INDICE
- Ambito di applicazione dello smart working
- Quadro normativo: L. 22/05/2017 N. 81
- Art. 18: lavoro agile
- Art. 19: forma e recesso
- Art. 20: diritto all’apprendimento
- Art. 21: potere di controllo e disciplinare
- Artt. 22- 23: sicurezza sul lavoro ed assicurazione obbligatoria per infortuni e malattie
- Potere direttivo del datore di lavoro
- Trattamento economico ed incentivi: rinvio all’art. 51 d. lgs. 81/2015
- Divieto di discriminazione del lavoratore in smart working
- Accesso allo smart working: modifica intervenuta con la legge di bilancio del 2019
1. Ambito di applicazione dello smart working
Il lavoro remoto nella Pubblica Amministrazione ha avuto un’evoluzione normativa che parte dal telelavoro del 1988 per passare attraverso il lavoro agile del 2017 e arrivare ad oggi con il decreto Cura Italia, confermato con modificazioni dalla sua legge di conversione n. 27/2020 che, a mezzo di deroghe alla normativa vigente, introduce un nuovo lavoro a domicilio.
In origine è stata la legge 6 giugno 1998, n. 191 a prevedere per le amministrazioni pubbliche la possibilità di avvalersi di forme di lavoro a distanza: “Allo scopo di razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, possono avvalersi di forme di lavoro a distanza” (art. 4, comma 1).
Con il d.P.R. 8 marzo 1999, n. 70 (“Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell’articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191”) sono state poi fissate le concrete modalità attuative del telelavoro definito, dalla lett. b) dell’art. 2, come quella “prestazione di lavoro eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l’amministrazione cui la prestazione stessa inerisce”.
Il 23 marzo 2000 è stato stipulato l’Accordo quadro nazionale per l’applicazione del telelavoro ai rapporti di lavoro del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni[1] che vede il telelavoro principalmente relegato a risolvere situazioni di disabilità psico-fisiche, tali da rendere disagevole il raggiungimento del luogo di lavoro, o esigenze di cura di figli minori di 8 anni e di familiari o conviventi.
Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) 14 febbraio 2001, stipulato ad integrazione di quello per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici 16 febbraio 1999, ha introdotto per la prima volta una disciplina sperimentale del telelavoro. Questo è stato strutturato in sostanza nei termini di un lavoro a domicilio tanto da prevedere espressamente “la prestazione dell’attività lavorativa dal domicilio del dipendente” (art. 34, comma 2, lett. a), il rimborso “anche in forma forfetaria, delle spese sostenute dal lavoratore per consumi energetici e telefonici” (art. 34, comma 3), l’orario di lavoro lasciato alla discrezione del lavoratore (art. 34, comma 6) e persino la copertura assicurativa dei suoi familiari (art. 34, comma 11)[2].
In applicazione di tale CCNL è stato poi sottoscritto il 15 ottobre 2014 l’”Accordo Nazionale di telelavoro domiciliare e progetto sperimentale di telelavoro satellitare” da parte dell’INPS che all’art. 4 prevede che “1. Per telelavoro domiciliare si intende la possibilità di lavorare presso la propria abitazione o altra espressamente indicata (ad es. abitazione di un familiare che necessiti di assistenza), attraverso l’adozione di supporti tecnologici che consentano il collegamento a distanza di una postazione lavorativa fissa e un’adeguata comunicazione. 2. Il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa deve essere ubicato nella regione ove è situata la sede di appartenenza del telelavoratore. L’attivazione del progetto presuppone la verifica, con esito positivo, dell’idoneità del luogo ove installare la postazione con riferimento alle caratteristiche di tecniche previste dall’allegato 1. 3. L’adesione del lavoratore ad un progetto di telelavoro ha carattere volontario.”.
Con l’art. 14, L. 7 agosto 2015, n. 124 è stato successivamente stabilito che le amministrazioni dovessero adottare, entro i tre anni successivi, misure tali da permettere ad almeno il 10% dei dipendenti pubblici che lo avessero richiesto di avvalersi delle nuove modalità di telelavoro.
Volume consigliato
SMART WORKING E CORONA VIRUS
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e il processo di digitalizzazione, denominato Industria 4.0, che coinvolge l’attuale contesto economico e sociale, ha determinato necessariamente dei cambiamenti anche nel modo di concepire la prestazione lavorativa, ad oggi caratterizzata dalla destrutturazione spazio-temporale.La flessibilità degli orari e del luogo della prestazione di lavoro, diventa una necessità ed una soluzione che grazie all’utilizzo dell’ ITC (information technology) si realizza concretamente.Le nuove tecnologie, in particolare quelle collaborative ed i social media, hanno concesso la possibilità di mettersi in contatto con chiunque ed in qualsiasi momento, e ciò ha completamente stravolto la cultura d’impresa.Invero, il sempre maggiore utilizzo di internet nonchè dei nuovi mezzi di comunicazione ha fatto sì che le distanze venissero meno o comunque si accorciassero, modificando notevolmente quello che era il modo di lavorare e di fare impresa.A tal proposito il diritto del lavoro si trova a fare i conti con queste nuove esigenze che necessitano di un intervento regolativo.Con la legge 81/2017 è stato introdotto e disciplinato il “Lavoro Agile”, meglio definito “Smart Working” e, per la prima volta in Italia, tale specifica modalità di svolgimento della prestazione lavorativa è stata inserita all’interno di un quadro normativo, che verrà trattato nel proseguo.Lo Smart Working, più precisamente, può essere definito come quell’“insieme di modelli organizzativi, moderni e non convenzionali, caratterizzato da un elevato livello di flessibilità nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti di lavoro, e che fornisce a tutti i dipendenti di un’azienda le migliori condizioni di lavoro”.Una delle tendenze che caratterizza il mercato del lavoro è, senza ombra di dubbio, la richiesta di flessibilità da parte dei lavoratori e di soluzioni che diano risposta al loro bisogno di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa.Ed infatti la ratio posta alla base della L. 81/2017 è rappresentata proprio dall’incremento della competitività e della conciliazione dei tempi vita lavoro definito come work life balance.Questo concetto assai significativo consiste proprio nel bilanciamento tra il tempo dedicato al lavoro e alla carriera e quello dedicato a prendersi cura della famiglia e del proprio tempo libero.Le difficoltà nel gestire e bilanciare i tempi di vita nonché quelli di lavoro possono comportare, ancora, un ulteriore costo per il lavoratore in termini di riduzione del benessere; ciò può portare di conseguenza anche a compromettere la qualità della prestazione lavorativa e la produttività delle ore dedicate al lavoro.Come emerge dagli ultimi dati elaborati dall’Osservatorio smart working, i lavoratori smart mediamente presentano un grado di soddisfazione e coinvolgimento nel proprio lavoro molto più elevato di coloro che lavorano in modalità tradizionale: il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi. Inoltre, sono più soddisfatti dell’organizzazione del proprio lavoro (il 31% degli smart worker contro il 19% degli altri lavoratori), ma anche delle relazioni fra colleghi (il 31% contro il 23% degli altri) e della relazione con i loro superiori (il 25% contro il 19% degli altri).Tutto ciò naturalmente, comporta risvolti positivi anche nei confronti delle aziende, tra questi spiccano l’incremento di produttività, la riduzione del tasso di assenteismo, la capacità di attrarre i talenti, l’aumento dell’engagement, il miglioramento delle competenze digitali e l’ottimizzazione della gestione degli spazi.Uno spazio all’interno di questa trattazione è dedicato agli ultimi interventi normativi circa l’utilizzo dello smart working come strumento per consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa nella situazione di emergenza in cui si trova il nostro paese, dovuta al diffondersi del virus Covid-19.Massimiliano MatteucciConsulente del Lavoro in Roma. Partner Nexumstp Spa. Cultore della materia e Professore a contratto presso università pubbliche e private. Autore di numerose pubblicazioni in materia di Lavoro e relatore a convegni e seminari.
Massimiliano Matteucci | 2020 Maggioli Editore
10.30 € 8.24 €
2. Quadro normativo: L. 22/05/2017 N. 81
La L. 22 maggio 2017, n. 81 ha infine introdotto il lavoro agile[3] che all’art. 18 viene definito come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. Al comma 3 di detto articolo è stato espressamente previsto che le disposizioni introdotte si applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, secondo le direttive emanate anche ai sensi dell’art. 14, L. 7 agosto 2015, n. 124 e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti.
Con la Dir. n. 3/2017[4] a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per la semplificazione amministrativa, sono stati infine dettati gli indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2 dell’art. 14, L. 7 agosto 2015, n. 124, che delegava il Governo alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, prevedendo l’introduzione di nuove e più agili misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei propri dipendenti, tracciando le linee guida per la nuova organizzazione del lavoro ma sempre limitate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.
L’emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha attualmente accelerato il processo in atto con una serie di provvedimenti a cascata[5].
Il D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020 ha innanzitutto stabilito che il lavoro agile “è applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”.
Il successivo D.L. 2 marzo 2020, n. 9, recante “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, ha dichiarato superato il regime sperimentale dell’obbligo per le amministrazioni di adottare misure organizzative per il ricorso a nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, con ciò definendo immediatamente cogente tale obbligo.
Con la Dir. n. 1/2020[6] del 25 febbraio 2020, il Ministro per la Pubblica Amministrazione, rivolgendosi alle amministrazioni pubbliche delle aree geografiche non direttamente coinvolte nell’emergenza, ha sollecitato l’utilizzo del lavoro agile e flessibile ed invitato le Amministrazioni a far uso di modalità telematiche per riunioni, convegni e momenti formativi, prevedendo misure specifiche per le prove concorsuali e per i locali di lavoro. Con tale circolare il ministro della P.A. ha fornito alcuni chiarimenti sulle modalità di implementazione delle misure normative e sugli strumenti, anche informatici, a cui le pubbliche amministrazioni possono ricorrere per incentivare il ricorso a modalità più adeguate e flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa.
Con circ. n. 1 del 4 marzo 2020[7] sempre il ministro della P.A., preso atto dell’obbligatorietà di implementazione dello smart-working, oltre a suggerire soluzioni cloud per agevolare l’accesso condiviso dei dipendenti ai dati e documenti, il ricorso a videoconferenze e ad altre modalità flessibili dello svolgimento della prestazione, ha fissato un termine massimo di sei mesi entro i quali le P.A. “tramite apposito atto di ricognizione interna, individuano le attività che non sono compatibili con le innovative modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, tenendo sempre presente l’obiettivo di garantire, a regime, ad almeno il 10 per cento del proprio personale, ove lo richieda, la possibilità di avvalersi di tali modalità.”.
La successiva Dir. n. 2/2020 del 12 marzo 2020[8], sostitutiva della n. 1/2020, ha rafforzato ulteriormente il ricorso allo smart-working, annunciando questa come forma organizzativa “ordinaria” per le pubbliche amministrazioni[9].
In ultimo il D.L. “Cura Italia”, n. 18 del 17 marzo 2020, convertito con L. n. 27 del 24 aprile 2020, ha disciplinato lo smart-working in due diversi articoli: all’art. 39 (dove viene stabilito che fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19[10], “i lavoratori dipendenti disabili […] o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità […] hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile […] a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione” e che stesso diritto hanno i lavoratori immunodepressi ed i loro familiari conviventi) ed all’art. 87 specificamente dedicato alla P.A.
Quest’ultima norma riprende il concetto già espresso nella Dir. n. 1 definendo il lavoro agile quale “modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni” sebbene a termine ovvero sino a cessazione dello stato di emergenza epidemiologica. Si ricorda che lo stato di emergenza è stato disposto dal Consiglio del Ministri il 31 gennaio 2020 con iniziale durata semestrale e quindi sino al 31 luglio 2020.
3. Art. 18: lavoro agile
Il telelavoro prevedeva il trasferimento della sede di lavoro dai locali aziendali ad altra solitamente individuata, anche nella contrattualistica collettiva, con l’abitazione del lavoratore, ma con vincolo per il dipendente di lavorare in una postazione fissa e prestabilita, e con gli stessi limiti di orario assolti all’interno dell’azienda. Il carico di lavoro, gli oneri e i tempi della prestazione, dovevano essere equivalenti a quelli degli altri lavoratori non remotizzati.
Al contrario, il lavoro agile prevede che la prestazione lavorativa venga eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, ma senza stabilire una postazione fissa. Non ci sono vincoli di spazio e tempo ma solo limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva: si può lavorare da qualsiasi luogo (dentro e fuori l’azienda), non si timbra un cartellino, non si fanno pause in orari predefiniti e l’azienda e il dipendente ridefiniscono in maniera flessibile le modalità di lavoro,
Ambedue le modalità lavorative, telelavoro e lavoro agile, sono meramente eventuali e la loro attivazione è comunque sempre frutto di un accordo scritto tra le parti.
L’art. 87, D.L. n. 18/2020 invece, nella misura in cui qualifica il lavoro da remoto come modalità ordinaria, ridefinisce, seppur solo temporaneamente e d’imperio, il luogo di lavoro. Tale ridefinizione può essere imposta indipendentemente dalla volontà del lavoratore, tanto è vero che la lett. b) dell’art. 1 prevede che le pubbliche amministrazioni possono dar corso a tale nuova modalità prescindendo “dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81”.
La durata dell’assegnazione unilaterale in modalità remota è normativamente limitata al periodo dell’emergenza sanitaria e quindi, laddove attivata in modalità semplificata, ovvero in assenza dell’accordo individuale e pertanto senza indicazione di un termine, andrà naturalmente a cessare con il venir meno dello stato di emergenza[11].
Nello smart working ordinariamente gli strumenti tecnologici necessari per assicurare la prestazione in remoto sono forniti dal datore di lavoro (art. 18, comma 2, L. n. 81/2017). Il Decreto Cura Italia confermato dalla legge di conversione, invece, consente deroga anche a questo aspetto, prevedendo che “la prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall’amministrazione “(art. 87, comma 2).
Nel lavoro a domicilio, diversamente da quanto inizialmente previsto per un errore di trascrizione del testo approvato in Senato[12], ed all’esito dell’intervento del legislatore con la L. 16 dicembre 1980, n. 858, la proprietà delle attrezzature, oltre che delle materie prime, rimane questione indifferente ai fini della qualificazione della natura del rapporto. Ed infatti l’art. 1, L. n. 858/1980 attualmente in vigore prevede che la strumentazione possa appartenere indistintamente al lavoratore quanto al datore. Inoltre, abbandonato il criterio economico che escludeva la natura subordinata del rapporto nel caso in cui i macchinari fossero di particolare valore, oggi si fa riferimento esclusivo anche nel lavoro a domicilio al criterio della prevalenza dell’attività lavorativa. Di conseguenza, anche nel caso di utilizzo di strumentazioni costose di proprietà del lavoratore, qualora il patrimonio cognitivo e di elaborazione rimanga prevalente il rapporto di lavoro rimarrà sussumibile all’interno della L. n. 877/1973.
Anche sotto tale profilo è innegabile, pertanto, l’affinità della nuova modalità lavorativa emergenziale con il lavoro a domicilio.
4. Art. 19: forma e recesso
Invece l’art. 18, L. n. 81/2017 prevedeva necessariamente il consenso del lavoratore a cui il successivo art. 19 riconosceva la facoltà di recedere, sebbene con preavviso, per il rientro nella sede di lavoro “ordinaria”. L’emergenza sanitaria ha pertanto imposto la deroga sia dell’accordo negoziale d’impulso che della possibilità di recesso per il rientro in sede.
Tale potere di “trasferimento o remotizzazione d’imperio” per il settore pubblico è stato mutuato da similare previsione per il lavoro privato in precedenza contenuta nel D.P.C.M. 8 marzo 2020 che all’art. 2, lett. r)[13] ha previsto che, per tutta la durata dello stato di emergenza disposto dal Consiglio del Ministri il 31 gennaio 2020 (e cioè fino al 31 luglio 2020), il lavoro agile possa essere applicato dai datori di lavoro “anche in assenza degli accordi individuali”, con “obblighi di informativa” in materia di salute e sicurezza sul lavoro assolti “in via telematica” anche attraverso l’apposita documentazione sul sito dell’INAIL. Specularmente l’art. 87 deroga alla definizione dei contenuti e modalità di esercizio del potere disciplinare, alle norme sulla sicurezza (art. 22) e alle comunicazioni obbligatorie in materia di assicurazioni infortuni (art. 23) semplicemente assolvibili mediante invio telematico di modello standardizzato rinvenibile sul sito INAIL.
Ma, a differenza del settore privato, in cui il datore di lavoro ha semplice facoltà di attivare il lavoro remoto, in quello pubblico tale opzione è obbligatoria (laddove ovviamente la mansione lo consenta).
In relazione alla segregazione forzata imposta dalle norme sanitarie in atto, più che di lavoro agile (che si ricorda essere quella prestazione che “viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”), la norma consente alle P.A. di far uso più propriamente di telelavoro domestico ovvero di lavoro a domicilio con strumentazione elettronica. Ed infatti se è pur vero che le P.A. possono allestire degli uffici satelliti ove concentrare le tecnologie necessarie, tale soluzione è residuale e francamente inopportuna in ragione della necessità di confinamento sociale.
5. Art. 20: diritto all’apprendimento
Ancor più significativa è la previsione dell’art. 20, comma 1, che attribuisce al lavoratore in modalità agile il diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono la propria prestazione «esclusivamente all’interno dell’azienda».
Al di là della non felice formulazione – che individua quale termine di paragone i lavoratori adibiti alle medesime mansioni all’interno dell’azienda e che può creare qualche problema applicativo nelle dimensioni organizzative più ridotte – la norma si muove nel solco di quanto già previsto per il trattamento dei rapporti di lavoro caratterizzati tanto da flessibilità tipologica quanto organizzativa, benché, a seconda della fattispecie, si parli ora di divieto di discriminazione ora di parità di trattamento[14].
E tuttavia, va sottolineato come il trattamento economico e normativo dei lavoratori agili venga esplicitamente agganciato non tanto “a valle”, costringendo ad una eventuale operazione di parificazione con quanto attribuito al lavoratore comparabile, ma ancor prima “a monte”, alla fonte regolativa di riferimento indicata nei contratti collettivi stipulati ai sensi dell’art. 51, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, con due importanti conseguenze.
La prima è la conferma che il richiamo ai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro rappresentanze aziendali continua a svolgere una funzione di contrasto del fenomeno della c.d. contrattazione “pirata”[15], e quindi, come criterio di selezione tra più contratti collettivi a scongiurare fenomeni di dumping sociale[16]; con la peculiarità che in questo caso l’abbassamento delle tutele potrebbe essere determinato non solo da contratti collettivi sottoscritti da soggetti sindacali comparativamente meno rappresentativi ma anche da un accordo individuale che si ponga al di sotto dei livelli contrattuali così individuati.
Più ancora, l’applicazione di un trattamento «in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81» appare singolare rispetto ai richiami alla parità di trattamento dei cd. lavoratori flessibili di cui allo stesso d.lgs. n. 81 del 2015 e per i quali è invece assente il richiamo ad una determinata fonte collettiva[17]. Se ne può allora dedurre che esso funga certamente quale limite “esterno” alla disciplina della fattispecie, ma strutturale al nucleo “essenziale” delle sue disposizioni inderogabili, con l’effetto che laddove non venga applicato alcuno dei contratti “qualificati” ex art. 51, dovrebbe risultare del tutto precluso l’accesso al lavoro agile, se non addirittura illegittimo l’accordo individuale che lo regoli, così che il rapporto proseguirebbe (o si costituirebbe ab origine) come un ordinario rapporto di lavoro subordinato.
La previsione di cui all’art. 20, invero, circostanzia il profilo della comparazione proprio con l’applicazione dei trattamenti tanto economici quanto normativi derivanti dai contratti collettivi comparativamente più rappresentativi. Non basta dunque garantire medesimi standard nel rapporto di lavoro, ma al di fuori dei contratti collettivi ex art. 51, ai lavoratori agili e a quelli che svolgano la loro prestazione esclusivamente all’interno dell’azienda, né tantomeno ci si può accontentare di parametrare i livelli di tutela (solo) dei primi a quelli potenzialmente applicabili, secondo i contratti collettivi comparativamente più rappresentativi, al contesto produttivo di riferimento[18]; in questa seconda prospettiva, infatti, si legittimerebbe una (paradossale) disparità di trattamento tra i dipendenti della medesima azienda.
In altri termini, la norma in parola finisce con il produrre risultati equivalenti a quello che Massimo D’Antona chiamava il «terzo effetto» del contratto collettivo[19], inducendo il datore di lavoro, che voglia trarre vantaggio dalla flessibilità organizzativa dello smart working, ad entrare nel circuito delle relazioni sindacali, conformandosi alle regole definite, magari anche solo a livello aziendale, da soggetti che rispondono ai criteri di selettività legalmente imposti: l’autonomia collettiva potrà in questo caso, pur non contemplata dalla legge, contribuire ad integrare il quadro regolativo del lavoro agile.
Rimane aperta la questione dell’esatta portata dell’indicazione di un «trattamento […] non inferiore a quello complessivamente applicato» ai lavoratori “interni”, che richiama – tanto con riferimento al rapporto tra le previsioni contenute nell’accordo individuale rispetto a quelle collettive, quanto alla relazione tra il trattamento appositamente previsto per i lavoratori agili dal contratto collettivo e quello generalmente riconosciuto in attuazione dei contratti collettivi ex art. 51 – i principi generali vigenti dell’inderogabilità in pejus e le diverse opzioni circa i termini nei quali operare la comparazione tra le fonti (si fa riferimento alle diverse tesi del c.d. conglobamento, del c.d. cumulo e quelle intermedie). Quale che sia l’opzione prescelta – e pur nella consapevolezza che l’accordo individuale, o anche quello aziendale sul lavoro agile, che introduca trattamenti peggiorativi benché «adeguatamente controbilanciati da previsioni più favorevoli»[20], potrebbe non impedire negoziazioni sbilanciate e pratiche di scambio pro-business – il dato inconfutabile è che la (ri)regolazione del lavoro sviluppato al di fuori dell’azienda avrà ampi margini di manovra ma un vincolo finale, in una “sommatoria” di pari valore a quella del lavoro reso dentro i confini aziendali, e fissata proprio dalla contrattazione collettiva.
6. Art. 21: potere di controllo e disciplinare
Sull’esercizio del potere di controllo e disciplinare l’art. 21 della L. n. 81/2017 fa semplicemente riferimento all’art. 4 dello SdL, precisando che le condotte disciplinarmente rilevanti connesse alla prestazione del lavoro al di fuori dei locali aziendali debbono essere elencate e tipizzate nell’accordo scritto con il lavoratore.
È evidente che l’art. 21 intenda riferirsi più propriamente ai commi 2 e 3 dell’art. 4 Stat. lav. che escludono dagli strumenti di controllo soggetti agli stretti vincoli del primo comma tutti gli apparati tecnologici utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione. Inoltre si ricorda che il comma 3 consente espressamente al datore di lavoro la raccolta delle informazioni acquisite in remoto dagli strumenti di lavoro per tutti fini connessi al rapporto lavorativo a patto che venga data adeguata informazione al lavoratore sia sul suo utilizzo sia sulla possibilità ed effettuazione dei controlli per e sulla tipologia degli stessi se operati in via continuativa o a campione.
In merito a tale aspetto, sul quale deliberatamente non ci si sofferma, appare opportuno esclusivamente sottolineare la problematica del controllo del lavoratore attraverso gli strumenti di geolocalizzazione ormai contenuti ed abilitati in qualsiasi dispositivo elettronico sia esso un telefono cellulare, un tablet, un pc o la stessa automobile. L’ispettorato nazionale del lavoro si è pronunziato sul tema, e attraverso il concetto di “natura strettamente funzionale alla prestazione lavorativa” ha precisato che i sistemi di sistemi di geolocalizzazione rappresentano un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro ed in quanto tali non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa ma per rispondere ad esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro. Ne consegue che, in tali casi, la fattispecie rientri nel campo di applicazione di cui al comma 1 dell’art. 4, L. n. 300/1970 e pertanto le relative apparecchiature possono essere installate solo previo accordo stipulato con la rappresentanza sindacale ovvero, in assenza di tale accordo, previa autorizzazione da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro (art. 4, comma 1, L. n. 300/1970 come modificato dall’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 185/2016[21].
Sotto l’aspetto strettamente disciplinare pare evidente che laddove non vi sia stato alcun accordo scritto, anche gli eventuali comportamenti valutabili disciplinarmente, purché non in violazione del minimo etico sempre esigibile, non siano contestabili e le eventuali contestazioni formalizzate risultino nulle. In questo caso l’accordo scritto riveste natura non certo ad probationem ma ad substantiam in quanto in sua mancanza il potere disciplinare non sorge e non può essere esercitato.
7. Artt. 22- 23: sicurezza sul lavoro ed assicurazione obbligatoria per infortuni e malattie
L’art. 22 della L. n. 81/2017, oltre a ribadire che il datore di lavoro è il garante della salute e sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità agile, prevede un obbligo generale di informazione scritta con la specifica individuazione dei rischi generali specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. A fronte di tale obbligo datoriale francamente indefinito[22] vi è un parallelo obbligo da parte del lavoratore a cooperare nell’attuazione di tale misura di prevenzione in modo da fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione esterna ai locali aziendali.
Tale norma, fortemente generica, non fa riferimento al luogo di lavoro che come detto sopra può essere il più vario ovvero il domicilio del lavoratore, un centro satellite, una dependance aziendale. Certo è che, in ragione della diversità della luogo di espletamento della prestazione, anche quelli che sono gli obblighi di sicurezza possono chiaramente diversificarsi. Non solo, ma potrebbe pure ipotizzarsi la inidoneità dell’eventuale luogo di lavoro scelto in autonomia dallo stesso lavoratore. Ed infatti, diversamente da quanto previsto nell’accordo interconfederale sul telelavoro, la normativa sul lavoro agile non prevede né consente un accesso presso i luoghi eventualmente prescelti dal lavoratore ai fini di un loro controllo[23].
L’art. 23 prevede riconosce infine il diritto del lavoratore alla tutela contro gli infortuni del lavoro ed espressamente la copertura dell’infortunio in itinere “durante il normale percorso di andata e ritorno da luogo di abitazione quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali”. Anche in questo caso risulta evidente che la preventiva e concordata ubicazione del luogo di erogazione della prestazione agile è determinante per il riconoscimento di tale copertura. Si dubita comunque che l’eventuale infortunio in cui può incorrere il lavoratore che abbia scelto la modalità agile presso il proprio domicilio o residenza, laddove si risolva in una attività di concetto attraverso l’uso di dispositivi elettronici, possa essere mai riconosciuta ai fini della copertura INAIL.
La disposizione, mentre non solleva soverchie questioni di natura tecnica né sul lato della c.d. “classificazione tariffaria” né su quello, strettamente connesso, della determinazione della “retribuzione imponibile”[24], lascia aperti molti dubbi in ordine al raggio di estensione della tutela assicurativa.
Un primo problema concerne l’individuazione dei “rischi lavorativi” ai quali è esposto il lavoratore.
Al fine di scongiurare il pericolo che questi possano restare indeterminati, date le molteplici peculiarità della fattispecie in esame, la circolare Inail 2 novembre 2017, n. 48, “ai fini del rapido riconoscimento delle prestazioni infortunistiche”, rinvia all’accordo individuale il compito di definire i rischi, anche sotto il profilo dei “riferimenti spazio-temporali”, evidenziando che in mancanza l’istituto dovrà procedere a specifici accertamenti per verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali della tutela; accertamenti non semplici, trattandosi, com’è ormai evidente, di lavoro svolto all’esterno dei locali aziendali, per cui non è agevole stabilire a priori se “l’attività svolta dal lavoratore al momento dell’evento infortunistico sia in stretto collegamento con quella lavorativa”[25].
La circolare fa intendere che l’accordo individuale dovrà individuare i luoghi e le coordinate temporali essenziali della prestazione di lavoro, così da agevolare il compito dell’istituto assicurativo e, in ultima analisi, rendere più certe le garanzie per il lavoratore in modalità agile.
Una precisazione che conferma, fra l’altro, quanto sin qui sostenuto in ordine alla necessità che l’iniziale assunto legale circa l’assenza di precisi vincoli di tempo e di luogo della prestazione in modalità agile vada opportunamente contestualizzato all’interno del dettato normativo, emergendo vieppiù l’importanza dell’accordo individuale quale fonte di individuazione dei “luoghi di lavoro” e della perimetrazione dei limiti di orario massimo e dei riposi (compresa la disconnessione).
La seconda questione riguarda il riconoscimento del c.d. infortunio in itinere.
L’art. 23, comma 3°, l. n. 81/17 estende al lavoratore agile la tutela contro gli infortuni “occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali”; precisando però successivamente che la risarcibilità dell’infortunio è subordinata alla circostanza che “la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza”.
Sulla risarcibilità dell’infortunio che si verifichi nel percorso casa-lavoro e viceversa nulla quaestio, trattandosi di applicare i principi elaborati da consolidata giurisprudenza, anche in ordine ai limiti connessi al c.d. “rischio elettivo”, ovvero derivanti dal fatto che l’infortunio sia determinato da circostanza di natura dolosa imputabile a terzi[26].
Assai meno comprensibile è la specificazione di cui al comma 3°, ultima parte, dell’art. 23 l. n. 81/17 sulla determinabilità del diritto al risarcimento in ordine alle caratteristiche del luogo prescelto nonché a un non meglio precisato criterio di ragionevolezza.
Fermo restando la genericità di quest’ultimo, può affermarsi, ancora in coerenza con le tesi sviluppate in precedenza, che per assicurare la congruenza del “luogo”, ai fini dell’effettività delle tutele assicurative, occorre che esso sia “prescelto” nell’accordo individuale. L’intesa fra le parti interessate dovrebbe infatti tendenzialmente assicurare la coerenza fra l’individuazione della sede di lavoro rispetto alle esigenze connesse alla prestazione nonché alla finalità di conciliazione fra vita e lavoro, evitando all’istituto assicurativo improbabili operazioni di accertamento discrezionale, secondo parametri di probabilità o ragionevolezza forieri di sicuri contenziosi.
8. Potere direttivo del datore di lavoro
L’accordo relativo alle modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto e può essere a termine o a tempo indeterminato. In tale ultimo caso il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a 30 giorni, salvo che si tratti di lavoratori disabili. In caso di giustificato motivo ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.
L’accordo scritto deve disciplinare l’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno del locale anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo deve contenere altresì i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecniche ed organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore delle strumentazioni tecnologiche di lavoro.
Invariato, o meglio, al passo con i tempi il potere di controllo e disciplinare del datore di lavoro anche in epoca di smart working. Normalmente uno dei principali strumenti utili a verificare l’adempimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente è l’accertamento della presenza in termini di orario del dipendente mediante controlli automatizzati. L’esercizio del potere di controllo nella nuova modalità di lavoro potrebbe essere regolato prevedendo fasce di reperibilità articolate in relazione all’orario di servizio eventualmente previste nel regolamento interno dell’amministrazione, sì da assicurare il coordinamento tra la prestazione di lavoro e l’organizzazione del datore di lavoro.
Centrale sarà il ruolo del Dirigente che definirà le priorità di lavoro e che eserciterà il controllo principalmente avendo riguardo al risultato da raggiungere, in termini qualitativi e quantitativi; provvederà poi ad individuare il personale da avviare alla modalità di lavoro agile anche alla luce della condotta complessiva del dipendente ed organizzerà per i “lavoratori agili” una programmazione settimanale-quindicinale delle priorità e degli obiettivi da raggiungere nel breve e medio periodo.
La verifica del conseguimento degli obiettivi stessi potrà essere realizzata mediante la stesura di una reportistica secondo una cadenza concordata con il lavoratore, ovvero attraverso momenti di confronto nei giorni di presenza in sede del lavoratore.
Parimenti trovano applicazione anche per i lavoratori agili le disposizioni in materia di responsabilità, infrazioni e sanzioni. A tal proposito, poste le norme generali in tema di sanzioni disciplinari, potrebbe essere introdotta nel codice di comportamento di ciascuna amministrazione per i lavoratori agili un’apposita sezione con misure specifiche rispetto all’orario di servizio, alla riservatezza, alla custodia degli strumenti utilizzati in caso di apparecchi forniti dall’amministrazione, all’incompatibilità e al divieto di cumulo di impieghi.
-
Trattamento economico ed incentivi: rinvio all’art. 51 d. lgs. 81/2015
Per essere una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che ha trovato discreta diffusione grazie ad accordi aziendali, e pure qualche tentativo di regolamentazione più generale ad opera di contratti di categoria sottoscritti nel mentre ancora si discuteva delle diverse proposte parlamentari, è abbastanza sorprendente che la disciplina legale dello smart working (l. 22 maggio 2017, n. 81) abbia obliterato il possibile ruolo del contratto collettivo, preferendo invece l’«accordo tra le parti»[27].
E tuttavia, il testo approvato in via definitiva dal Parlamento si presenta diverso tanto dall’impianto originario del d.d.l. di iniziativa governativa (n. 2233 del 2016, «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale»), quanto del coevo d.d.l. Sacconi (n. 2229 del 2016, «Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale»), poi confluito nel primo. Entrambi, invero, consegnavano uno specifico ruolo all’autonomia collettiva, più specificamente di natura integrativa nel progetto governativo – laddove l’art. 20 riservava ai «contratti collettivi, di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81» la facoltà di «introdurre ulteriori previsioni finalizzate ad agevolare i lavoratori e le imprese che intendono utilizzare la modalità di lavoro agile» – e più indirizzato a vincolare l’accordo individuale nel d.d.l. Sacconi, tenuto cioè a «quanto eventualmente previsto dai contratti collettivi aziendali o territorialmente applicabili» (art. 2), in relazione alle «modalità di misurazione della prestazione, ai trattamenti retributivi e normativi, ai periodi di sospensione della prestazione o reperibilità e all’impatto sulla persona in termini di obiettivi, forme di apprendimento, cambiamenti cognitivi e fisici» (art. 3).
Pur con molti distinguo, l’originaria opzione regolativa aveva trovato ampia condivisione nei primi commenti della dottrina[28], nonché il benestare delle organizzazioni di rappresentanza datoriali e sindacali nei lavori istruttori dei disegni di legge. Nondimeno, dapprima il collegamento tecnico ratione materiae dei due disegni determinava la confluenza del d.d.l. n. 2229 nel d.d.l. n. 2233, e poi il dibattito parlamentare provvedeva a sopprimere con un emendamento l’art. 20 dall’articolato normativo, sicché già in sede di prima approvazione (5 agosto 2016), la disciplina si presentava priva di alcun rinvio diretto all’autonomia collettiva.
Si tratta di un’assenza, mantenuta nel testo definitivo, che non può essere sbrigativamente liquidata con la «inutilità» di un richiamo esplicito, né con le possibili resistenze ad uno sbarramento selettivo degli attori negoziali chiamati a regolare l’istituto, né ancora con una lettura critica delle esperienze concrete offerte dalla contrattazione collettiva nell’attigua materia del telelavoro, per evitare irrigidimenti che ne ostacolino la diffusione[29].
Da un punto di vista sistematico, infatti, per la prima volta nel nostro ordinamento la disciplina legale di un istituto della flessibilità del rapporto di lavoro subordinato non affida alcuna competenza regolativa diretta all’autonomia collettiva. Se, infatti, le parti sociali sono da sempre state investite del compito di “dosare” la flessibilità – per quanto è indiscutibile che il filtro sindacale abbia progressivamente perso di importanza nell’attenzione del legislatore[30] – il quadro legale del lavoro agile sembrerebbe semplificare la tradizionale triangolazione tra legge, autonomia collettiva e autonomia individuale in un mero rapporto binario tra previsione legale e accordo individuale.
Resta naturalmente tutto da dimostrare che il potenziamento dell’autonomia individuale, a scapito di quella collettiva, determini in maniera incrementale il ricorso allo smart working.
Più ancora, in una lettura sistematica delle previsioni sul lavoro agile della l. n. 81 del 2017, vanno in primo luogo valutati i richiami pure presenti al contratto collettivo, benché gli stessi si mostrino “esterni” sia alla definizione della fattispecie, sia alla sua regolazione.
- Divieto di discriminazione del lavoratore in smart working
Per quanto si è sin qui cercato di argomentare, è di tutta evidenza che l’assenza di una espressa attribuzione di competenza dell’autonomia collettiva alla regolazione del lavoro agile non solo non le sottrae potestà di intervento, ma ancor più non riesce a scardinare il sistema lavoristico delle fonti, che, sebbene messo da tempo e senza tregua sotto pressione, non riconosce attraverso la l. n. 81 del 2017 una supremazia dell’autonomia individuale. Addirittura, si può giungere a ritenere che proprio le ambiguità di una di una legislazione, nata piuttosto allo scopo di consentire maggiore flessibilità organizzativa e funzionale nella gestione del rapporto di lavoro, rompendo l’”unità aristotelica” di spazio e di luogo, possano condurre, nella interpretazione sistematica, ad inattese rigidità applicative.
Ne consegue che l’autonomia individuale dovrà operare entro i limiti legali inderogabilmente fissati quanto alla forma e al contenuto del patto di lavoro agile, ai termini ed alle ragioni per il suo recesso, agli obblighi in materia di salute e sicurezza, alle modalità di controllo della prestazione ed esercizio del potere disciplinare, all’utilizzo temporale massimo della prestazione ed al diritto alla disconnessione, alla parità di trattamento economico e normativa, nonché a quelli ulteriormente definiti in sede collettiva[31].
Anche la contrattazione collettiva, tanto quella previgente quanto quella successiva alla l. n. 81 del 2017, mantiene la propria validità nei limiti in cui non si ponga in contrasto con le previsioni tracciate dalla legge; è vieppiù facile ipotizzare che essa continuerà a diffondersi non solo per calarne le specificità nel contesto aziendale e, in prospettiva, territoriale, ma anche per chiarirne proprio gli snodi problematici, ad esempio in materia di controlli ed esercizio del potere disciplinare o per quanto attiene all’orario di lavoro del dipendente fuori dai locali aziendali, rispetto alle quali un rinvio alla contrattazione collettiva avrebbe giocato un ruolo diverso, e strategico, nella capacità di sciogliere dubbi interpretativi e garantire certezza, non solo del diritto, ma anche della concreta operatività dell’istituto.
Ma è proprio sulla qualità degli assetti di matrice collettiva che sembra giocarsi la partita più importante del lavoro agile. Se – come è stato scritto all’inizio del dibattito parlamentare sullo smart working, ma l’osservazione è sostanzialmente riproponibile anche oggi – «gli accordi si concentrano principalmente sulla flessibilità spaziale della prestazione, mancando l’obiettivo di creare le condizioni effettive per una maggiore autonomia e responsabilità dei lavoratori nella gestione dei tempi di lavoro e nel raggiungimento dei risultati»[32], questo si deve in gran parte ad un atteggiamento culturale che non può limitarsi ad immaginare il lavoro agile come l’ennesimo strumento a disposizione di una via bassa (del recupero) della competitività aziendale e che deve essere superato anche attraverso forme di sperimentazione – organizzativa prima ancora che di gestione del lavoro – che hanno maggiore capacità di successo se sviluppate dentro regole condivise
-
Accesso allo smart working: modifica intervenuta con la legge di bilancio del 2019
Dopo un lungo iter di approvazione accompagnato da non poche polemiche e dal rischio dell’esercizio provvisorio è finalmente approdata in Gazzetta Ufficiale nei tempi la Legge di Bilancio per il 2019, L. 30 dicembre 2018, n. 145.
La legge ha rinviato ad un successivo decreto – il D.L. n. 4/2019 – le misure a più rilevante impatto mediatico ossia la riforma delle pensioni e il Reddito di cittadinanza. Misure che nella Legge di Bilancio hanno trovato solo il loro finanziamento. Ma molte sono le altre novità in materia di lavoro sparse nel testo della legge. Si va dalle assunzioni nella P.A., alla revisione delle sanzioni per il lavoro nero e irregolare, alle misure dedicate alla maternità tra cui la discutibile modifica della disciplina del lavoro agile, fino alla previsione della revisione delle tariffe dei premi INAIL.
Con riguardo al sostegno alla genitorialità spicca innanzitutto la ridefinizione dei ruoli del Fondo per le politiche della Famiglia già previsto dalla L. n. 296/2006 (art. 1, commi 482 ss.). Si tratta del Fondo che per anni ha realizzato l’erogazione di finanziamenti per l’attuazione, tra l’altro, dei progetti di conciliazione vita-lavoro così come previsti dall’art. 9 della L. n. 53/2000. Fondo che, pur essendo stato ampiamente utilizzato per l’avvio di molti progetti pilota di welfare, negli ultimi anni ha ricevuto scarsi finanziamenti avendo il legislatore preferito dirottare risorse o verso le misure fiscali dirette – contenute nelle leggi di bilancio a partire dal 2016 – legate all’incentivazione delle politiche di welfare oppure verso i progetti mirati di conciliazione (art. 25 del D.Lgs. n. 80/2015).
L’allargamento degli ambiti di intervento del Fondo si affianca così alle politiche di welfare in atto da anni, che hanno una valenza di natura più “retributiva”, rinnovando e ampliando gli ambiti di intervento e di progettazione degli operatori privati e pubblici nel sostegno alla genitorialità, alle famiglie numerose e a quelle con disabilità ovvero caratterizzate da situazioni problematiche o a rischio reato, nonché il sostegno al disagio minorile, alla vulnerabilità economica e alla protezione dei minori.
Sotto altro punto di vista il legislatore interviene ancora una volta a tutela della maternità e della paternità.
In primo luogo, potenzia la posizione del padre lavoratore che gode ora di cinque giorni (invece di quattro) di congedo obbligatorio di paternità[33] (art. 1, comma 278), restando fermo il giorno in più di congedo facoltativo. Si tratta di una importante misura di incentivazione del congedo autonomo del padre che, partita un po’ in sordina nel 2012 con la Legge Fornero, ha di fatto ricevuto grande incentivazione da parte del legislatore proprio mediante il progressivo aumento dei giorni di congedo obbligatorio. Segno di un’importante evoluzione del costume – accompagnata peraltro da importanti misure adottate a livello europeo con l’Accordo stipulato a gennaio 2019 tra Parlamento, Consiglio e Commissione in merito alla Direttiva che prevederà il congedo obbligatorio di 10 giorni – che proprio attraverso la previsione di un numero minimo di giorni obbligatori di congedo alla nascita dei figli sta iniziando a coinvolgere in modo sempre più allargato le nuove generazioni e le giovani famiglie in cui i padri non hanno più il “timore” che avevano in passato a stare a casa ad occuparsi della prole[34].
Sul versante, invece, del congedo di maternità, la L. n. 145/2018 interviene con una modifica diretta del T.U. della maternità (art. 1, comma 485, che modifica l’art. 16 del T.U. maternità di cui al D.Lgs. n. 151/2001). Viene introdotta la possibilità per la lavoratrice di utilizzare tutti i cinque mesi di congedo obbligatorio di maternità dopo la nascita del bambino invece che ripartirlo tra i mesi antecedenti la nascita del figlio e quelli successivi al parto. Così come avviene ormai da alcuni anni nei casi di flessibilità del congedo di maternità, le lavoratrici avranno infatti la possibilità di scegliere di astenersi dal lavoro esclusivamente entro i cinque mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Attestazione che, così come avviene per la flessibilità del congedo di maternità avrà poi bisogno dell’autorizzazione dell’INPS per poter formalizzare nei confronti dell’istituto l’integrale posticipo del congedo[35].
In aggiunta a tali previsioni, sempre nella logica della tutela della maternità sono stati prorogati anche per il 2019:
- a) il bonusasili nido di cui all’art. 1, comma 355, L. n. 232/2016 e art. 1, comma 488, L. n. 145/2018);
- b) il contributo baby sittingo asili nido in luogo del congedo parentale (art. 4, comma 24, lett. b), L. n. 92/2012).
Sotto altro punto di vista, coinvolgente in questo caso le misure per le famiglie, la Legge di Bilancio ha ristretto la platea dei destinatari della Carta Famiglia (art. 1, comma 391, L. n. 208/2015) prevedendo che possano beneficiarne i cittadini italiani oppure i cittadini dei paesi membri dell’UE regolarmente residenti in Italia con almeno 3 figli conviventi di età non superiore ai 26 anni (art. 1, comma 487, L. n. 154/2018).
Altra misura dettata prioritariamente dalla valutazione della posizione della madre lavoratrice ma dubbia dal punto di vista dell’utilità pratica è invece una modifica diretta della legge che ha introdotto la disciplina del Lavoro agile (L. n. 81/2017) . Tale modifica prevede che i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità ovvero ai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ai sensi dell’art, 3, comma 3, L. 5 febbraio 1992, n. 104 (art. 1, comma 486 con modifica diretta dell’art. 18 della L. n. 81/2017).
Non si comprende bene l’utilità di una misura che si prospetta ad una prima lettura assai limitata sotto due diversi punti di vista:
1) in primo luogo perché introduce un criterio di priorità destinato a coinvolgere solo alcune categorie di destinatari (madri nei tre anni dalla conclusione del congedo di maternità e lavoratori con figli in condizione di disabilità) secondo una modalità analoga a quella prevista ad esempio per il lavoro a tempo parziale in caso di particolari patologie proprie o dei familiari (art. 8, D.Lgs. n. 81/2015) ma di fatto inspiegabilmente escludendo ad esempio proprio tale categoria di lavoratori così come i padri lavoratori che non si vede perché non debbano avere diritto ad una analoga corsia preferenziale;
2) in secondo luogo perché attribuisce al lavoro agile una valenza esclusivamente contrattuale e di conciliazione, alla stregua di un contratto part-time o di un accordo di telelavoro, senza tenere conto della diversa e più ampia natura di tale istituto che è un motore di cambiamento organizzativo non destinato a figure specifiche o ad aree limitate dell’organizzazione (da qui appunto l’ipotesi del riconoscimento di meccanismi di priorità) ma a tutta l’azienda. O meglio a quelle aziende che vogliano sperimentare in senso generale ed effettivo – e per tutte le mansioni e i livelli dell’organizzazione – una diversa modalità di gestione della prestazione lavorativa. Il lavoro agile non è lavoro da casa, non è solo una misura di conciliazione, non va confuso con il telelavoro né con gli strumenti contrattuali o di gestione del rapporto di lavoro dedicati solo alla genitorialità. Si tratta di un innovativo strumento negoziale che fornisce una importante chiave di ripensamento dei tempi di vita e di lavoro in ottica di benessere e di miglioramento delle energie degli individui e dell’organizzazione e, quindi, in ultima analisi in una prioritaria logica di incremento della produttività. Ridurne la finalità a mero strumento di conciliazione – limitato peraltro solo a chi ha obblighi di cura della prole – significa ad avviso di chi scrive non comprenderne l’immenso potenziale dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro[36].
Volume consigliato
SMART WORKING E CORONA VIRUS
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e il processo di digitalizzazione, denominato Industria 4.0, che coinvolge l’attuale contesto economico e sociale, ha determinato necessariamente dei cambiamenti anche nel modo di concepire la prestazione lavorativa, ad oggi caratterizzata dalla destrutturazione spazio-temporale.La flessibilità degli orari e del luogo della prestazione di lavoro, diventa una necessità ed una soluzione che grazie all’utilizzo dell’ ITC (information technology) si realizza concretamente.Le nuove tecnologie, in particolare quelle collaborative ed i social media, hanno concesso la possibilità di mettersi in contatto con chiunque ed in qualsiasi momento, e ciò ha completamente stravolto la cultura d’impresa.Invero, il sempre maggiore utilizzo di internet nonchè dei nuovi mezzi di comunicazione ha fatto sì che le distanze venissero meno o comunque si accorciassero, modificando notevolmente quello che era il modo di lavorare e di fare impresa.A tal proposito il diritto del lavoro si trova a fare i conti con queste nuove esigenze che necessitano di un intervento regolativo.Con la legge 81/2017 è stato introdotto e disciplinato il “Lavoro Agile”, meglio definito “Smart Working” e, per la prima volta in Italia, tale specifica modalità di svolgimento della prestazione lavorativa è stata inserita all’interno di un quadro normativo, che verrà trattato nel proseguo.Lo Smart Working, più precisamente, può essere definito come quell’“insieme di modelli organizzativi, moderni e non convenzionali, caratterizzato da un elevato livello di flessibilità nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti di lavoro, e che fornisce a tutti i dipendenti di un’azienda le migliori condizioni di lavoro”.Una delle tendenze che caratterizza il mercato del lavoro è, senza ombra di dubbio, la richiesta di flessibilità da parte dei lavoratori e di soluzioni che diano risposta al loro bisogno di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa.Ed infatti la ratio posta alla base della L. 81/2017 è rappresentata proprio dall’incremento della competitività e della conciliazione dei tempi vita lavoro definito come work life balance.Questo concetto assai significativo consiste proprio nel bilanciamento tra il tempo dedicato al lavoro e alla carriera e quello dedicato a prendersi cura della famiglia e del proprio tempo libero.Le difficoltà nel gestire e bilanciare i tempi di vita nonché quelli di lavoro possono comportare, ancora, un ulteriore costo per il lavoratore in termini di riduzione del benessere; ciò può portare di conseguenza anche a compromettere la qualità della prestazione lavorativa e la produttività delle ore dedicate al lavoro.Come emerge dagli ultimi dati elaborati dall’Osservatorio smart working, i lavoratori smart mediamente presentano un grado di soddisfazione e coinvolgimento nel proprio lavoro molto più elevato di coloro che lavorano in modalità tradizionale: il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi. Inoltre, sono più soddisfatti dell’organizzazione del proprio lavoro (il 31% degli smart worker contro il 19% degli altri lavoratori), ma anche delle relazioni fra colleghi (il 31% contro il 23% degli altri) e della relazione con i loro superiori (il 25% contro il 19% degli altri).Tutto ciò naturalmente, comporta risvolti positivi anche nei confronti delle aziende, tra questi spiccano l’incremento di produttività, la riduzione del tasso di assenteismo, la capacità di attrarre i talenti, l’aumento dell’engagement, il miglioramento delle competenze digitali e l’ottimizzazione della gestione degli spazi.Uno spazio all’interno di questa trattazione è dedicato agli ultimi interventi normativi circa l’utilizzo dello smart working come strumento per consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa nella situazione di emergenza in cui si trova il nostro paese, dovuta al diffondersi del virus Covid-19.Massimiliano MatteucciConsulente del Lavoro in Roma. Partner Nexumstp Spa. Cultore della materia e Professore a contratto presso università pubbliche e private. Autore di numerose pubblicazioni in materia di Lavoro e relatore a convegni e seminari.
Massimiliano Matteucci | 2020 Maggioli Editore
10.30 € 8.24 €
Note
[1] All’art. 5 prevede: “1. Il telelavoro si realizza secondo le modalità previste dal progetto, quali lavoro a domicilio, lavoro mobile, decentrato in centri – satellite, servizi in rete o altre forme flessibili anche miste, ivi comprese quelle in alternanza, comunque in luogo idoneo, dove sia tecnicamente possibile la prestazione ‘a distanza’, diverso dalla sede dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato. 2. Le spese per l’installazione e la manutenzione della postazione di telelavoro, che può essere utilizzata esclusivamente per le attività attinenti al rapporto di lavoro, sono a carico dell’amministrazione; sono, del pari, a carico dell’amministrazione le spese relative al mantenimento dei livelli di sicurezza. Le attrezzature informatiche, comunicative e strumentali, necessarie per lo svolgimento del telelavoro, vengono concesse in comodato gratuito al lavoratore per la durata del progetto. La contrattazione di comparto prevedrà forme di copertura assicurativa delle attrezzature in dotazione e del loro uso” in https://www.aranagenzia.it/contrattazione/contratti-quadro/altro/telelavoro/contratti/1832-accordo-quadro-sul-telelavoro.html.
[2] In https://www.aranagenzia.it/contrattazione/comparti/enti-pubblici-non-economici/contratti/293-ccnl-ad-integrazione-del-ccnl-del-16-2-1999.html.
[3] Frediani, Il lavoro agile tra prestazione a domicilio e telelavoro, in Foro.it 2017, 7, 630-636.
[4] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/01-06-2017/direttiva-n-3-del-2017-materia-di-lavoro-agile.
[5] Miscione, Il diritto del lavoro ai tempi orribili del coronavirus, in Foro.it., 2020, 4, 321.
[6] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/26-02-2020/direttiva-n1-del-2020.
[7] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/04-03-2020/circolare-n1-del-2020.
[8] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/12-03-2020/direttiva-n2-del-2020.
[9] “… a fronte della situazione emergenziale, è necessario un ripensamento da parte delle pubbliche amministrazioni in merito alle attività che possono essere oggetto di lavoro agile, con l’obiettivo prioritario di includere anche attività originariamente escluse. Relativamente alle attività individuate, le amministrazioni prevedono modalità semplificate e temporanee di accesso alla misura con riferimento al personale complessivamente inteso, senza distinzione di categoria di inquadramento e di tipologia di rapporto di lavoro, fermo restando quanto rappresentato nel precedente paragrafo in merito al personale con qualifica dirigenziale.”.
[10] In origine nel D.M. 18/2020 la data finale era fissata al 30 aprile 2020.
[11] Guariso, Emergenza COVID-19 e lavoro agile, in Newsletter Wikilabour.it, n. 6, 23 marzo 2020: “… la modalità pattuita senza termine proseguirà anche dopo la fine dell’emergenza (fermo solo l’obbligo, come detto, di integrare le informazioni di cui all’art. 22) con la sola ordinaria facoltà di recesso di cui all’art. 19, comma 2, L. 81/17 e dunque con preavviso minimo di 30 giorni.”.
[12] L’art. 1 originario, in luogo della particella “o”, conteneva la disgiuntiva “e” in modo da far necessitare la comproprietà di materie prime e strumentazione in capo a lavoratore e datore di lavoro. Sul punto per una ricostruzione storica cfr. Nogler, Lavoro a domicilio, Milano, 2000, 91 ss.
[13] “(…) r) la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro; (…)”. A commento del D.P.C.M. cfr. Rausei, Lavoro agile e contrasto al virus COVIS-19, in Dir. prat. lav., 11/2020, 678 ss.; Guariso, Emergenza COVID-19 e lavoro agile, in Newsletter Wikilabour.it, n. 6, 23 marzo 2020.
[14] Falsone, Il lavoro c.d. agile come fattore discriminatorio vietato, in M. Biasi, G. Zilio Grandi (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Padova, 2017, pag. 565 e seg.
[15] è la tesi apertamente sostenuta da Damiano nella seduta di approvazione dell’articolo – così emendato proprio a seguito dello stralcio del rinvio alla contrattazione collettiva, di cui si è innanzi dato conto – in Commissione Lavoro della Camera dei Deputati del 21 febbraio 2017.
[16] Questo naturalmente nel caso in cui siano effettivamente presenti più contratti collettivi tra cui sia necessario operare una selezione; la norma, naturalmente, non può evitare che la medesima selezione esca mortificata quando sia rinvenibile un unico contratto collettivo, magari aziendale, stipulato anche da sigle sindacali comparativamente più rappresentative ma minoritarie. Sia consentito sul punto il rinvio a Recchia, Il ruolo dell’autonomia collettiva, op. cit., pag. 126. Più in generale sul tema, Passalacqua, Il modello del sindacato comparativamente più rappresentativo nell’evoluzione delle relazioni sindacali, in Dir. Rel. Ind., 2014, 2, pag. 375 e segg.; Tomassetti, La nozione di sindacato comparativamente più rappresentativo nel decreto legislativo n. 81/2015, in Dir. Rel. Ind., 2016, 2, pag. 367 e segg.
[17] Cfr. gli artt. 7, comma 1; 17, comma 1; 25, comma 1; e 35, comma 1.
[18] è l’interpretazione fornita invece da Dagnino, Menegotto, Pelusi, Tiraboschi, Guida pratica al lavoro agile dopo la legge n. 81/2017, ADAPT University Press, 2017, pag. 50. Non dissimilmente, v. Falsone, Il lavoro cd. agile come fattore discriminatorio vietato, op. cit., pag. 577, secondo cui la disposizione «imporrebbe di procedere ad una comparazione astratta e non in concreto, non solo nel caso in cui non siano presenti in azienda lavoratori standard perché assegnati alle medesime mansioni dei lavoratori “agili”, ma, in ogni caso, quando, a prescindere dal fatto che siano o meno rintracciati lavoratori comparabili, in azienda non siano applicati i trattamenti di cui ai contratti collettivi ex art. 51 d.lgs. n. 81 del 2015». Per quanto certamente capace di offrire maggiori potenzialità di implementazione all’istituto in parola, la lettura tuttavia non convince da un lato perché la previsione impone una comparazione tutt’altro che astratta e dall’altro perché finirebbe con il determinare disparità di trattamento all’interno dell’azienda tra lavoratori agili, le cui condizioni economiche e normative debbano essere ancorate ai contratti collettivi ex art. 51, e gli altri dipendenti, che ne possano invece del tutto prescindere.
[19] D’Antona, Contrattazione collettiva e autonomia individuale nei rapporti di lavoro atipici, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1990, pag. 531 e segg. Agli stessi risultati si giunge anche nella prospettiva di ritenere che la flessibilità organizzativa offerta dal lavoro agile sia disponibile solo ai datori di lavoro che applichino nella loro interezza i contratti collettivi richiamati all’art. 51, secondo l’insegnamento di Roccella, Contrattazione collettiva, azione sindacale, problemi di regolazione del mercato del lavoro, in Lav. Dir., 2000, 3, pag. 351 e segg.
[20] Santoro Passarelli, Lavoro eterorganizzato, coordinato, agile e il telelavoro: un puzzle non facile da comporre in un’impresa in via di trasformazione, in Dir. Rel. Ind., 2017, 3, pag. 785.
[21] Ispettorato Nazionale del Lavoro, circ. n. 2/2016 del 7 novembre 2016. Al contempo la circolare ha precisato che non si rientra nel campo di applicazione del comma 1 dell’art. 4 qualora i sistemi di localizzazione siano installati per consentire la concreta ed effettiva attuazione della prestazione lavorativa come nel caso del trasporto dei portavalori.
[22] Falasca, Jobs Act autonomi e smart working, la nuova normativa, in Guida lav., 2017, 22, 14 ss.; l’Autore parla di una vera e propria “gestione semplificata della sicurezza“.
[23] Accordo interconfederale 9 giugno 2004, cit., art. 7 comma 3: “Al fine di verificare la corretta applicazione della disciplina applicabile in materia di salute e sicurezza, il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e/o le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il telelavoro, nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi. Ove il telelavoratore svolga la propria attività nel proprio domicilio, tale accesso è subordinato a preavviso ed al suo consenso, nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi”.
[24] Anche in questo caso, la circolare cit. supra applica il principio di parità di trattamento con i lavoratori che svolgono le proprie mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda.
[25] Marrucci, Lavoro agile, le indicazioni operative dell’Inail, in Guida al lavoro, 2017, 44, p. 44.
[26] Gambacciani, L’infortunio in itinere del lavoratore “agile”, in Fiorillo e Perulli (a cura di), op. cit., p. 252 s.; Damoli e Tani, Lavoro agile ed infortunio in itinere, in Zilio Grandi e Biasi, op. cit., p. 665. In termini più ampi Avogaro, Infortunio in itinere: criticità e temi giurisprudenziali, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2017, p. 829 ss.
[27] Lamberti, L’accordo individuale e i diritti del lavoratore agile, in L. Fiorillo, A. Perulli (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo e del lavoro agile, Torino, 2017, pag. 197; di «revanche dell’autonomia individuale» su quella collettiva parlaCuttone, Oltre il paradigma dell’unità di luogo, tempo e azione, in Verzaro (a cura di), Il lavoro agile nella disciplina legale collettiva ed individuale, Napoli, 2018, spec. pag. 61 e segg.
[28] Iodice, “Lavoro Agile”: le criticità presenti nei ddl 2229 e 2233 e i rischi di una contrattazione al buio, in Boll. ADAPT, 13 giugno 2016; Rausei, Tutto Jobs Act. Lavoro autonomo e smart work, Milano, 2016, pag. 42; Lai, Ricciardi, La nuova disciplina del lavoro agile, in Dir. Prat. Lav., 2016, 11, pag. 710.
[29] Corso, Smart Working, in M. Sacconi, E. Massagli (a cura di), Le relazioni di prossimità nel lavoro 4.0, ADAPT Labour Studies e-Book series, n. 60/2016, pag. 12 e segg.
[30] Si veda, nel quadro profondamente innovato dall’intervento dei decreti attuativi del Jobs Act, la «espansione quantitativa della tecnica dei rinvii» la cui valenza è però tutt’altro che univoca, come sottolinea Falsone, I rinvii alla contrattazione collettiva nel decreto legislativo n. 81/2015, in Dir. Rel. Ind., 2016, 4, pag. 1073 e segg.
[31] Spinelli, Tecnologie digitali e lavoro agile, Bari, 2018, spec. pag. 71 e segg.
[32] Dagnino, Lavoro agile: una questione definitoria, in E. Dagnino, M. Tiraboschi (a cura di), Verso il futuro del lavoro. Analisi e spunti sul lavoro agile e lavoro autonomo, ADAPT Labour Studies e-Book series, n. 50/2016, pag. 27 e segg.
[33] Calafà, Il sostegno della Genitorialità dopo il Jobs Act, in Foro.it, 2015, n. 10, 877.
[34] Salazar – Mariani – Arlati, Congedi parentali e maternità, Officina del diritto 2016.
[35] Cfr. sul punto la Circ. INPS n. 152/2000 e Msg. INPS n. 13279/2007.
[36] Salazar, Lavoro agile: occorre ri-progettare i tempi e i luoghi di lavoro, in Quotidiano Lavoro, 28 agosto 2017. Salazar, Le attrattive dei progetti di smart working, Divercity, 2/2019.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento