Cosa distingue l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope dal concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti

(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

Il Tribunale di Catania parzialmente riformava in sede di riesame un provvedimento con cui il G.I.P. del Tribunale di Catania sostituiva, nei confronti di un indagato, la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari in relazione ai reati di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico e di spaccio di stupefacenti.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione l’indagato, per il tramite del difensore, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla gravità indiziaria per il reato associativo in quanto, ad avviso del ricorrente, da un lato, il Tribunale aveva omesso una specifica motivazione in merito alla sussistenza dell’associazione, riportandosi all’ordinanza genetica, senza indicazione delle fonti da cui erano stati desunti l’esistenza del sodalizio, i mezzi forniti alla ricorrente, il tipo di guadagno ottenuto, dall’altro, in modo arbitrario, la ricostruzione era stata basata solo su attività di videoripresa e sul rilievo della frequenza di rapporti finalizzati alla realizzazione di alcune cessioni di stupefacente così come era stata indebitamente esclusa l’ipotesi di mero concorso in reati di spaccio dovendosi invece considerare che la serialità di scambi di sostanza non poteva essere automaticamente inquadrata in un contesto associativo in assenza della valutazione del rapporto causale dei diversi soggetti e della dimostrazione anche sul piano soggettivo del vincolo associativo tenuto conto altresì del fatto che nessuno dei collaboratori di giustizia aveva fatto riferimento all’indagato; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari poiché, secondo la difesa, non era ravvisabile l’attualità della pericolosità della ricorrente, madre di bimba di due anni rilevandosi al contempo, per un verso, che i coindagati erano ristretti in carcere e il sodalizio era stato dunque disarticolato, per altro verso, che, semmai, una misura meno afflittiva, per il ricorrente, avrebbe potuto dirsi più adeguata tanto più se si fosse considerato che la ricorrente era incensurata.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito innanzitutto come il primo motivo fosse genericamente formulato e comunque manifestamente infondato avendo il Tribunale dato conto dell’assetto organizzativo delle piazze di spaccio affidate ciascuna a piccole consorterie che a loro volta dovevano rifornirsi dagli esponenti di una nota famiglia mafiosa e che si avvalevano di vedette comuni chiamate a presidiare zone strategiche e a comunicare eventuali situazioni di pericolo a mezzo di trasmittenti rilevandosi contestualmente che l’attività di spaccio veniva curata da ciascuna consorteria nella rispettiva piazza di spaccio, attraverso il presidio assicurato in un determinato arco di tempo da spacciatori, i quali entravano in contatto con l’acquirente, che rifornivano, ricevendo il prezzo.

Ciò posto, gli Ermellini denotavano tra l’altro come in tale quadro fosse stato altresì dato conto dell’operatività della consorteria la quale in particolare, per quanto emerso da plurime videoriprese protrattesi in un significativo lasso di tempo, era a disposizione per l’occultamento della droga e per il rifornimento dello spacciatore, operazione cui provvedeva dal balcone dell’appartamento sito al quarto piano, facendo discendere un cestino, da cui veniva prelevata la droga e tale modalità operativa era stata riscontrata in numerose occasioni, attestanti un apporto non occasionale ad un’attività di spaccio organizzata e rispondente a criteri preordinati, essendo stato peraltro confermato da mirati interventi che i soggetti avvicinatisi allo spacciatore nelle circostanze osservate erano effettivamente in possesso di sostanza stupefacente.

Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, motivando in tal modo, il Tribunale aveva ricostruito tutt’altro che illogicamente un quadro indiziario univocamente convergente nel senso della configurabilità di una stabile organizzazione, rudimentale ma efficiente che si occupava della gestione di una piazza di spaccio in attuazione di un programma illecito, affidato alle cure di più soggetti operanti sincronicamente, riflettendo ciò il consolidato orientamento interpretativo alla cui stregua «per la configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati» (Sez. 2, n. 19146 del 20/2/2019).

Oltre a ciò, veniva inoltre chiarito, da parte del giudice di merito, proprio in ragione dei profili strutturali, come, nel caso in esame, l’operatività non fosse limitata alla commissione di più reati in continuazione ma fosse legata all’attuazione di un accordo, rafforzato da idonei profili strutturali stabili, destinati a supportare l’attività del sodalizio (in conformità con il principio secondo cui «l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso» (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018).

Ebbene, alla luce di siffatto approdo ermeneutico, per gli Ermellini, non corrispondeva dunque al vero che il Tribunale si fosse limitato a richiamare l’ordinanza genetica senza formulare una propria valutazione dovendosi inoltre escludere che il giudizio sulla gravità indiziaria si fosse fondato solo sulla serialità delle condotte di spaccio che invece erano state debitamente inserite in un quadro composito, idoneo a delineare i rapporti delle piazze di spaccio con un sodalizio mafioso e la sincronica operatività delle singole consorterie chiamate a gestire ciascuna piazza di spaccio, con l’utilizzo di vedette comuni.

Il motivo di ricorso, in particolare, secondo la Suprema Corte, non si era confrontato con la motivazione del provvedimento impugnato risolvendosi in, sempre la Cassazione, apodittiche, contestazioni che non vulneravano le valutazioni del Tribunale essendo inoltre inconferente la circostanza che nessuno dei collaboratori di giustizia, nel descrivere il complessivo assetto organizzativo, abbia fatto menzione della ricorrente, la cui concreta operatività era stata invece direttamente osservata per un tempo significativo.

Terminata la disamina del primo motivo, veniva stigmatizzato anche il secondo posto che, a fronte del fatto che, in ordine alla gravità indiziaria per il reato associativo, operi la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il Tribunale, pur aver avendo positivamente valutato la sussistenza di un pericolo di reiterazione, correlato all’inserimento della ricorrente in un ambito di criminalità organizzata e alla specifica professionalità palesata, aveva nondimeno escluso la sussistenza di esigenze di eccezionale rilevanza e sostituito la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., in ragione del fatto che la ricorrente era madre di bimba di due anni.

Orbene, a fronte di ciò, per i giudici di piazza Cavour, il motivo di ricorso si era limitato a contestare in modo aspecifico la motivazione e la valutazione del Tribunale senza individuare precise ragioni tali da escludere le esigenze cautelari o da rendere più adeguate misure meno contenitive, in particolare non potendosi a tal fine reputare rilevante, a fronte di un sistema operativo consolidato nel tempo in quel determinato ambiente criminale, la circostanza che al momento quella specifica consorteria era stata disarticolata, profilo invero valorizzato coerentemente solo al fine di ritenere bastevole la misura degli arresti domiciliari.

 

Conclusioni

La decisione in esame è interessante nella parte in cui chiarisce cosa distingue l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope dal concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi un precedente conforme, si postula che l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso.

Da ciò deriva, argomentando a contrario, che è invece riscontrabile il concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti quando: la commissione dei reati non sia stata preventivamente determinata; il vincolo che legale i concorrenti non sia permanente e quindi solo transitorio; non vi sia una organizzazione atta a consentire la realizzazione concreta del programma criminoso e che quindi non vada al di là della commissione di singoli episodi di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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