In cosa le massime di esperienza si distinguono dalle congetture?

(Annullamento con rinvio)

Il fatto

Il Tribunale di Genova, sezione riesame, sostituiva la custodia cautelare in carcere applicata dal Gip ad una persona indagata per il delitto di furto in abitazione in concorso con altre persone con l’obbligo di dimora ed il divieto di allontanarsi dall’abitazione in ore notturne.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale di La Spezia deducendo illogicità e carenza della motivazione nella parte in cui il provvedimento aveva sostituito la custodia cautelare e cioè contestandosi il fatto che il paese in cui era stato disposto l’obbligo di dimora, fosse distante dal luogo del furto nonchè il fatto che, trattandosi di piccolo centro, in esso vi sarebbe stato più controllo sociale per monitorare l’adempimento della misura considerando ciò come delle semplici congetture che, in quanto tali, a suo avviso, non erano idonee a fondare la sostituzione della misura più grave precedentemente applicata e già smentite dai fatti perché, anche all’epoca del furto in questione, l’indagato era residente nel comune in cui il Tribunale gli aveva applicato l’obbligo di dimora.

Le argomentazioni sostenute dalla difesa

Il difensore di fiducia dell’imputato depositava una memoria precisandosi che le misure applicate in sostituzione della custodia in carcere erano due: 1) obbligo di dimora con divieto di allontanamento nelle ore notturne; 2) obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria.

Per il resto, si eccepiva come il ricorso del PM sarebbe stato inammissibile perché il Tribunale aveva congruamente motivato secondo i parametri del codice anche perché la custodia in carcere rappresenta l’extrema ratio.

In realtà, avendo il Pm dedotto un vizio della motivazione perché basata su congetture, il ricorso, ad avviso della difesa, sarebbe stato quindi ammissibile.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il ricorso fondato alla stregua delle seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito, dopo essersi fatto presente che il Tribunale, per sostituire la custodia cautelare, aveva richiamato l’incensuratezza dell’indagato e poi i due elementi indicati in ricorso (lontananza della residenza dal luogo del furto e controllo sociale in un piccolo centro) e che il procuratore ricorrente contestava ciò rifacendosi a quanto affermato dalla Cassazione (sez. 6, n. 36430 del 28/5/2014), che se è vero che la valutazione della pericolosità sulla cui base è individuata la misura è una scelta di merito non sindacabile in sede di legittimità (sez. 3, n. 7268 del 24/1/2019), è altrettanto vero che tale apprezzamento deve essere “congruamente e logicamente motivato“.

Nella specie, gli Ermellini ritenevano come la scelta della misura si fosse basata su due elementi, uno dei quali non appariva essere una massima di esperienza, ma una mera congettura, e l’altro del tutto neutro che, con motivazione generica, assurgeva invece ad essere rilevante.

In particolare, il dato neutro veniva ricondotto al fatto che l’indagato risiedeva in un comune lontano dal luogo in cui era avvenuto il reato attribuitogli rilevandosi al contempo che, sul punto, la motivazione per cui la distanza fisica del luogo della esecuzione della nuova misura rispetto al luogo del furto avrebbe attenuato le esigenze cautelari non dava conto del percorso logico che conduceva a tale affermazione e che rischiava di costituire una affermazione meramente apodittica, per quanto appariva nel provvedimento impugnato.

Anzi, osservavano sempre i giudici di piazza Cavour, il Pm ricorrente aveva messo in luce che anche all’epoca del reato l’indagato era residente nello stesso luogo in cui doveva eseguire l’attuale misura sostituita, e quindi da lì aveva già dimostrato di potersi spostare fermo restando però che se è’ vero che la differenza era rappresentata dal fatto che era sottoposto ad obblighi e controlli, è altrettanto vero che la lontananza in sé, che è il dato oggettivo su cui si basava la motivazione per la sostituzione della misura, non costituisce un elemento tale da escludere che le esigenze cautelari avrebbero potute senz’altro essere salvaguardate in futuro.

Ciò posto, quanto all’altro elemento, ossia il presunto “controllo sociale” in un piccolo centro, per la Suprema Corte, esso costituiva, ugualmente, una congettura perché, a suo avviso, in realtà, non vi era alcuna base oggettiva per affermare che in un piccolo paese tale controllo sociale fosse più pregnante che in una grande città.

Oltre a ciò, veniva inoltre messo in risalto il fatto che, in merito alla differenza tra congettura e massima di esperienza, la Cassazione (sez. 5, n. 25616 del 24/5/2019) si è espressa nel senso che “le massime di esperienza sono giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze ma autonomi da esse, e valevoli per nuovi casi, e vanno distinti dalle congetture, cioè ipotesi non fondate sull’“id quod plerumque accidit” e, quindi, insuscettibili di verifica empirica“.

Orbene, in quest’ultima categoria (e quindi la congettura), si riteneva come rientrasse l’affermazione per cui in un piccolo centro vi è maggiore controllo sociale su una persona rispetto ad una città atteso che la differenza, semmai, è costituita dal luogo concreto in cui la persona vive: una casa isolata in un piccolo paese non permette un “controllo sociale” superiore a quello che si può avere in un condominio in un quartiere cittadino.

Su questo aspetto, quindi, per la Suprema Corte, il Tribunale avrebbe dovuto, in sede di rinvio, rivalutare la questione alla luce dei suddetti principi, basandosi cioè sui dati oggettivi del procedimento atteso che se è vero che ai sensi dell’art 275 comma 2-bis c.p.p. non si può disporre la custodia cautelare in carcere se si ritiene che all’indagato possa essere applicata la sospensione condizionale (mentre la non applicazione per prognosi di condanna inferiore a 3 anni è espressamente esclusa per il reato dell’art. 624-bis c.p.), il Tribunale avrebbe comunque dovuto dare atto dell’incensuratezza mentre, invece, sempre per gli Ermellini, la sostituzione della misura non era stata motivata sulla base di questa ragione.

Oltretutto, si notava anche che, essendo la pena per il reato per cui si procede (art. 624 bis c.p.) stabilita da 4 a 7 anni di reclusione, per giurisprudenza, la valutazione prognostica del giudice circa la concedibilità della sospensione condizionale della pena, richiesta dall’art. 275, comma 2-bis, c.p.p., non può tenere conto dell’eventuale applicazione delle diminuenti previste per riti speciali astrattamente richiedibili dall’imputato in assenza di elementi che consentono di ritenere concretamente prevedibile l’accesso a tali forme alternative di definizione del procedimento (sez. 1, n. 36263 del 17/6/2020).

Da ciò se ne faceva conseguire come non fosse prevedibile, allo stato, che, nella specie, la pena avrebbe potuto rientrare nel limite di legge per l’applicazione della sospensione condizionale.

Restava, quindi, il fatto che la custodia in carcere era stata sostituita sulla base di una motivazione non convincente per le sopra esposte ragioni.

L’ordinanza impugnata veniva, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale del Riesame di Genova che a sua volta avrebbe dovuto riconsiderare la questione alla luce di quanto sopra enunciato.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito in cosa le massime di esperienza si distinguono dalle congetture.

Difatti, citandosi un precedente conforme, si afferma in tale pronuncia che le massime di esperienza sono giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze ma autonomi da esse, e valevoli per nuovi casi, e vanno distinti dalle congetture, cioè ipotesi non fondate sull’“id quod plerumque accidit” e, quindi, insuscettibili di verifica empirica.

Tale distinzione, di conseguenza, deve essere presa nella dovuta considerazione atteso che le massime di esperienza possono avere rilevanza processuale mentre le congetture no.

Il provvedimento in questione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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