(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 299, c. 4-ter)
Il fatto
Il Tribunale di Palermo, sezione specializzata per il riesame, rigettava l’appello, proposto nell’interesse di un ristretto, avverso un’ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Palermo con la quale era stata respinta l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere disposta per le imputazioni provvisorie di rapina pluriaggravata in concorso, ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali.
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Il testo è aggiornato a: D.Lgs. 75/2020 (lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione); D.L. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni); L. 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) e D.L. 130/2020 (c.d. decreto immigrazione).
Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LL.B., presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.
Fabio Piccioni | 2021 Maggioli Editore
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Il ristretto, a mezzo del proprio difensore, proponeva ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi: 1) nullità dell’ordinanza impugnata per manifesta illogicità e/o assenza della motivazione in relazione alla doglianza difensiva di declaratoria di nullità ex art. 178, lett. c) cod. proc. pen. per violazione di norme processuali ex art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. e art. 220 cod. proc. pen. della primigenia ordinanza di difetto di sostituzione della misura cautelare in atto; nell’ambito della richiesta di revoca e sostituzione della misura, assumeva il ricorrente, il primo giudice aveva violato le disposizioni menzionate omettendo di nominare dei periti per verificare le condizioni di salute del ricorrente, non solo in relazione alle pregresse patologie dalle quali lo stesso risultava affetto, ma anche in considerazione della sopravvenuta ed accertata nuova problematica cardiaca (insufficienza aortica tricuspidalica), riportata nella relazione sanitaria della casa circondariale di Messina; a fronte di ciò, sempre ad avviso della difesa, il giudice dell’ordinanza impugnata aveva affermato in modo illogico che non fosse stato prospettato alcun fumus al fine di giustificare ulteriori accertamenti nei confronti dell’assistito nonostante la relazione sanitaria del 6 agosto 2020 avesse evidenziato che le condizioni del ricorrente erano da considerarsi stazionarie “seppur sia stata diagnosticata un’insufficienza aortica tricuspidalica” così come non sarebbero state spiegate le ragioni per cui non si era proceduto alla nomina di periti al fine di accertare le sue reali condizioni di salute atteso che tale patologia cardiaca non era stata rilevata dai periti nominati precedentemente mentre anche gli accertamenti richiesti dai periti non erano stati effettuati; 2) nullità dell’ordinanza per manifesta illogicità e/o mancanza di motivazione in ordine alle doglianze mosse dalla difesa con riferimento alle esigenze cautelari atteso che la motivazione si sarebbe caratterizzata per una mera elencazione di dati dai quali desumere la sussistenza delle esigenze cautelari e per la conclusione relativa all’assoluta mancanza di significativi elementi di novità, quanto alle condizioni di salute che non si prospettavano di gravità tate da incidere in modo determinante sulle esigenze cautelari già individuate mentre, al contrario, la novità, per il difensore, era rappresentata proprio dalle condizioni di salute del ristretto tenuto conto altresì del fatto che nessun accertamento diagnostico di quelli richiesti dal perito precedentemente nominato era stato disposto e nessuna motivazione sul punto risultava essere stata fornita dalla Corte di appello non sussistendo tra l’altro il paventato pericolo di recidiva.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva considerato fondato e l’ordinanza impugnata veniva conseguentemente annullata per le seguenti ragioni.
Quanto al primo motivo di ricorso, gli Ermellini lo ritenevano fondato comportando ciò l’assorbimento della seconda doglianza.
Rilevava difatti la Suprema Corte come il Tribunale, con una motivazione illogica, contraddittoria, tanto da rivelarsi apparente, avesse effettuato un mero richiamo formale alla giurisprudenza di legittimità relativa ai presupposti necessari per valutare ai sensi dell’art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. una revoca o sostituzione della misura carceraria ritenendo necessaria, quanto meno, l’allegazione da parte del detenuto della ricorrenza di un apprezzabile fumus quanto all’incompatibilità con il regime carcerario osservandosi al contempo come i principi affermati in tal senso da un orientamento giurisprudenziale di legittimità di questa Corte (Sez. 2, n. 25248 del 14/05/2019) – in presenza tra l’altro di un diverso orientamento direttamente riferibile a quanto affermato dalle Sez. U., n. 3 del 17/02/1999, (nello stesso senso tra le molte Sez. 1, n. 16547 del 14/03/2010, Sez. 1, n. 55146 del 19/12/2016) – richiamassero la necessità di una chiara diagnosi di incompatibilità o, comunque, la prospettazione di una situazione patologica da non consentire adeguate cure in carcere.
Orbene, nel caso concreto analizzato dal Tribunale, secondo i giudici di piazza Cavour, era emersa invece non soltanto la presenza di una chiara diagnosi in ordine ad una patologia potenzialmente rilevante quanto alla situazione di incompatibilità, a seconda del livello di gravità della stessa ma, soprattutto, l’accertamento sopravvenuto della predetta patologia da parte del personale medico in servizio presso la struttura penitenziaria in epoca successiva al primo accertamento peritale che aveva riscontrato le altre, e diverse, patologie dalle quali risulta affetto il ristretto.
In presenza, dunque, di un elemento sopravvenuto di una certa portata diagnostica in ordine alle condizioni del ricorrente, per la Suprema Corte, il Tribunale si era limitato a ritenere decisivo il richiamo alla relazione medico penitenziaria quanto alle condizioni “stazionarie” dello stesso così apparentemente motivando, tra l’altro evidenziando illogicità, quanto alla compatibilità con il regime penitenziario.
In tal senso, a sostegno dell’assunto appena enunciato, veniva richiamato l’orientamento della Cassazione secondo il quale: “in tema di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, la previsione di cui all’art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. impone al giudice la nomina di un perito se si prospetta una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere, sicché il giudice, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, deve disporre gli opportuni accertamenti sulle condizioni dell’imputato necessariamente prima della decisione sull’istanza” (Sez. 2, n. 15252 del 24/01/2020) tenendo anche presente che il giudice deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo con riguardo sia all’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto, valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico (Sez.1, n. 37062 del 09/04/2018).
La valutazione in tal senso necessaria, considerata la patologia diagnosticata e sopravvenuta rispetto ai precedenti accertamenti espletati e la diversa possibile graduazione (lieve, moderata, grave) della patologia richiamata, anzichè la mera presa d’atto della situazione stazionaria del ricorrente imponeva, per la Corte, una considerazione tecnica della concreta portata di tale patologia allo scopo di effettivamente riscontrare, alla luce delle indicazioni del perito e del parere medico penitenziario, la possibilità reale di somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui il ricorrente necessita (Sez. 6, n. 58421 del 07/11/2018).
Per il Supremo Consesso, la motivazione in questione non aveva dunque fatto buon governo dei principi soprarichiamati rivelandosi sostanzialmente tautologica nel considerare risolutivo il mero riferimento alle condizioni stazionarie del ricorrente risultando, in tal senso, omesso qualsiasi reale apprezzamento sul valore e sulla portata della documentazione medica proveniente dalla struttura penitenziaria con ciò omettendo anche la necessaria ed esauriente disamina circa l’effettivo ricorso di un apprezzabile fumus, solo genericamente richiamato (Sez. 4, n. 42253 del 23/09/2014).
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui chiarisce quando la previsione di cui all’art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. (e, in particolare, nella parte in cui è ivi stabilito che in “ogni stato e grado del procedimento, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell’imputato”) impone al giudice la nomina di un perito.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si afferma che, in tema di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, la previsione di cui all’art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. impone al giudice la nomina di un perito se si prospetta una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere sicché il giudice, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, deve disporre gli opportuni accertamenti sulle condizioni dell’imputato necessariamente prima della decisione sull’istanza fermo restando che, da un lato, nel decidere in merito a tale sostituzione, costui deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo con riguardo sia all’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto, valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico, dall’altro, nel procedere in tale valutazione, considerata la patologia diagnosticata e sopravvenuta rispetto ai precedenti accertamenti espletati e la diversa possibile graduazione (lieve, moderata, grave) della patologia richiamata, anzichè la mera presa d’atto della situazione stazionaria del ricorrente, impone a suo carico una considerazione tecnica della concreta portata di tale patologia allo scopo di effettivamente riscontrare, alla luce delle indicazioni del perito e del parere medico penitenziario, la possibilità reale di somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui il ricorrente necessita.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare se il giudice abbia correttamente applicato o meno l’art. 229, c. 4-ter, c.p.p..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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