Normativa di riferimento: Art. 572 c.p.
I fatti che hanno provocato la decisione della Corte di Cassazione.
La pronuncia in epigrafe della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, trae origine da una serie di condotte violente, poste in essere da B.S. nei confronti della propria compagna, per cui viene condannato sia dal Tribunale di Roma che dalla competente Corte d’Appello. Avverso la sentenza disposta dal giudice di Secondo Grado, l’imputato propone ricorso per Cassazione, a mezzo del suo difensore, articolandone due motivi così enunciati: in relazione al delitto di violenza sessuale, osserva che la sentenza di primo grado si era limitata a ripercorrere le dichiarazioni della persona offesa senza peraltro trattare in maniera autonoma tale delitto, offrendo una motivazione sostanzialmente apparente, mentre la Corte territoriale si sarebbe limitata a rilevare la attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa sottraendosi, però, all’esame critico degli elementi di prova dedotti dalla difesa dell’imputato, senza peraltro riuscire a collocare nel tempo l’episodio di violenza sessuale contestato; altresì deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al delitto di maltrattamenti familiari, segnalando la insussistenza dell’elemento costitutivo della convivenza, evidenziando anche la differenza tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori, osservando, in particolare, che l’applicazione dell’art. 572 c.p., sarebbe connessa all’accertamento di rapporti legali di coniugio ovvero di rapporti ad esso assimilabili, individuabili nelle diverse situazioni riconducibili alla c.d. famiglia di fatto, distinguendoli dalle mere relazioni sentimentali, ancorché connotate da occasionale condivisione domestica, che non assumerebbero alcuna rilevanza tipica ai fini della configurabilità del reato.
La Cassazione ritiene configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia nel caso di atti posti in essere nell’ambito di una stabile relazione sentimentale.
Circa il primo motivo, in cui si deduce una violazione nell’applicazione dell’art.610 codice penale, la Cassazione ritiene che questo sia infondato. Secondo la Suprema Corte, infatti la Corte d’Appello correttamente dispone la condanna dell’imputato, in quanto le considerazioni appaiono assistite da tenuta logica e coerenza strutturale e precedono le valutazioni sulla sussistenza dell’episodio di violenza sessuale. Questa viene esaminato specificamente, tramite una complessiva valutazione di attendibilità della persona offesa e dei riscontri esterni. Per tale motivo, il ricorso circa tale punto non può essere accolto. Per quanto concerne il secondo motivo, occorre considerare che anche la sussistenza degli episodi ritenuti configurare il delitto di maltrattamenti è stata oggetto di accurata disamina da parte del Giudice di Secondo Grado, tenendo ancora una volta in considerazione non soltanto il complesso delle dichiarazioni della persona offesa, ma anche i risconti esterni, nonché evidenziando la conflittualità che caratterizzava il rapporto di coppia. In tale contesto si è ritenuto accertata anche la convivenza, la cui sussistenza è oggetto di contestazione in ricorso. La Corte d’Appello ha dato atto dell’esistenza di una stabile relazione tra imputato e persona offesa, in quanto la donna andò a vivere nell’abitazione di costui, anche portando talvolta con sé la propria figlia. Sebbene successivamente la donna avesse deciso di allontanatasi , manteneva in locazione il proprio appartamento, provvedendo al pagamento del canone, insieme al contributo economico dall’imputato. Sulla base di tali fattuali la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di una stabile relazione sentimentale, connotata da assidua frequentazione e, talvolta, coabitazione dell’appartamento dell’imputato e da doveri di assistenza morale e materiale, in quanto tale caratterizzante il requisito della ‘convivenza’ ritenuto necessario dalla giurisprudenza di questa Corte per la configurabilità del delitto di cui all’art. 572 del codice penale. Ad avviso del Collegio, tale motivazione non risulta sufficiente. Come ricordato nelle recente sentenza della Sezione VI, n. 37628 del 25/6/2019, il delitto di maltrattamenti ha, quale presupposto, una relazione tra agente e vittima caratterizzata da uno stabile rapporto di affidamento e solidarietà, con la conseguenza che la condotta lesiva della dignità della persona, provochi una lesione dei principi di fiducia e condivisione, a cui dovrebbe ispirarsi ogni ordinario rapporto affettivo. ll reato di maltrattamenti, ricorda la citata pronuncia, viene riconosciuto anche in relazione a situazioni di cessata convivenza e si evidenzia, testualmente, come il reato sia configurabile anche al di fuori della famiglia legittima, in presenza di un rapporto di stabile convivenza, che come tale suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione Si osserva, altresì, che pur mancando vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in presenza di una relazione sentimentale che abbia comportato un’assidua frequentazione della abitazione della persona offesa tale da far sorgere sentimenti di solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale , come enuncia la Sez. V, nella sentenza n. 24688 del 17/3/2010. Questi sentimenti sono infatti ritenuti espressione della comune volontà di costuire un progetto di vita basato su tali principi(Sez. VI, n. 22915 del 7/5/2013, Rv. Sez. VI, n. 23830 del 07/05/2013, Rv. 256607).
La decisione della Cassazione: il ricorso viene accolto nel secondo motivo poiché non vi sono elementi idonei ad accertate la formazione di una stabile convivenza.
Ciò posto, la Corte di Cassazione ritiene che la sentenza impugnata non offra adeguate indicazioni in ordine alla dimostrata esistenza di un rapporto tra l’imputato e la persona offesa collocabile nell’ambito di quelli individuati, ai fini dell’applicabilità dell’art.572 c.p. e secondo quanto disposto dalla giurisprudenza della Cassazione. Infatti, pur dando atto in sentenza della sussistenza di “ una stabile relazione tra imputato e persona offesa, malata e tumultuosa”, viene anche affermato che la stessa risultava instaurata da non molto tempo e, quanto alla coabitazione, essa era consistita nella permanenza “anche per due o tre giorni consecutivi’ nella casa dell’imputato durante i turni di riposo dello stesso” .Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomentazioni che non rendono adeguatamente conto della effettiva sussistenza di un rapporto di convivenza caratterizzato da stabilità e, soprattutto, da mutua solidarietà, atteso che dei doveri di reciproca assistenza morale e materiale che connoterebbero il rapporto tra imputato e persona offesa viene soltanto fatta menzione, senza tuttavia offrire una giustificazione fondata su elementi oggettivi.
Tale lacuna impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello per nuovo giudizio sul punto. Per tali motivi annulla la sentenza impugnata limitatamente all’art. 572 c.p. – con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, mentre rigetta la restante parte del ricorso.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento