1. Inquadramento della quaestio iuris
La Plenaria in epigrafe può senz’altro dirsi meritevole di notazione e per le rilevanti riflessioni che essa offre in punto di consorzi stabili ed in quanto le trame del ragionamento, scandito da costanti rimandi alla giurisprudenza unionale, sembrano dirimere efficacemente un insieme di importanti questioni giuridiche insite nell’unico “dubbio esegetico” prospettato dal giudice del rinvio. I fatti processuali portati all’attenzione del Collegio involgono l’ipotesi, non infrequente nella prassi di una gara, della sopraggiunta perdita dei requisiti di ammissione alla procedura evidenziale da parte di una consorziata non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori, ove il consorzio stabile abbia mutuato da quest’ultima – in applicazione del meccanismo del “cumulo alla rinfusa”, ex art. 47, co. 2, d.lgs. n. 50/2016 – la propria qualificazione, in quanto esplicitamente richiesta dalla lex specialis per la partecipazione alla procedura competitiva. Sull’abbrivio della vicenda qui brevemente riepilogata si innesta il quesito formulato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana e sottoposto al Consiglio di Stato, cui viene chiesto di accertare se, in estrema sintesi, l’anzidetta consorziata fosse da considerare alla stregua di un soggetto terzo rispetto all’organismo consortile e, come tale, passibile di sostituzione, ai sensi dell’art. 89 co. 3 d. lgs. 50/2016. Tale aspetto assume un peso dirimente nell’ottica del giudizio atteso che – come già ricorda il giudice remittente – la configurabilità di una relazione di alterità soggettiva con il consorzio renderebbe la singola consorziata non designata in tutto equiparabile all’impresa ausiliaria nell’ambito del contratto di avvalimento.
2. Natura giuridica del c.d. consorzio stabile e profili di discrimine rispetto al consorzio di tipo ordinario. Il dato teleologico
In apertura di sentenza, il Consiglio di Stato trova utile soffermarsi prioritariamente sulla figura e sulla natura giuridica del c.d. consorzio stabile, di cui all’art. 45, co. 2, lett. c), tratteggiandone gli aspetti peculiari che valgono a connotarne la struttura e a contraddistinguerne la disciplina rispetto a quella tipica del consorzio ordinario, racchiusa negli artt. 2602 e ss. del codice civile. A questo proposito giova rammentare che, se ambedue le fattispecie consentono a più operatori economici di prendere parte alle gare d’appalto in forma associata, il consorzio di fonte civilistica, tuttavia, si differenzia dal consorzio stabile in quanto, nel primo caso, non si delinea un rapporto di immedesimazione organica tra il consorzio e le singole imprese consorziate. Anzi, riflette un principio ormai saldamente radicatosi nel terreno della giurisprudenza civile l’affermazione secondo la quale il contratto consortile non postulerebbe l’assorbimento delle imprese contraenti all’interno di un organismo unitario, determinando al più la costituzione di un’organizzazione comune preposta allo svolgimento di determinate fasi delle rispettive attività dei contraenti. Per quanto rileva agli effetti della disciplina in materia di contratti pubblici, questo consorzio, costituito di regola ai fini della partecipazione alla singola procedura di gara, si atteggerebbe più come un «soggetto con identità plurisoggettiva» che – operando nella qualità di mandatario delle imprese della compagine – si vede preclusa la facoltà di gareggiare soltanto per conto di alcune associate. Risulta evidente che i due istituti non condividono la medesima ratio laddove di contro si osservi che il consorzio stabile è contraddistinto dalla presenza di una struttura d’impresa comune, purché coerente con il modello giuridico-formale di riferimento[1]. Detto modello organizzativo è, per natura, destinato ad operare nel tempo e a svolgere attività ultrattive rispetto alla singola gara, integrando una forma di associazionismo imprenditoriale di tipo “forte”. Ebbene, come evidenzia l’Alto Consesso, è proprio l’astratta idoneità del consorzio – concepito quale durevole aggregazione di soggetti – ad operare su base di un’autonoma organizzazione imprenditoriale (c.d. elemento teleologico) che consente di qualificarlo in termini di stabilità e che, per l’effetto, gli conferisce la capacità di «eseguire, anche in proprio (ossia senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate), le prestazioni affidate a mezzo del contratto» (punto 7.2). Pertanto – nella complessa economia delle forme giuridiche finalizzate a sostanziare la collaborazione tra più imprese partecipanti ad una procedura di affidamento – i consorzi stabili, strutturandosi alla stregua di vere e proprie aziende consortili[2], acquistano una propria soggettività giuridica ed un’autonomia patrimoniale e organizzativa che offrono loro la possibilità di accreditarsi all’esterno quali soggetti distinti dai rispettivi componenti. L’alterità dei soggetti de quibus rispetto ai relativi interna corporis rinviene un ulteriore elemento di conforto, sia pure indiretto, nella giurisprudenza eurounitaria maturata nel solco di un’importante decisione della Corte di Giustizia UE[3]. In proposito, i giudici di Lussemburgo già nel 2009 ebbero ad affermare la contrarietà ai principi comunitari[4] della normativa nazionale che, nei confronti del consorzio stabile e di una società facente parte dello stesso, aveva sancito il divieto di partecipare allo stesso appalto, in modo concorrente[5], anche laddove l’offerta promanante dal consorzio non fosse stata presentata per conto e nell’interesse dell’associata.
3. La partecipazione alle procedure di gara in applicazione del “cumulo alla rinfusa”: evoluzione normativa dell’istituto e stato dell’arte a seguito della novella introdotta dal d.l. n. 32/2019
Ai fini di meglio chiarire e circostanziare il tenore delle precedenti osservazioni, i giudici di Palazzo Spada dedicano una breve chiosa al funzionamento del meccanismo della qualificazione “alla rinfusa” che, nella versione vigente ratione temporis, operava anche con riferimento ai requisiti di qualificazione, salvo poi trovare applicazione limitatamente agli aspetti relativi alla «disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo» per effetto delle modifiche apportate dal d.l. n. 32/2019 (c.d. Sblocca Cantieri). Sul punto, tentando qui di ripercorrerne brevemente l’evoluzione normativa, si ricordi che in origine il criterio in parola – in forza del quale ai consorzi stabili era riconosciuta la possibilità di utilizzare i requisiti posseduti «in proprio e direttamente» o, alternativamente, di giovarsi dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria posseduti dalle consorziate (sulla base di una mera sommatoria), senza contestualmente dover ricorrere all’istituto dell’avvalimento – era normato nell’art. 36, co. 7 del d.lgs. n. 163/2006 e nell’art. 94 del d.P.R. n. 207/2010. A seguito dell’entrata in vigore del “nuovo codice”, il meccanismo del cumulo alla rinfusa è stato traposto all’interno del testo dell’art. 47, co. 2, come successivamente modificato dal decreto Correttivo, ai sensi del relativo art. 31, co. 1 (rimasto in vigore fino al 2019), sotto la cui sfera di applicazione ricadono anche le vicende rimesse all’esame della Plenaria. Orbene, il chiaro tenore letterale di quest’ultima novella normativa – che solo in parte riproduceva la disciplina contenuta nel codice del 2006, superando con ciò le incertezze interpretative scaturite dalla genericità del previgente dettato[6] – ha offerto al Consiglio di Stato lo spunto per far luce sul distinguo fondato sui diversi legami intercorrenti nell’ambito della gara tra consorzio stabile e consorziate, «a seconda che queste ultime siano o meno designate per l’esecuzione dei lavori».
4. Il rapporto tra organismo consortile e consorziata non esecutrice dei lavori quale «forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità»
In merito, ricorda l’Alto Consesso, è d’uopo che i casi in cui il consorzio abbia fruito dei requisiti maturati dalle consorziate designate per l’esecuzione del contratto – e per le cui prestazioni, è opportuno precisare, le singole imprese possono essere chiamate a rispondere in solido con il consorzio – vengano apprezzati in maniera del tutto indipendente e avulsa dalla differente ipotesi in cui il consorzio, facendo invece ricorso all’avvalimento, si sia servito dei requisiti posseduti da consorziate non designate dal sodalizio consortile per l’esecuzione delle prestazioni. Ipotesi quest’ultima che, contrariamente alla prima, presupporrebbe che le consorziate operino in veste di semplici “prestatori”, limitandosi a conferire i propri requisiti all’ente cui appartengono senza tuttavia subire alcun coinvolgimento nell’esecuzione dell’appalto. Ciò ha fatto sì che il Collegio inquadrasse la fattispecie in commento entro gli schemi negoziali dell’avvalimento, pur declinandolo nella «forma attenuata» (rectius, caratterizzata da minore intensità rispetto al vincolo che consuetamente avvince ausiliaria e ausiliata), stante la riscontrata «assenza di responsabilità». Da siffatta constatazione i giudici fanno discendere, a fortiori, l’applicabilità al caso di specie dell’art. 89, co. 3 del codice dei contratti – a mente del quale la stazione appaltante, come noto, «impone all’operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione» – sulla base del sillogismo per cui se risulta possibile sostituire il soggetto legato da un rapporto di avvalimento, a maggior ragione «dev’essere possibile sostituire il consorziato nei confronti del quale sussiste un vincolo che rispetto all’avvalimento è meno intenso». Gli argomenti sviluppati sul punto dalla Plenaria, tuttavia, non rimangono astrattamente relegati entro gli angusti spazi d’azione concessi dal solo ragionamento inferenziale. Il Collegio, infatti, rintraccia ulteriori coordinate ermeneutiche nel diritto europeo e taglia il nodo gordiano che avviluppa la quaestio iuris attinente alla sostituibilità o meno della consorziata non designata servendosi dell’ampia formulazione dell’art. 63 della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici. Quest’ultima norma, com’è noto, fa convergere nella disciplina dell’avvalimento «tutti i casi in cui un operatore economico, per un determinato appalto, fa affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi». Ragion per cui, proseguono i giudici, «non v’è ragione per riservare al consorzio che si avvale dei requisiti di un consorziato “non designato”, un trattamento diverso da quello riservato ad un qualunque partecipante, singolo o associato, che ricorre all’avvalimento».
5. L’esigenza di una rivisitazione in chiave comunitaria del principio di continuità dei requisiti
Nell’ottica di sgomberare definitivamente il campo da tutti i dubbi sollevati dal Collegio remittente, l’Alto Consesso in ultima analisi esclude recisamente che il portato di consimili statuizioni possa inficiare la perdurante validità del principio di continuità in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione nel corso della procedura di gara. Principio cui mostra di aderire anche la presente decisione e che, è bene osservare, ha trovato la sua più vivida espressione giurisprudenziale in un’altra sentenza piuttosto recente dell’Adunanza Plenaria, la n. 8 del 2015. In chiusura i giudici di Palazzo Spada non mancano tuttavia di soffermarsi anche su un passaggio fondamentale della pronuncia del 2015, richiamandone il testo nella parte da cui si apprende che, nell’occasione, il Consiglio di Stato ha riconosciuto l’applicazione del principio di continuità anche in riferimento all’ipotesi dell’imprenditore che preferisca seguire la via del possesso mediato e indiretto dei requisiti di partecipazione ad una gara, stante la totale equiparazione «sul piano dell’accertamento dei requisiti di ordine generale e tecnico-professionali ed economici, … tra gli operatori economici offerenti in via diretta e gli operatori economici in rapporto di avvalimento». Malgrado l’evidente frizione con le conclusioni cui giunge la n. 5 del 2021, qui oggetto di studio, il Consiglio di Stato avverte come le cennate considerazioni vadano ad ogni modo rilette alla luce del mutato contesto normativo nel quale – anche sull’onda delle forti spinte di matrice comunitaria – è proprio la possibilità di sostituzione a rendere possibile la continuità predicata dalla precedente Plenaria, dal momento che in concreto «il concorrente può contare sul fatto che, nel caso in cui l’ausiliaria non presenti o perda i requisiti prescritti, potrà procedere alla sua sostituzione senza il rischio di essere, solo per questa circostanza, estromesso automaticamente dalla procedura selettiva». Ciò inteso, la sostituzione nel diritto degli appalti viene così ad assumere le vesti di un «istituto del tutto innovativo», cui il legislatore affida la funzione di «restituire al soggetto avvalso la sua vera natura di soggetto che presta i requisiti al concorrente, senza partecipare alla compagine e all’offerta da questa formulata», in risposta all’esigenza, stimata superiore, di evitare l’esclusione del concorrente, singolo o associato, per ragioni a lui non direttamente riconducibili o imputabili.
[1] Così come delineato ai sensi dell’art. 45, co. 2, lett. c), d.lgs. 50/2016, norma che individua un requisito numerico («formati da non meno di tre consorziati»); un requisito temporale («per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni»); un requisito teleologico («abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture») ed uno strutturale («istituendo a tal fine una comune struttura di impresa»).
[2] Da intendersi in senso civilistico, ossia quale “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, secondo la definizione classicamente datane dall’art. 2555 c.c..
[3] Il riferimento dei giudici del Consiglio di Stato è a una sentenza datata 23 dicembre 2009 (C-376/08).
[4] Rintracciandoli nel caso di specie in quelli di parità di trattamento e di proporzionalità, atteso che la misura di esclusione automatica di cui trattasi – rileva la Corte – si applica «unicamente ai consorzi stabili e alle imprese che li compongono, e non ad altri tipi di consorzi, quali quelli di società cooperative di produzione e lavoro nonché quelli di imprese artigiane (punto 35) e … indipendentemente della questione se il consorzio considerato partecipi o meno all’appalto pubblico di cui trattasi per conto e nell’interesse delle imprese che hanno presentato un’offerta» (punto 37) comportando, del resto, una «presunzione irrefragabile d’interferenza reciproca nei casi in cui un consorzio e una o più imprese che lo compongono abbiano presentato, nella stessa procedura di appalto pubblico, offerte concorrenti, anche quando il consorzio di cui trattasi non è intervenuto nel procedimento per conto e nell’interesse di dette imprese, senza che sia stata consentita la possibilità tanto al consorzio quanto alle imprese interessate di provare che le loro offerte sono state formulate in modo pienamente indipendente» (punto 39).
[5] Disponendo, per l’ipotesi della violazione, «l’esclusione automatica dalla partecipazione a detta procedura e l’irrogazione di sanzioni penali sia del consorzio stabile quanto delle imprese che ne sono membri».
[6] All’origine di un lungo dibattito dottrinale tra quanti sostenevano l’operatività del criterio tour court, in modo pieno ed incondizionato e in rapporto a qualsivoglia consorziata (esecutrice o non esecutrice che sia) senza far ricorso all’avvalimento e i fautori di un “cumulo attenuato”, in base a cui il consorzio avrebbe potuto cumulare, senza ricorrere all’avvalimento, i requisiti di tutte le consorziate che fossero ricompresi nel novero dell’ultima parte dell’art. 35 D.Lgs. 163/06 (attrezzature, mezzi d’opera, organico medio annuo), ovvero qualsiasi altro requisito, purché unicamente si fosse trattato di consorziate indicate in gara quali esecutrici. Sul punto, si veda G. FISCHIONE, I consorzi stabili tra conferme e novità alla luce del D.Lgs. 50/2016, in www.giustamm.it, 9/2017.
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