Il fatto
Un paziente, dopo aver avuto dolori addominali per 4 giorni, si era rivolto al Pronto Soccorso del locale Ospedale dove era stato sottoposto ad una visita da parte del medico di guardia e poi dimesso con la prescrizione di un farmaco lassativo. Tuttavia, dopo soli due giorni dalla dimissione, si era sottoposto ad una RX toracica da cui era emersa la presenza di una occlusione intestinale. Il paziente era quindi stato ricoverato d’urgenza e sottoposto ad un intervento di colectomia totale con asportazione del colon.
In considerazione di ciò, il paziente aveva adito il Tribunale di Foggia chiedendo il risarcimento dei danni biologico (temporaneo e assoluto) e da perdita della capacità lavorativa nei confronti dell’Ospedale e del medico di guardia per l’omessa diagnosi dell’occlusione durante il primo ricovero al Pronto Soccorso, dovuta al fatto che il sanitario non aveva disposto l’esecuzione di esami diagnostici strumentali.
Sia il giudice di primo grado, che la Corte territoriale rigettavano la domanda risarcitoria promossa dal paziente, in quanto ritenevano che il paziente non avesse dimostrato il nesso di causalità fra l’asserita suddetta omissione del medico di guardia e l’evento dannoso lamentato dal paziente (cioè l’asportazione totale del colon).
Il paziente ha quindi impugnato la decisione di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse mal applicato i principi in materia di prova del nesso di causalità nella responsabilità medica affermati dalla giurisprudenza di legittimità (secondo cui il paziente deve soltanto dimostrare la sussistenza del contratto e l’aggravamento o l’insorgenza della patologia e poi limitarsi ad allegare l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato), nella misura in cui aveva richiesto al paziente di dimostrare che il medico non si fosse attenuto alle linee guida nonché la sussistenza di una causa imprevedibile e inevitabile che avesse reso impossibile l’esecuzione della prestazione.
La decisione della Cassazione
Gli Ermellini hanno ritenuto, invece, che la Corte di appallo abbia correttamente applicato i principi ripetutamente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità medica e conseguentemente ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza impugnata.
La Corte di Cassazione ripercorre il tema del riparto degli oneri probatori nei casi di malpractice medica e come essi si sviluppino nel particolare caso dell’omessa diagnosi.
In primo luogo, i giudici hanno ribadito che, qualora si invochi una responsabilità professionale in materia sanitaria, il paziente è sollevato dall’onere di provare la colpa del sanitario, ma deve comunque provare il nesso di causalità tra la condotta posta in essere dal sanitario medesimo e l’evento dannoso di cui egli chiede il risarcimento.
In generale l’inadempimento di un’obbligazione si sostanzia nel non aver soddisfatto l’interesse dedotto in obbligazione: pertanto, il giudizio di causalità è allo stesso tempo il criterio che collega la condotta del debitore al danno, ma anche il criterio di imputazione della responsabilità al debitore medesimo. Per tale motivo, il creditore deve solo provare la causalità giuridica, ma non la causalità materiale (che deve solo essere allegata).
Tuttavia, nelle prestazioni professionali, l’interesse dedotto in obbligazione è strumentale rispetto all’interesse del creditore: infatti, quello che viene richiesto al sanitario è l’adempimento delle leges artis e tale adempimento è strumentale rispetto al raggiungimento della cura del paziente (che sostanzia l’interesse finale di quest’ultimo). Pertanto, in questo caso, il criterio di causalità tra condotta del sanitario e evento dannoso si distingue dalla imputazione della responsabilità al sanitario.
L’inadempimento è rappresentato dalla violazione delle leges artis da parte del sanitario. Tuttavia, da tale violazione non si può ricavare automaticamente la lesione dell’interesse presupposto del paziente (cioè la lesione del suo diritto alla salute). Infatti, tale lesione potrebbe derivare da cause diverse dall’inadempimento e quindi dal mancato rispetto delle leges artis (pur sussistente) da parte del sanitario.
In ragione di ciò, il paziente danneggiato non dovrà soltanto allegare l’inadempimento del sanitario rispetto alla prestazione professionale dedotta in obbligazione (cioè il solo mancato rispetto delle leges artis), ma dovrà altresì provare anche che tale condotta inadempiente ha determinato la lesione della salute del paziente (cioè la violazione dell’interesse presupposto). In altri termini, il nesso di causalità tra condotta e evento dannoso (c.d. causalità materiale) è elemento costitutivo della fattispecie e dovrà essere provato dal paziente danneggiato: egli dovrà dimostrare il collegamento materiale causa effetto tra la condotta del sanitario e l’aggravamento della propria patologia o l’insorgenza di una nuova patologia.
Solo dopo che il paziente avrà assolto tale onere probatorio, graverà sul sanitario danneggiante l’onere di provare di aver adempiuto correttamente la propria prestazione oppure che l’inadempimento non è a lui imputabile.
Nel caso di specie, secondo gli Ermellini, il paziente ha allegato l’inadempimento del medico di guardia (consistito nell’aver omesso degli esami diagnostici durante l’accesso al Pronto Soccorso da parte del paziente), ma non ha dimostrato che tale omissione abbia determinato l’evento dannoso lamentato (consistito nell’asportazione del colon del paziente).
Per quanto concerne la prova del nesso di causalità nelle fattispecie di omessa diagnosi, gli Ermellini ricordano che in tali casi si deve ricorrere al c.d. giudizio controfattuale: secondo un giudizio ex ante, si deve verificare se il sanitario avesse dovuto tenere una condotta diversa che, valutata ex post, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento dannoso.
In altri termini, l’accertamento del nesso di causalità nelle fattispecie di omessa diagnosi deve essere effettuato nei seguenti termini: deve essere mentalmente ipotizzata la condotta dovuta secondo le leges artis ma omessa dal sanitario e quindi verificare se l’evento dannoso si sarebbe verificato ugualmente o meno.
Nel caso in cui, l’evento dannoso si sarebbe comunque verificato o gli effetti dannosi sarebbero comunque sostanzialmente gli stessi a quelli che il paziente ha subito, la condotta omissiva non è causalmente riconducibile all’evento dannoso, che quindi dipende da altri fattori causali diversi dalla condotta omissiva del sanitario. Nel caso in cui, invece, l’evento dannoso non si sarebbe verificato o comunque sarebbe stato limitato nella sua portata o differito nel tempo in misura non irrisoria, la condotta omessa deve ritenersi collegata causalmente all’evento dannoso.
Nel caso di specie, gli Ermellini ritengono che correttamente la Corte di Appello ha ritenuto che anche sostituendo la condotta dovuta a quella omessa (e quindi se il medico di guardia avesse disposto gli esami diagnostici), il paziente avrebbe comunque dovuto subire l’asportazione del colon circa tre mesi dopo e ridotta in minima parte rispetto all’asportazione che nei fatti ha subito. Pertanto, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto che le differenze degli effetti dannosi sarebbero state non significative e conseguentemente ha ritenuto non sussistente il nesso di causalità.
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