Esclusione dall’amministrazione di uno dei coniugi
Come enuncia l’intestazione dello stesso art. 183, questi tratta dell’ esclusione dall’amministrazione di un coniuge che potrà avvenire per iniziativa giudiziale dell’ altro coniuge ( comma 1°) oppure di diritto ( comma3°).
L’esclusione giudiziale di uno dei coniugi può essere richiesta dall’altro coniuge per minore età, per impossibilità di amministrare e infine per cattiva amministrazione.
La prima ipotesi fa cenno esclusivamente all’età del coniuge senza prendere in considerazione la disciplina dell’ inabilitato, quando il genere il codice applica a questi la stessa disciplina prevista per il minore emancipato, che in questo caso lo sarà di diritto con il matrimonio ( art. 424).
Certamente non può confondersi il caso dell’interdetto con l’inabilitato così che non potrà esservi per questi l’esclusione di diritto dalla comunione, essendo il caso dell’interdetto l’unico per cui è previsto dal 3° comma l’esclusione di diritto.
Consegue che l’inabilitato dovrà avere trattamento uguale a quello previsto per il minore emancipato.
Nella seconda ipotesi occorre coordinare quanto dispone l’art. 182 con quello contenuto nell’art. 183, l’impedimento contenuto in quest’ultima norma dovrà avere “carattere permanente o comunque di lunga durata” (Schlesinger) (48).
E’ da tenersi presente che “la domanda di esclusione non si pone in alternativa con quella di separazione giudiziale dei beni (art. 193)” (Schlesinger – 49).
Ultima ipotesi è la cattiva amministrazione della comunione famigliare, bisogna specificare il significato che si intende dare all’espressione cattiva amministrazione.
Una chiara delimitazione è quella che si ottiene dal confronto con le regole del mandato, tesi patrocinata da Busnelli (50).
Secondo l’art. 1710 comma 1°, il mandatario è tenuto ad agire con la diligenza del buon padre di famiglia, diligenza che non è eccessivo richieder anche al coniuge nell’amministrazione della comunione legale. A differenza della precedente ipotesi in questa la domanda di esclusione dall’amministrazione è alternativa alla separazione giudiziale dei beni.
Sin pone il problema dell’ampiezza dei poteri dell’unico coniuge amministratore, tenendo presente che il problema riguarda unicamente gli atti di amministrazione straordinaria.
Sebbene alcuni autori, come Fornaro e Plantade (51), abbiano negato tale possibilità, più convincente è la tesi contraria sostenuta da Schlesinger con la constatazione “che l’art. 182 ammette la possibilità di ottenere l’autorizzazione giudiziale solo per gli atti necessari, laddove l’amministrazione di un patrimonio impone che si provveda pure al compimento degli atti semplicemente utili od opportuni” (52).
Il secondo comma dell’art. 183 prevede la cessazione dell’esclusione giudiziale, al venir meno delle cause che le avevano determinate, con un provvedimento di reintegrazione nell’amministrazione su richiesta del singolo coniuge interessato.
Non è tuttavia chiaro se un simile provvedimento sia necessario anche nei confronti di un minore precedentemente escluso, oppure sia sufficiente il semplice raggiungimento della maggiore età.
Interdizione
Si era già accennato al terzo comma, in cui è previsto l’unico caso di esclusione di diritto dall’amministrazione della comunione, ossia l’ipotesi di interdizione. In questo caso la reintegrazione nell’amministrazione avverrà di diritto, senza necessità di alcuna richiesta, al venire meno della causa che ha determinato l’esclusione.
Può accadere che il coniuge escluso o il suo curatore rilevino abusi da parte dell’unico coniuge amministratore, potrà chiedersi in tal caso la separazione giudiziale dei beni ai sensi dell’art. 193.
Infine non è da ignorare l’ipotesi in cui entrambi i coniugi siano interdetti oppure inabilitati. In questo caso propongono Cian e Villani la separazione giudiziale dei beni ai sensi dell’art. 193, in quanto “la ratio in generale della norma in commento è appunto la volontà di escludere la presenza di estranei nell’amministrazione della comunione” (Cian e Villani – 53).
Atti compiuti senza il necessario consenso
Il gruppo delle norme amministrative termina con l’art. 184 che disciplina le conseguenze per gli atti compiuti senza il necessario consenso.
La disposizione non è delle più chiare tanto è vero che ha dato luogo a notevoli controversie interpretative, comunque può grossolanamente distinguersi in due parti, una riguardante i beni immobili o mobili registrati, l’altra i beni mobili non registrati.
Consideriamo i primi due commi, essi recitano l’annullabilità degli atti compiuti da un coniuge senza il consenso dell’altro e da questo non convalidati.
L’azione dovrà essere proposta entro un anno dalla data di trascrizione, oppure dal momento in cui ha avuto conoscenza dell’atto o se non si realizzano i due precedenti casi dal momento dello scioglimento della comunione.
Nel terzo ed ultimo comma si grava il coniuge che ha compiuto l’atto senza il consenso necessario dell’onere di ricostituire la comunione nello stato originario o, se ciò non è possibile, di versare alla comunione l’equivalente del bene mobile distorto dalla stessa.
Schlesinger si è lamentato del carattere estremamente limitato della norma, in quanto rimarrebbero estranee ad essa notevoli ipotesi quali la riscossione di un capitale, la concessione di una dilazione, l’accollo, la remissione di un debito ecc., per non parlare dei casi nei quali “il difetto della partecipazione di un coniuge rende certamente inefficace l’iniziativa di chi ha agito, senza riguardo all’oggetto dell’atto” (Schlesinger – 54), così l’azione giudiziaria, il compromesso, l’accordo di risoluzione consensuale di un contratto stipulato dal coniuge.
In tutti questi casi gli atti saranno per la comunione completamente inefficaci, limitandosi l’applicabilità dell’art. 184 “solamente agli atti dispositivi di cose della comunione (immobili o mobili)” (Schlesinger 55).
Concordi con Schlesinger sulla esclusione dalla previsione della norma degli atti che non determinano una disposizione di beni comuni sono i Finocchiaro (56), i quali tuttavia non concordano sull’inefficacia per la comunione di tutti quegli atti eccedenti la norma per cui non vi sia stato il consenso del coniuge.
Non possono ritenersi inefficaci nei confronti della comunione atti quali transazioni per il risarcimento di danni conseguenti alla perdita di capacità lavorativa, oppure contratti di mutuo o addirittura atti dispositivi di “crediti comuni”. In tutti questi casi si applicherà non già l’articolo in esame ma “le regole generali in tema di obbligazioni con una pluralità di creditori” (Finocchiaro – 57).
Per una sistemazione globale della materia
Una sistemazione globale della materia attraverso una visione d’insieme ha tentato Corsi. I risultati sono interessati per la chiara distinzione che viene a realizzarsi, tale da coprire qualsiasi atto che incida sulla comunione.
L’autore parte dalla semplice osservazione che i primi due commi disciplinano gli atti sotto il profilo del rapporto con i terzi, mentre l’ultimo comma disciplina unicamente con riguardo al rapporto interno, per giungere alla conclusione che “il legislatore non ha voluto sovrapporre ad una disciplina già esistente una nuova e diversa regolamentazione, che la soppiantasse. Esso ha voluto amalgamare il tutto” (Corsi – 58), questo anche nel silenzio di una qualsiasi indicazione nei lavori parlamentari circa le ragioni per le quali è stata accolta l’attuale formulazione.
Ne deriva che l’art. 184 non è più la norma fondamentale della disciplina, ma una norma particolare che disciplina problemi particolari.
Regola fondamentale è l’inefficacia nei confronti della comunione e dell’altro coniuge degli atti di amministrazione straordinaria compiuti unilateralmente da uno dei coniugi, questo non vuol dire che la comunione non sia coinvolta neppure indirettamente, perché in realtà i beni comuni, nei limiti del “valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”, sono pur sempre coinvolti ai sensi dell’art. 189, comma 1°.
Unica eccezione a questa regola è individuata dall’Autore nelle obbligazioni assunte “nello interesse della famiglia”, infatti queste gravano sui beni comuni anche quando siano state contratte dai coniugi separatamente secondo quanto si desume dall’art. 186, lett. c).
Totalmente diversa è la situazione nel caso in cui vi siano degli atti diretti a produrre effetti di carattere reale e non puramente obbligatori come nell’ipotesi precedente.
Qui interviene l’art. 184 non potendo avere la regola dell’inefficacia, innanzi prevista, quella relatività di applicazione consentita nei rapporti obbligatori e che ha permesso la stesura dell’art. 189, comma 1°, senza considerare i contrasti a cui va incontro con una serie di norme inderogabili disciplinanti gli effetti del possesso (artt.1153 ss.), della trascrizione (artt. 2643 ss.) e della vendita di beni altrui (artt. 1478 ss.).
In tal modo vengono a superarsi molte difficoltà a partire da quelle dovute all’applicazione delle regole obbligazionarie ai crediti comuni senza tuttavia provvedere a limitare l’applicazione dell’art. 184 agli atti aventi effetti reali, ma considerandolo applicabile in generale a tutti gli atti di disposizione.
Anche le lamentele di Schlesinger non hanno più ragione di essere, per non parlare, poi, della coordinazione dell’art. 184 con gli artt. 186 e 190 che può finalmente avere una sistemazione logica senza eccessivi contorsionismi, infatti non potranno esservi, in mancanza del consenso di entrambi i coniugi, obbligazioni gravanti direttamente sui beni della comunione o sui beni personali dell’altro coniuge.
La tesi di Corsi non sembra del resto isolata, se si può intendere in questi termini l’affermazione di Oppo secondo cui sono soggetti all’art. 184 gli atti “traslativi o costitutivi di diritti sui beni comuni” (Oppo – 59).
La ratio della norma non sembra potersi esaurire nella difesa della posizione dei terzi, intendendo in realtà contemperare la necessaria tutela dei terzi che vengono in contatto con la comunione, con la difesa dell’unità e della corretta amministrazione della comunione stessa, insita in particolare modo nel terzo comma.
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Azioni di annullamento
Viene così a chiarirsi la possibilità concessa al coniuge nel 1° comma di una azione di annullamento indipendente dalla buona o mala fede del terzo acquirente, anche se questi si è fidato di documenti ineccepibili eventualmente avallati da un notaio.
Per evitare spiacevoli sorprese sono state proposte vari vie a cui il terzo dovrebbe affidarsi, la prima, proposta da Schlesinger (60), consiste nel vincolare la controprestazione a favore della comunione, sottraendola quindi alla disponibilità del singolo coniuge intervenuto all’atto, per tutto il periodo del termine concesso per fare valere l’annullabilità, la seconda o meglio le altre due sono proposte dai Finocchiaro.
Gli autori, dopo aver ricordato che il consenso mancante deve essere dato per iscritto, come del resto è riconosciuto dallo stesso Schlesinger, ritengono più opportuno, al fine di evitare problemi che sorgerebbero, come nel caso di controprestazioni costituite da assegni, che il terzo, in caso di azione di annullamento, si renda inadempiente o invochi un inadempimento della propria controparte, oltre una eventuale azione di danni nei confronti del coniuge agente (61).
Un particolare problema che la tesi di Corsi supera agevolmente è dato dai diritti personali di godimento, sui quali verrebbero applicati i principi obbligatori anziché l’art. 184, da cui ne consegue l’inefficacia dell’atto posto in essere senza il consenso di uno dei coniugi.
Cade in contraddizione Schlesinger quando, dopo avere escluso dall’applicabilità dell’art. 184 tutti gli atti che non siano atti di disposizione, ammette quale eccezione i contratti di locazione infranovennali di beni immobili che, rientrando pienamente tra i diritti personali di godimento.
Del resto è lo stesso autore che si rende conto della propria posizione quando riconosce di avere alterato i principi da lui precedentemente sostenuti e conclude che più “di annullamento si tratterà di un’azione di risoluzione” (Schlesinger – 62).
Del tutto opposta è la posizione dei Finocchiaro che sostengono la piena validità del contratto infranovennale e l’impossibilità di qualsiasi azione di annullamento da parte dell’altro coniuge, sua unica possibilità è un’azione di risarcimento nei confronti del partner se il contratto si rilevi pregiudizievole per la comunione.
Le argomentazioni a favore non reggono a partire dalla mancanza della data di trascrizione. La sua mancanza, se esclude l’applicabilità dell’art. 184 al caso presente, non giustifica per questo la validità dell’atto (63).
Il 1° comma ammette la possibilità della successiva convalida dell’atto da parte dell’altro coniuge, ma questa convalida dovrà avvenire per atto scritto, essendo inammissibile un semplice comportamento concludente.
Schlesinger (64) sostiene l’estensione del 3° comma alle ipotesi previste nel 1° comma. Il coniuge che ha compiuto l’atto senza il consenso dell’altro coniuge dovrà ricostituire il patrimonio allo stato originario e, se questo risulta possibile, pagare l’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione.
Anche il terzo che senza sua colpa ha confidato sulla validità dell’atto potrà chiedere al coniuge stipulante il risarcimento del danno, in analogia con quanto detto nell’art. 1398, logicamente quanto detto non varrà se il terzo era in mala fede, perché consapevole del difetto del consenso mancante.
Interpretazioni dell’art. 184, 3° comma
Nonostante il non equivoco disposto dal 3° comma dell’art. 184 di questo sono state date diverse interpretazioni che possono riassumersi in tre tipi.
La prima è quella fornita da Schlesinger per il quale gli atti di disposizione su beni comuni compiuti da un solo coniuge sono sempre invalidi. Infatti secondo l’autore il legislatore ha voluto evitare ogni indagine circa la buona o la mala fede del terzo che risulterebbe, del resto, molto complessa. Tuttavia l’invalidità “non è […] opponibile al terzo acquirente, anche se di mala fede,dopo che il bene gli sia stato consegnato” (Schlesinger – 65).
Obiettano i Finocchiaro (66) che dalla lettera della legge non vi evince l’invalidità di tali atti, anzi, al contrario, la loro piena validità, inoltre non è da sottovalutare che mentre contro gli atti relativi a beni immobili è concesso al coniuge estromesso un arco di tempo per decidere sull’eventuale azione di annullabilità, nei riguardi degli atti relativi a beni mobili egli può agire in qualsiasi momento.
Ne consegue che l’atto sarà pienamente valido e quindi i terzo potrà agire contro entrambi i coniugi per l’esecuzione dello stesso.
Sullo stesso piano si pone Oppo per il quale l’atto di disposizione unilaterale è “valido ed efficace senza neanche riguardo alla buona o mala fede del terzo” (Oppo – 67).
Ma una categoricità del genere è eccessiva puntando tutto sulla difesa del terzo e limitandosi per la comunione ad un obbligo di ricostituzione o risarcimento della stessa. D’altronde arrivare ad ignorare persino la colpa grave sembra davvero eccessivo, se si tiene conto del valore che possono avere determinati beni mobili.
Al contrario, partendo dal principio che il legislatore non ha voluto sostituire integralmente la materia, ma ha più semplicemente inteso completarla e correggerla rispetto al particolare istituto del regime patrimoniale familiare, si intuisce meglio perché nel 3° comma della norma in esame il legislatore si è limitato ad una disciplina interna tra i coniugi, ignorando completamente il rapporto della comunione con i terzi.
Si può concludere che l’art. 184, comma 3°, si collega naturalmente all’art. 1153, ossia alle normali regole relative all’acquisto della proprietà dei beni mobili in forza del possesso di buona fede. Non si venga a dire che l’art. 184, ultimo comma, non prevede la distinzione tra buona e mala fede, in quanto ai sensi dell’art. 1147 la buona fede è sempre presunta e può essere esclusa solo se l’ignoranza dipende da colpa grave.
“Il che induce evidentemente ad escludere che il terzo, il quale intenda acquistare un bene mobile, possa sentirsi, di regola, tenuto a controllare sui registri dello stato civile lo stato matrimoniale del venditore ed il relativo regime patrimoniale (oltretutto, il disporre di beni mobili può spesso rientrare nell’ambito dell’ordinaria amministrazione)” (Corsi – 68).
Hanno obiettato i Finocchiaro (69) che l’art. 1153 si riferisce all’acquisto di proprietà “a non domino” e non al problema, sostanzialmente diverso, della validità di un atto di disposizione compiuto da un condomino contro la volontà degli altri condomini.
Anche in questo caso può replicarsi agevolmente con la semplice osservazione che la legge di riforma del diritto di famiglia, n. 151/75, ha disciplinato in forma innovativa il regime patrimoniale della comunione legale, rendendolo completamente autonomo dalla generica comunione disciplinata dal codice civile.
Un’ultima osservazione, quasi un codicillo, è per i titoli di credito nominativi, essi e la dottrina è concorde, rientrano nella categoria dei beni mobili. Se poi sono intestati alla comunione sarà sufficiente la firma di uno solo dei coniugi per la girata, stante l’art. 184, comma 3°, ma essendo necessaria l’autentica della firma sarà difficile che il notaio o l’agente di cambio si prestino tanto facilmente, in quanto si tratta pur sempre di violare una norma anche se imperfetta.
Amministrazione dei beni personali del coniuge
Esaurita l’analisi della disciplina amministrativa della comunione un’ultima norma, l’art. 185, prende in considerazione l’amministrazione dei beni personali del coniuge.
L’utilità di una tale norma era già stata contestata nella discussione alla Camera dove si era prospettata l’opportunità di una totale soppressione dell’articolo in questione, dato che questi si limita a ripetere quanto contenuto nell’art. 217, tuttavia la norma è rimasta.
I commi richiamati sono il secondo, il terzo e il quarto ma è quest’ultimo che ha fatto sorgere maggiori problemi per una sua trasposizione.
La sua genericità nel considerare responsabile dei danni e della mancata percezione dei frutti il coniuge che, nonostante l’opposizione dell’altro, amministra o compie atti relativi a detti beni, ha creato un primo problema con riferimento alla categoria dei beni a cui intende riferirsi.
Certamente una sua estensione indiscriminata a tutti i beni immobili e mobili registrati è eccessiva ed inutile, in quanto la disciplina prevista dai commi 1° e 2° dell’art. 184 non può senz’altro estendersi ai beni personali immobili o mobili registrati per conseguenza logica, qualunque posizione si voglia assumere nei confronti dell’art. 184.
Non resta che applicare la norma in questione ai beni mobili, senza timor di logica più soggetti a possibili danni da parte dell’altro coniuge.
Altro problema è il possibile diritto d’uso dei beni personali del coniuge da parte degli altri familiari. Per alcuni beni “che sono personali proprio in funzione di una particolare destinazione (art. 179, lett. c, d ed e)” (Schlesinger 72) il problema non si pone neppure, mentre per gli altri Schlesinger mostra una certa perplessità che non dovrebbe sussistere, considerando nel giusto modo il problema.
Infatti i beni personali sono posti a disposizione completa del coniuge titolare con l’unico limite dell’obbligo di contribuire, ai sensi dell’art. 184, comma 3°, ai bisogni della famiglia, ma una volta soddisfatto un tale dovere, e si presume che non tutti i beni del singolo coniuge siano risucchiati in un tale obbligo, è la stessa qualità dei beni personali a far sì che spetti al coniuge decidere se metterli a disposizione e quindi ad uso della famiglia oppure no.
Un ultimo problema è quello nascente dall’inciso “nonostante l’opposizione dell’altro” che presume una esplicita opposizione del coniuge, al limite anche deducibile dal comportamento, ma si verrebbe a creare un vuoto tra la procura e l’opposizione che dovrebbe essere assimilato ora all’una, ora all’altra, più semplice dare all’art. 185 l’interpretazione da noi considerata che appianerebbe qualsiasi problema riferendo la norma ai beni mobili non registrati, più soggetti all’eventuale uso dei familiari fatto che dovrebbe essere la regola in regime di comunione legale.
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NOTE
48) – Schlesinger, citato, pag. 421 Vol. I
49) – Schlesinger, citato, pag. 421 Vol I
50) – Busnelli, citato, pag. 49
51) – Fornaro e Plantade, Guida al nuovo diritto di famiglia, Roma Pag. 65
52) – Schlesinger, citato, pag. 421 Vol. I
53) – Cian e Villani, citato pag. 170
54) , 55) – Schlesinger. Citato, pag. 423 Vol I
56) , 57) – A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato pag. 559, 560 Vol III
58) – Corsi , citato, pag. 141 e seg.
59) – Oppo, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, riv. dir. civ. 1976, pag. 116
60) – Schlesinger , citato , pag. 424 Vol. I
61) – A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato, pag. 565 Vol III
62) – Schlesinger , citato, pag. 424,425 Vol. I
63) – A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato, pag. 561 Vol. III
64), 65) – Schlesinger, citato, pag. 426, 427 Vol. I
66) – A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato pag. 566, 567 Vol. III
67) – Oppo, citato, pag. 109
68) – Corsi, citato, pag. 145 nota 115
69) – A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato pag. 566 Vol. III
70), 71) – Cian e Villano, citato, pag. 169
72) – Schlesinger, citato, pag. 428 Vol. I
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