumersi il rischio per la scelta di non avere seguito le regole indicate per la presentazione dell’impugnazione tenuto conto altresì del fatto che, nel caso di presentazione del ricorso ad una cancelleria diversa da quella del giudice a quo, non può essere invocato, nè in alcun modo rileva, l’obbligo di tempestiva trasmissione degli atti alla cancelleria del giudice competente atteso che tale obbligo è previsto dall’art. 582 c.p.p., comma 2, sul presupposto che sia consentita la presentazione dell’impugnazione ad una cancelleria diversa da quella del giudice a quo e, pertanto, non può trovare applicazione nel caso di specie in quanto, a differenza dell’art. 309 c.p.p., comma 4, manca nell’art. 311 c.p.p., come detto in precedenza, il richiamo all’art. 582 cit., comma 2 ed al suo contenuto.
Il ricorrente, nel caso in cui gli atti pervengano alla cancelleria del giudice a quo oltre il termine di dieci giorni, non potrà, quindi, eccepire la tempestività della presentazione avvenuta nella cancelleria del giudice incompetente nè dolersi del ritardo o dell’errore nella trasmissione.

Tal che se ne faceva conseguire che, nè la cancelleria erroneamente compulsata potrà rispondere dell’eventuale ritardo o dell’errore nella trasmissione, nè l’amministrazione potrà essere onerata delle spese necessarie per la trasmissione medesima atteso che, ragionando diversamente, si finirebbe per vanificare la previsione dell’art. 311 c.p.p., comma 3, che individua nella cancelleria del giudice a quo l’unico luogo per il deposito del ricorso così escludendo ogni forma alternativa di presentazione.
Le Sezioni Unite, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio di diritto: “il ricorso cautelare per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame o, in caso di ricorso immediato, del giudice che ha emesso la misura, deve essere presentato esclusivamente presso la cancelleria del tribunale che ha emesso la decisione o, nel caso indicato dall’art. 311 c.p.p., comma 2, del giudice che ha emesso l’ordinanza, ponendosi a carico del ricorrente il rischio che l’impugnazione, presentata ad un ufficio diverso da quello indicato dalla legge, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l’atto perviene all’ufficio competente a riceverlo”.

Conclusioni

La decisione in questione è assai interessante in quanto con essa, componendosi un pregresso contrasto giurisprudenziale, si giunge a formulare il seguente principio di diritto: “In conclusione, deve essere affermato il seguente principio di diritto: “il ricorso cautelare per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame o, in caso di ricorso immediato, del giudice che ha emesso la misura, deve essere presentato esclusivamente presso la cancelleria del tribunale che ha emesso la decisione o, nel caso indicato dall’art. 311 c.p.p., comma 2, del giudice che ha emesso l’ordinanza, ponendosi a carico del ricorrente il rischio che l’impugnazione, presentata ad un ufficio diverso da quello indicato dalla legge, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l’atto perviene all’ufficio competente a riceverlo”.
Tale arresto giurisprudenziale, dunque, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di comprendere presso quale cancelleria del Tribunale deve essere correttamente presentato il ricorso cautelare per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame o, in caso di ricorso immediato, della decisione del giudice che ha emesso la misura.Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su cotale tematica procedurale, quindi, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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