Premesse
Da tempo ormai il principio di offensività[1] assurge a principio di rilevanza costituzionale e di ciò ne sono la riprova le plurime statuizioni della Corte costituzionale sul punto. In termini generali, il principio di offensività rappresenta un indicatore della meritevolezza della pena di una determinata condotta. Esso rappresenta altresì un criterio giustificativo dell’intervento del diritto penale che si applica come extrema ratio quando una sanzione di diversa natura risulterebbe non idonea.
Il principio di offensività riveste inoltre una basilare importanza per la dottrina penalistica che rinviene in esso uno dei quattro principi cardini sui quali poggia la nozione di reato: il principio di legalità/tipicità, il principio di materialità, il principio di colpevolezza e, appunto, il principio di offensività. Questi principi sono legati tra di loro da una relazione a volte impercettibile, altre volte così evidente da divenire una vera e propria identità. A quest’ultimo riguardo, il principio di tipicità e di offensività venivano ritenuti corrispondenti dalla giurisprudenza fino all’ultimo intervento delle Sezioni Unite[2] in tema di stupefacenti, di cui si parlerà in seguito, che ha disatteso l’orientamento in passato prevalente. Per ora bisogna limitarsi a riconoscere che la giurisprudenza pressoché costante prima di tale pronuncia considerava il principio di offensività implicitamente contenuto in quello di legalità/tipicità. Pertanto, secondo tale pensiero, l’offensività della condotta era un elemento essenziale della fattispecie criminale, un requisito che necessariamente doveva essere previsto dal legislatore.
Offensività in astratto e in concreto
Cercando di definire più precisamente la portata ed il significato del principio di offensività, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza, anche costituzionale, sono giunte ad una lettura unanime caratterizzata dalla distinzione tra offensività in astratto e offensività in concreto. L’offensività in astratto si atteggia ad essere un criterio di politica legislativa rivolto al legislatore che è tenuto a configurare fattispecie criminali che tutelino degli interessi o beni meritevoli di protezione da parte dell’ordinamento. L’offensività in concreto corrisponde invece ad un criterio interpretativo a disposizione del giudice, in base al quale egli deve verificare che il caso sottoposto al suo scrutinio, oltre a rientrare in astratto nella fattispecie tipica, sia in concreto offensivo di quel bene o interesse che la norma tende a tutelare. Quanto appena esposto equivale ad affermare che, se una norma penale deve sanzionare una determinata condotta (principio di materialità, per il quale non possono essere punite le mere intenzioni) tipizzata dal legislatore (principio di legalità/tipicità, che esclude l’interpretazione per analogia in malam partem) che tuteli un determinato bene o interesse considerato meritevole di protezione da parte dell’ordinamento (offensività in astratto), poi il giudice dovrà valutare se, nel caso di specie, tale condotta sussumibile nella fattispecie legale sia anche “in concreto” offensiva di quel bene o interesse (offensività in concreto). Tale distinzione ha delle ripercussioni anche per quanto attiene l’ambito del giudizio della Corte costituzionale. Difatti questa potrà sindacare le norme solamente in base al principio di offensività in astratto, verificando se il legislatore, nel plasmare la norma criminale, abbia protetto un bene meritevole di tutela che giustifichi l’intervento da parte del diritto penale senza produrre una irragionevole o sproporzionata sanzione da parte dell’ordinamento. Alla Corte costituzionale sarà interdetto quindi un giudizio sulla offensività in concreto di una data norma, in quanto trattasi di giudizio spettante esclusivamente al giudice di merito.
Origini normative del principio di offensività
Come anzidetto, il principio di offensività è un principio di rilevanza costituzionale la cui base normativa si individua nel combinato disposto degli articoli 2, 13, 25 e 27 della Costituzione, anche se probabilmente non pecca chi lo considera alla stregua di un principio supremo del nostro ordinamento. Ma prima della Carta fondamentale, il principio di offensività poteva scorgersi già nel Codice Rocco, precisamente negli articoli 49 (il reato impossibile) e 56 (il tentativo) c.p. Pur non approfondendo in questa sede il dibattito dottrinario circa la minoritaria opinione di quanti rinvengono nel tentativo un inutile duplicato del reato impossibile e di quanti, secondo l’opinione dominante, sostengono la valida distinzione tra le due norme, poggiando queste rispettivamente su differenti giudizi (ex ante il tentativo, ex post il reato impossibile), oltre che aventi un oggetto diverso (solo gli “atti” l’art. 56 c.p., l’intera “azione” del soggetto l’art. 49 c.p.), possiamo notare come entrambe le norme contemplino l’offensività. Invero l’art. 49 c.p. esclude la punibilità dell’autore della condotta “quando, per la inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”. In altre parole, l’art.49 c.p. dichiara che nei casi in cui l’azione sia inidonea o nei casi in cui l’oggetto della stessa sia inesistente, non essendoci alcuna offensività nella condotta in quanto è impossibile l’evento dannoso o pericoloso, non è giustificato sanzionare penalmente l’autore. Diversamente, l’art. 56 c.p. punisce chi compie atti (e non un’azione) in questo caso “idonei” ad offendere quel bene tutelato dalla norma penale, atti che devono essere inoltre diretti “in modo non equivoco a commettere un delitto” (mentre il reato impossibile è applicabile a tutti i reati, comprese le contravvenzioni) anche se l’azione alla fine non si compie nel suo complesso o l’evento non si realizza. In quest’ultimo caso, in quanto si tratta di delitti (quindi fattispecie punite solo a titolo di dolo salvo diversa previsione, implicanti pene generalmente alte), superata una certa soglia nella condotta, rappresentata dall’idoneità e non equivocità degli atti, si realizza una offesa a quel bene tutelato rappresentata dalla mera messa in pericolo dello stesso e, quindi, si giustifica la sanzione penale.
Il principio di offensività ed i reati di pericolo
Eppure il principio di offensività non esaurisce qui la sua rilevanza. Esso viene ripreso in considerazione nei reati di pericolo, ossia quei reati che puniscono la semplice messa in pericolo del bene tutelato dall’ordinamento[3]. Tramite questa tipologia di reati si anticipa la risposta sanzionatoria dalla lesione del bene alla sua mera messa in pericolo in ragione della necessità di tutelare beni o interessi ritenuti dal legislatore di rilevante importanza. In questi casi si punisce non un danno effettivo al bene giuridico tutelato, bensì un danno potenziale che potrebbe condurre o meno poi a quello reale. Per tale motivo sono sorti dubbi di legittimità costituzionale riguardo a tale categoria di reati che si integrano nonostante la mancanza di una lesione del bene tutelato, violando così a prima vista il principio di offensività. La Corte costituzionale ha tuttavia negato l’incostituzionalità della suddetta tipologia di reati in quanto rispettosi del principio di offensività in astratto. Difatti il legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, può ben prevedere reati che puniscano anche la sola messa in pericolo del bene giuridico protetto, spettando poi al giudice valutare se nel caso concreto vi sia stata una effettiva offensività. Naturalmente il giudizio del legislatore dovrà basarsi secondo canoni di ragionevolezza e quindi secondo l’id quod plerumque accidit per individuare quelle fattispecie che giustifichino il ricorso alla categoria dei reati di pericolo.
Altro esempio di una valutazione effettuata a monte dal legislatore circa l’offensività in astratto di certi reati è quella riguardante le condizioni di procedibilità. Difatti, il legislatore prevede la querela o la procedibilità d’ufficio fondamentalmente in base ad un giudizio di maggiore offensività del reato in esame che, se di poco valore negativo per l’ordinamento, sarà perseguibile solo su iniziativa della persona offesa, mentre se rappresenta un’offesa rilevante giustificherà un intervento autonomo da parte dello Stato.
Il principio di offensività e l’esclusione della punibilità del fatto ex art. 131 bis c.p.
Un discorso a parte merita invece il rapporto tra principio di offensività e l’art. 131-bis c.p. Innanzitutto occorre chiarire che l’uno non esclude l’altro. Invero l’art. 131-bis c.p., rubricato “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, è uno strumento di diritto sostanziale ritenuto utile per l’alleggerimento del carico processuale della macchina giudiziaria oltre che delle già sovraffollate carceri italiane. Questa causa di esclusione della punibilità di conio recente non si identifica ed esaurisce nella valutazione del giudicante circa la sussistenza dell’offensività in concreto. Difatti tale articolo si applica solo successivamente allo scrutinio del giudice che ha scorto la presenza dell’offensività in concreto della condotta. Il giudice quindi, accertata la presenza di una offensività in concreto nel fatto, tuttavia ne esclude la punibilità poiché “per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”, ad eccezione dei casi in cui la tenuità del fatto è esclusa dal legislatore o si tratti di reati puniti con pena detentiva superiore nel massimo a cinque anni.
L’offensività in materia di coltivazione di stupefacenti (S.U. n. 12348/2020)
Chiusa questa parentesi circa l’art. 131-bis c.p., possiamo volgere un rapido sguardo alle applicazioni giurisprudenziali del principio di offensività. Data per certa ormai la rilevanza costituzionale dell’anzidetto principio, come anche più volte chiarito dalla Consulta, ed il diverso scrutinio a cui è sottoposto a seconda che sia svolto dalla Corte costituzionale, che valuterà l’offensività in astratto della norma, o dal giudice di merito, che valuterà l’offensività in concreto nel caso di specie, bisogna citare l’ultima pronuncia delle Sez. Un. in tema di coltivazione delle sostanze stupefacenti[4]. Tale sentenza ha apparentemente disatteso il consolidato orientamento per cui l’offensività in astratto è un principio implicito a quello di tipicità, ovverosia che la norma penale è tipica in quanto racchiude in sé il principio di offensività in astratto. Le Sez. Un. infatti ritornano a distinguere tra tipicità e offensività, statuendo che, tenuto conto dell’art. 73 del testo unico sugli stupefacenti (d.p.r. n. 390/1990), la coltivazione domestica e rudimentale di una modica quantità di piante da cui trarre una scarsa quantità di sostanze psicotrope esclusivamente per uso personale rappresenta una condotta non punibile in quanto non rientrante nella fattispecie tipica. Eppure bisogna ammettere che la legge fa riferimento solo alla “coltivazione”, che può essere tanto domestica quanto imprenditoriale come già affermato dalla giurisprudenza, essendo inoltre irrilevante la quantità di principio drogante ricavabile nell’immediatezza e la cui sanzione è più grave rispetto alla detenzione per uso personale, punita solo in via amministrativa, in quanto attività non collegata direttamente all’autoconsumo che rende quindi giustificabile l’impiego della risposta penale in luogo di quella amministrativa. La coltivazione è un reato di pericolo plurioffensivo di più beni di rilevante importanza, tra i quali prima fra tutti la salute pubblica. Tuttavia le ultime Sezioni Unite dichiarano che la coltivazione consistente nella singola piantina per uso personale tenuta nel balcone di casa non è punibile in quanto non sussumibile alla fattispecie tipica tramite questo giudizio che, come accennato, sembra più nell’apparenza che nella sostanza innovativo. Difatti implica e presuppone un ragionamento sull’offensività che in astratto è contemplata dal legislatore con la repressione della coltivazione tout court di sostanze stupefacenti, ma in concreto deve essere ravvisata dal giudice. Pertanto, nel caso in cui la coltivazione (condotta punibile di per sé in quanto reato di pericolo presunto) risulti attuata con tecniche rudimentali ed abbia ad oggetto poche piante capaci di produrre una scarsa quantità psicotropa destinata esclusivamente all’uso personale, non sarà possibile rinvenire una offensività in concreto di tale condotta che giustifichi una punizione penale.
Conclusioni
Alla luce delle considerazioni svolte, non si può che conferire al principio in esame la sua meritata rilevanza nell’ordinamento, anche se non possiamo sottrarci dal constatare, come nella materia degli stupefacenti, sia più opportuno un saggio intervento chiarificatore del legislatore al fine di evitare uno scorretto uso del principio di offensività, che potrebbe comportare letture contrastanti di uguali condotte in violazione del principio di uguaglianza o interpretazioni contra legem pur di attuare il principio di offensività in concreto. Il principio di offensività rappresenta senza dubbio un fondamentale strumento di giustizia sostanziale che, oltre ad evitare inutili appesantimenti dei tribunali e ridurre i costi della macchina giudiziaria, garantisce in favore del reo una sorta di clausola di salvaguardia a fronte di sanzioni che altrimenti sarebbero sproporzionate rispetto al caso concreto. Si evita insomma di punire “comunque” secondo una applicazione rigida e formalistica delle norme criminali che condurrebbe ad un ulteriore affollamento delle istituzioni carcerarie già sovraccariche. Tuttavia anche questo strumento di politica legislativa, nonché di interpretazione, è caratterizzato da criticità. Difatti, premessa iniziale per (prima, da parte del legislatore) tutelare un bene e (poi, da parte del giudice) valutare se vi è stata una offesa a quel bene, è individuare correttamente il bene giuridico medesimo. I beni giuridici non si sottraggono a categorizzazioni, distinguendosi in individuali o collettivi a seconda del numero dei titolari, oppure in strumentali o finali in base al criterio se siano o meno asserviti alla protezione di un ulteriore bene, fine ultimo e proprio della tutela. La diversa individuazione del bene giuridico tutelato condurrà perciò a diversi esiti circa la valutazione della sussistenza dell’offensività nel caso concreto[5]. In conclusione, il principio di offensività rappresenta un principio di rilevanza costituzionale polifunzionale di fondamentale valore in quanto, oltre a porre dei limiti alla discrezionalità del legislatore nel disegnare le fattispecie penali, rappresenta un criterio interpretativo per il giudice che, tramite un esame critico del fatto, potrà ostacolare un automatico ricorso alla sanzione criminale in presenza di fattispecie sussumibili formalmente nelle fattispecie tipiche, ma prive “in concreto” di quella sostanziale offesa che è l’unica a poter giustificare e a rendere meritevole della sanzione penale un dato comportamento.
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Note
[1] Per una analisi sul tema vedi: a cura di A. Massaro, M. Trapani, Temi penali, Giappichelli, 2013; R. Galli, Nuovo corso di diritto penale, Wolters Kluwer, 2017; A. Scaffidi, Il principio di offensività e le forme di anticipazione della tutela giuridica, in Diritto.it, 18.03.2021
[2] Sezioni Unite, sent. n. 12348 del 19.12.2019
[3] Sul tema vedi: G. Lageard, D. De Lorenzo, Il principio di offensività nei reati di pericolo contro l’incolumità pubblica: finalmente una inedita conferma anche con riguardo al reato di somministrazione di farmaci imperfetti, in Giurisprudenza Penale, 2019, 11
[4] Vedi C. Giuliani, L’inoffensività in concreto della condotta di coltivazione domestica finalizzata all’uso personale, in Diritto.it, 31.01.2020
[5] Si potrà citare come esempio il peculato d’uso il cui bene strumentale è il corretto svolgimento della p.a., mentre il bene finale a cui tende la protezione da parte dell’ordinamento è da tempo individuato dalla giurisprudenza nella salvaguardia del patrimonio della persona offesa. Perciò solo le condotte che abbiano recato un apprezzabile danno economico potranno integrare tale reato, rispettando così il principio di offensività in concreto.
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