(a proposito di Giudice di Pace di Adrano, 5 gennaio 2021)
La scommessa a quota fissa, in cui la vincita è un multiplo dell’importo scommesso che il bookmaker è obbligato in proprio direttamente a pagare, si conclude con il versamento del denaro da parte del giocatore al quale fa seguito la consegna del biglietto attestante la scommessa da parte dell’operatore e che costituisce l’unico titolo necessario per riscuotere la vincita.
Il recente intervento del Giudice di Pace di Adrano, nella sentenza qui in esame (n. 47 del 30 novembre 2020), rappresenta un ulteriore tassello (accanto a quello delle scommesse a palinsesto aperto) da inserire nell’acceso dibattito relativo alla rilevanza giuridica del fenomeno del “gioco” e della “scommessa”.
Il quadro normativo di riferimento – tanto nazionale quanto euro unitario – a ben vedere non si esprime in termini di disfavore nei confronti del gioco d’azzardo in quanto tale (è dato di comune esperienza l’istituzione di nuovi casinò, la creazione di varie lotterie e concorsi a premi basati prevalentemente sulla sorte, la proliferazione dei punti di accettazione delle scommesse), sempre che esso non sfugga al controllo degli organismi statali e non si esponga alle infiltrazioni criminali (Cass. pen., sez. un., 26 aprile 2004, n. 3272).
Gioco autorizzato
In estrema sintesi può dirsi che le esigenze erariali hanno fatto premio su sempre più flebili istanze morali così che l’area del gioco autorizzato è venuta progressivamente estendendosi.
A completamento di queste considerazioni di carattere generale si consideri che la diffusione sempre più capillare della rete internet permette oggi <<la raccolta a distanza delle giocate>> quale modalità innovativa di giochi esistenti oltre che strumento per la diffusione di giochi nuovi e diversi (Cons. Stato, sez. IV, 7 maggio 2012, n. 2621).
Naturalmente nel settore del gioco on line vi sono regole e procedure particolari che valgono a caratterizzarne gli elementi costitutivi, rispetto ai canoni tradizionali della raccolta delle scommesse (lo scommettitore utilizza un sito web ad hoc, è identificato e deve usare il conto gioco; i pagamenti sono tutti tracciati e si ha una movimentazione di denaro in tempo reale dall’internet service provider al totalizzatore nazionale).
Resta comunque un dato di fatto insuperabile: la scommessa – qualunque sia il canale in cui essa sia posta in essere, ovvero sia quello tradizionale che quello on line – è, per sua natura, un contratto aleatorio concluso tra due soggetti ed in forza del quale lo scommettitore punta (quindi paga) un certa somma sul risultato di un determinato evento, non ancora disputato (incerto), e il concessionario (bookmaker) si impegna a restituirgli tale somma, maggiorata di una percentuale previamente indicata, nel caso in cui disputato l’evento il risultato corrisponda a quello su cui ha scommesso il primo.
A caratterizzare tale contratto vi è dunque l’alea, ovvero l’incertezza del risultato, atteso che nel momento in cui il contratto è concluso né lo scommettitore, né il concessionario sono a conoscenza del risultato dell’evento, ad esempio sportivo, su cui viene effettuata la scommessa, in quanto non ancora disputato / concluso (Trib. Cosenza, 15 novembre 2018, n. 2434; Trib. Gorizia, 17 ottobre 2018, n. 442: Cass. civ., sez. III, 2 dicembre 1993, n. 11924).
Orbene venendo più da vicino all’intervento reso dal Giudice di Pace di Andrano deve considerarsi come, in materia di scommesse raccolte su rete fissa, secondo la definizione dell’art. 2 D.M. 1 marzo 2006, n. 111, il contratto si deve intendere concluso con l’accettazione e la registrazione della scommessa da parte del totalizzatore nazionale (art. 6 D.M.), attestata dalla ricevuta di partecipazione, che garantisce l’avvenuta registrazione della scommessa nel totalizzatore nazionale e costituisce, in caso di vincita o di rimborso, l’unico titolo al portatore valido per la riscossione (art. 1 lett. p, art. 18 del D.M. in esame).
L’erario
Una volta registrata la giocata, ed emessa la ricevuta, il concessionario assume verso il giocatore, e verso l’erario, l’obbligo di riversare tutte le somme loro dovute, commisurate all’importo della giocata, indipendentemente dall’incasso effettivo, che necessariamente si svolge sotto il suo esclusivo controllo e sotto la sua responsabilità (Trib. Roma, sez. IX, 17 luglio 2017, n. 14491).
Nel merito della vicenda all’esame dell’adito Giudice di Pace lo scommettitore (attore) chiedeva di vedersi corrisposto l’importo della vincita per la quale aveva smarrito il relativo biglietto e a sostegno delle sue ragioni invocava l’assunto facente capo a Cass. civ. n. 11774/2013 (che riconosce il diritto della riscossione della vincita, nel caso del gioco del Totocalcio, qualora il vincitore non sia in grado di produrre il “tagliando figlia”, se sia accertata la sussistenza di ampi e obiettivi elementi di identificazione dell’avente diritto, come stabilito dal D.M. 23 marzo 1963).
Ai fini della soluzione della questione rileva, innanzitutto, la citata norma ex art. 1, comma 2, lett. p) D.M. n. 111/2006 secondo cui, in estrema sintesi, l’unica condizione legittimante al fine di ottenere il pagamento della vincita (trattandosi di scommessa a quota fissa), è rappresentata dalla disponibilità materiale del ticket, così da poterlo rendere disponibile al momento della richiesta (vedi riferimento art. 18 D.M. 111 cit.).
La giurisprudenza nell’affrontare la questione ha ritenuto che <<la scommessa a quota fissa si conclude con il versamento del denaro da parte del giocatore al quale fa seguito la consegna del biglietto attestante la scommessa da parte dell’operatore, biglietto che costituisce il titolo necessario per riscuotere la eventuale vincita. Non risulta costituire prova inconfutabile la fotografia del biglietto, in quanto sprovvista di valore legale, né la denuncia di furto>> (Giudice di Pace di Ferrara, 5 luglio 2018, n. 531).
Il richiamo, poi, alla sentenza resa da Cass. civ., n. 11774 del 2013 è inconferente in quanto la stessa riguarda altra tipologia di gioco (come detto, il Totocalcio) e quindi non è applicabile al caso qui in esame.
Invero, all’interno della più ampia fattispecie del contratto di scommessa esistono due diverse tipologie contrattuali:
1) il c.d. concorso a pronostici, in cui il concessionario della scommessa funge soltanto da intermediario con i giocatori, con il compito di raccogliere le giocate e di ripartire la vincita, la cui entità deriva dalle somme giocate dai partecipanti e dal numero dei vincitori;
2) la scommessa a quita fissa, in cui la vincita è un multiplo dell’importo scommesso che il concessionario è obbligato in proprio direttamente a pagare.
Le scommesse a quota fissa si concludono con il versamento del denaro da parte del giocatore al quale fa seguito la consegna del biglietto attestante la scommessa da parte dell’operatore, biglietto che costituisce il titolo necessario per riscuotere la vincita.
Pertanto il Totocalcio ha natura diversa rispetto alla fattispecie della scommessa a quota fissa, essendo un concorso a pronostici e, all’epoca della richiamata pronuncia della Cassazione, era disciplinato da apposito regolamento, differente dal D.M. n. 111/2006.
Nello specifico, ai sensi dell’art. 4 D.M. 30 luglio 1998, di modifica del previgente D.M. 23 marzo 1963 in materia di Totocalcio, si prevedeva: <<La partecipazione al concorso risulta da apposite schede distribuite dall’ente gestore consistenti in fogli composti di almeno due parti (tagliandi figlia e matrice). Sulla prima parte (tagliando figlia) sono indicati, singolarmente o accoppiati, i nomi delle squadre e/o dei competitori inclusi nel concorso>>.
La diversità delle due tipologie di gioco è pertanto evidente: nel gioco del “Totocalcio” si rinvengono due tagliandi, “figlia” e “matrice”, di cui il secondo (“tagliando matrice”) resta in mano al preposto alla ricevitoria. È evidente come, in tal caso, il possesso materiale del tagliando costituisca un valore indubbiamente meno essenziale rispetto al ticket relativo alla scommessa disciplinata ex DM. n. 111/2006.
Il regolamento del totocalcio è poi stato sostituito con il D.M. 19 giugno 2003, n. 179 che, all’art. 11, prevede che <<la ricevuta di partecipazione, in originale ed integra in ogni sua parte, costituisce l’unico titolo al portatore valido per la riscossione dei premi e per la richiesta dei rimborsi, solo a seguito di avvenuta verifica>>, analogamente alla disciplina per le scommesse a quota fissa.
Volendo concludere sul punto
– per espressa previsione legislativa (art. 1, comma 2, lett. p) del D.M. n. 111/2006), la ricevuta di partecipazione (i.e. il c.d. ‘ticket’) rappresenta “il titolo che garantisce l’avvenuta registrazione della scommessa nel totalizzatore nazionale e che costituisce, in caso di vincita o di rimborso, l’unico titolo al portatore valido per la riscossione degli stessi”. Pertanto, l’unica condizione legittimante al fine di ottenere il pagamento della vincita, è rappresentata dalla disponibilità materiale del ticket, così da poterlo rendere disponibile al momento della richiesta.
– anche il precedente in merito conferma che “la scommessa a quota fissa si conclude con il versamento del denaro da parte del giocatore al quale fa seguito la consegna del biglietto attestante la scommessa da parte dell’operatore, biglietto che costituisce il titolo necessario per riscuotere la eventuale vincita. Non risulta costituire prova inconfutabile la fotografia del biglietto, in quanto sprovvista di valore legale, né la denuncia di furto” (Giudice di Pace di Ferrara, sentenza n. 531 del 5 luglio 2018)
– la citata materiale possessione del titolo si renderebbe altresì necessaria per l’adempimento dei fini fiscali di cui agli articoli 9 e 11 del D. Lgs. n. 471/1997;
– che non desiste alcun beneficio economico dal mancato pagamento della vincita in capo al concessionario. L’art. 20 del citato D.M. 111/2006 obbliga questi infatti al versamento all’erario delle somme relative alle vincite non riscosse.
Sostanzialmente, e a tutto voler concedere, ci si troverebbe – nel momento della richiesta di pagamento per un biglietto smarrito – di fronte ad un rapporto con tre soggetti (concessionario, giocatore, erario), in cui la presunta vincita incamerata dall’erario non consentirebbe al giocatore di rivolgersi al concessionario, trattandosi di una mera duplicazione di un rapporto debito/credito, e trovandosi il concessionario nella paradossale situazione di dover pagare due volte.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI
ADRANO
Il Giudice di Pace di Adrano, Avv. Giuseppe Greco, ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa assunta al n. 236/2018 del ruolo generale degli affari civili, promossa da: SCHILIRO’ VICENZO, nato a Biancavilla il 18.09.1996 e residente in Adrano in via Catania n. 180, c.f. SCH VCN 96P18 A841N, elettivamente domiciliato in Adrano in via Aurelio Spampinato n.33 presso lo studio dell’Avv. Dario Di Stefano, che lo rappresenta e difende – attore –
contro: EUROBET ITALIA S.R.L. UNIPERSONALE, con sede in Roma (00148) via Alessandro Marchetti n.105, cod. fisc. 03620640106, in persona del legale rappresentante pro tempore e amministratore delegato Dott. Andrea Faelli, rappresentata e difesa dall’Avv. Cino Benelli, elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’Avv. Cinzia Cattoretti, in Catania in via Pietro Toselli n.35.
– convenuta –
– AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, con sede legale in Roma in via Mario Carucci n.71, patrocinata dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania ed elettivamente domiciliata presso i suoi Uffici, siti in via Vecchia Ognina n.149 Catania – convenuta –
Oggetto: Condannatorio
CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da verbali d’udienze e note scritte.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato nei termini di legge, l’attore conveniva in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Adrano l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ed Eurobet Italia S.R.L., affinchè venissero condannate, in solido tra loro, al pagamento della somma di € 1.831,50, quale premio della scommessa vincente, relativa al biglietto riportante le prime cifre IDDF07E10A1D0409.
Il suddetto contenzioso nasce dal fatto che, al momento dell’incasso del premio, l’istante si è reso conto di avere smarrito il relativo biglietto e di avere denunciato la suddetta perdita alla Stazione dei Carabinieri di Adrano in data 3 novembre 2017.
Iniziato il processo, si costituivano in giudizio entrambe le parti convenute, contestando la richiesta attorea; l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli contestava, fra l’altro, il proprio difetto di legittimazione passiva nei confronti dei concessionari. Condotta la fase istruttoria con l’escussione di prova orale,
all’udienza del 15.09.2020, essendo state precisate le conclusioni, il Giiudice, ritenuta la causa matura, la assegnava a sentenza.
MOTIVI DELLA DECISONE
Va preliminarmente delibata la questione relativa alla eccepita carenza di legittimazione passiva della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Sul punto va detto che ai sensi dell’art. 17 del D.M. 111/2006 l’unico soggetto obbligato al pagamento della eventuale vincita è il concessionario. L’Agenzia, invero, ha solo il compito di provvedere a tutelare i consumatori, invitando i concessionari al tempestivo adempimento e adottando, se ne ricorrono i presupposti, eventuali provvedimenti sanzionatori.
Non è quindi configurabile una coobbligazione del concedente con il concessionario per i debiti contratti da quest’ultimo.
Il diritto alla riscossione delle somme oggetto di vincita nasce da un rapporto contrattuale privatistico sorto tra il privato e il concessionario ove è stata acquistata la ricevuta, dato che si tratta di scommesse a quota fissa che, ai sensi dell’art. 1 lett. Q del D.M. 111/2006, è la scommessa per la quale la somma da riscuotere, in caso di vincita, è preventivamente concordata tra il partecipante e il concessionario delle scommesse”.
L’Agenzia delle Dogane, quindi, è soggetto terzo rispetto al rapporto contrattuale in quanto si è limitata a porre in essere quello di concessione con la ricevitoria.
Alla luce di quanto sopra va dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Agenzia delle Dogane e Dei Monopoli convenuta.
Passando al merito della questione va detto che la vincita può essere riscossa solo sulla base dell’esibizione della ricevuta di partecipazione che, quindi, costituisce unico valido titolo.
Invero, alla luce dell’art. 1 lett. P. e dell’art. 18 comma 4 del D.M. 111/2006, per “ricevuta di partecipazione” si intende “il titolo che garantisce l’avvenuta registrazione della scommessa nel totalizzatore nazionale e che costituisce, in caso di vincita o di rimborso, l’unico titolo al portatore valido per la riscossione”. Pertanto, una dichiarazione che provenga dal concessionario, o come nel caso di specie, dal “soggetto autorizzato a stare nel Back Office” dal concessionario (vedi dichiarazione testimoniale resa dal teste Franco Pietro Carmine del 21.10.2019), non può essere considerato titolo idoneo ai fini della riscossione; né la giurisprudenza richiamata dall’attore può essere di sostegno alle richieste avanzate dallo Schillirò.
A ben vedere il precedente giurisprudenziale citato ( Cass. 15 maggio 2013 n. 11774) riguardava altra tipologia di gioco da quella per la quale è processo, trattandosi del “Totocalcio”. In tale ultimo gioco, invero, si rinvengono due tagliandi, “figlia e matrice”, di cui il secondo ( tagliando matrice) resta in mano alla ricevitoria. In definitiva la succitata sentenza della Suprema Corte di Cassazione riguarda il mancato pagamento di una vincita derivante da un concorso a pronostici, mentre nel caso che ci occupa si è in presenza di una scommessa a quota fissa in cui la vincita è un multiplo dell’importo scommesso che il bookmaker deve pagare in proprio.
Quindi la scommessa a quota fissa si conclude con il versamento del denaro da parte del giocatore al quale fa seguito la consegna del biglietto attestante la scommessa da parte dell’operatore, biglietto che costituisce il titolo necessario per riscuotere l’eventuale vincita.
La domanda, per quanto sopra motivato non può trovare accoglimento.
Sussistono le eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite, stante la natura della questione trattata.
P.Q.M.
Preliminarmente dichiara il difetto di legittimazione passiva della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Definitivamente decidendo non accoglie la domanda proposta dal sig. Schilirò Vincenzo. Spese compensate.
Così deciso in Adrano, 15/10/2020 IL GIUDICE DI PACE
[/Fonte]
rif
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