Usura sopravvenuta tra luci e ombre

Clarissa Gola 16/07/21
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  1. Soluzione accolta dalla Cassazione (Sez. Un. n.24675/2017) a fronte del contrasto giurisprudenziale.

Il fenomeno dell’usura sopravvenuta viene in rilievo sia nell’ipotesi di contratto stipulato in data anteriore all’entrata in vigore della normativa antiusura e ancora in corso di svolgimento, che in quella in cui il contratto venga stipulato dopo l’entrata in vigore della legge antiusura ma il tasso, originariamente fissato entro i limiti del consentiti, superi successivamente la soglia per effetto della caduta dei tassi medi di mercato[1].

Entrambi i profili sono stati oggetto, nel 2017, di una pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n.24575), la quale, sebbene sia stata chiamata ad esprimersi solo con riferimento alla prima delle due ipotesi indicate, ha colto l’occasione per porre fine ad un contrasto che impegnava da tempo dottrina e giurisprudenza. In particolare, il Supremo Consesso, dopo aver ricostruito il contrasto giurisprudenziale sussistente, ha escluso la rilevanza del fenomeno dell’usura sopravvenuta, enunciando il seguente principio di diritto “Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

Per comprendere a pieno la soluzione adottata occorre, in primo luogo, ricostruire brevemente il quadro normativo di riferimento e il successivo contrasto giurisprudenziale che ha stimolato la pronuncia dell’organo nomofilattico.

Sotto il primo profilo, con la l. 108/1996 il legislatore ha provveduto a riformare radicalmente l’intero sistema antiusura sia in campo civile che penale. È stato individuato un articolato meccanismo finalizzato alla determinazione del c.d. “tasso-soglia”, al di sopra del quale l’interesse pattuito è usurario, cui si è aggiunta la riscrittura dell’art. 1815 c.c. in tema di mutuo e del delitto di usura di cui all’art. 644 c.p. La novità di maggior rilievo è rinvenibile nel co. 2 dell’art. 1815 c.c. che, nell’ipotesi di pattuizione di interessi usurari, impone la trasformazione del mutuo feneratizio in gratuito.

All’indomani dell’entrata in vigore della l. 108 si sono posti i primi interrogativi circa l’ambito applicativo della stessa, ciò ha giustificato l’intervento del legislatore in funzione interpretatrice. Il D.L. 394/2000 di interpretazione autentica stabilisce, difatti, che, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., così come rinnovati dal recente intervento normativo, si intendono usurari solo gli interessi che superino il tasso soglia, come determinato in base alla legge, nel momento in cui vengono pattuiti, a qualsiasi titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

Nonostante la legge di interpretazione autentica sia chiara circa l’irrilevanza dell’usura sopravvenuta non sono mancate pronunce che, supportate da autorevole dottrina, hanno condiviso tutt’altra soluzione.

Dottrina e giurisprudenza hanno escogitato diversi meccanismi volti a fronteggiare il fenomeno dell’usura sopravvenuta e a garantire una tutela del contrante colpito da tale sopravvenienza.

Alcune pronunce, anteriori all’intervento legislativo del 2000, hanno fatto riferimento all’inefficacia ex nunc della clausola contrattuale[2], altre, invece, hanno individuato uno strumento operativo che, abbandonando il piano dell’efficacia, si muova su quello della validità dell’atto. In particolare, partendo dall’assunto che il D.L. del 2000 non abbia escluso l’illiceità dell’usura sopravvenuta ma soltanto il ricorso ai rimedi di cui agli artt. 1815, co.2, c.c. e 644 c.p., si è invocata l’operatività della sostituzione automatica ai sensi degli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c. del tasso soglia del tempo al tasso convenzionale divenuto usurario[3]. La dottrina, invece, aveva individuato lo strumento nell’inesigibilità ex art. 1375 c.c. della porzione di interesse sopra soglia. La pretesa di interessi divenuti usurari sarebbe contraria al canone della buona fede in executivis, espresso dall’art. 1375 c.c. nella sua lettura costituzionalmente orientata, e, come tale, inesigibile per quella parte divenuta eccessiva perché eccedente il limite fissato dalla legge[4].

Il comune denominatore degli orientamenti propensi ad attribuire rilevanza giuridica al fenomeno in esame è un passo della sentenza con cui la Consulta[5] ha fatto salva l’applicazione degli “ulteriori istituti e strumenti di tutela” ove ne ricorrano i presupposti codicistici, escludendo, di conseguenza, solo il ricorso ai rimedi di cui agli artt. 1815, co. 2, c.c. e 644 c.p.

Dall’altro lato, un diverso orientamento ha negato la configurabilità dell’usura sopravvenuta valorizzando la norma di interpretazione autentica, la quale attribuisce rilevanza esclusivamente al momento della pattuizione e non a quello del pagamento, escludendo l’applicabilità della l. 108 ai contratti stipulati in data anteriore e sottraendo al controllo le pattuizioni di interessi divenute usurarie[6].

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La Corte di Cassazione a Sezioni Unite[7] aderisce al secondo dei due già esposti orientamenti, ritenendo indispensabile ricorrere alla legge di interpretazione autentica per risolvere la questione oggetto di dibattito. La Corte chiarisce come non sia prospettabile alcuna distinzione tra usura civile e penale dal momento che il concetto di usurarietà è stato ricostruito quale fenomeno unitario per effetto della l. 108/1996. Se, dunque, il giudizio di usurarietà può essere svolto solo alla luce dell’art. 644 c.p. ne deriva che non si possa prescindere, per la risoluzione della questione, dal D.L. di interpretazione autentica che impone il vaglio antiusura al momento della pattuizione e non del pagamento. L’art. 1815 c.c., che nel secondo comma prevede la sanzione più severa in materia di usura, presuppone una nozione di interessi definita a sua volta nella disposizione penale (“sarebbe pertanto impossibile operare la qualificazione di un tasso usurario senza fare applicazione dell’art. 644 c.p.”). Se l’interesse si qualifica come usurario soltanto laddove ricorra anche la fattispecie penale, configurabile solo in presenza di una pattuizione usuraria, ne consegue l’irrilevanza dell’usura sopravvenuta che difetterebbe del requisito strutturale della pattuizione di interessi sopra-soglia[8].

La Corte, non risparmiandosi nel suo percorso argomentativo, indica le ragioni per cui non possono accettarsi le ricostruzioni di dottrina e giurisprudenza inclini ad ammettere la rilevanza del fenomeno dell’usura sopravvenuta. Avuto riguardo all’orientamento che individuava lo strumento nella sostituzione automatica, data dal combinato disposto degli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c., evidenzia la necessità di rinvenire nel sistema una norma imperativa a cui ancorare il giudizio di nullità virtuale sopravvenuta (in disparte tutte le critiche relative all’utilizzo della nullità per reagire a una sopravvenienza). Tuttavia, tale norma è solo l’art. 644 c.p. che, come chiarito in sede di interpretazione autentica, limita il giudizio usurario al momento della pattuizione. Le disposizioni della l. 108/1996 non sono espressione di una normativa imperativa autonoma ma si limitano a prevedere un meccanismo di determinazione del tasso oltre il quale il quale gli interessi sono sempre usurari ai sensi dell’art. 644, co.3, c.p.

Le Sezioni Unite, poi, non sembrano soffermarsi in modo particolare sul primo degli orientamenti richiamati che individuava la soluzione nell’inefficacia ex nunc della clausola contrattuale, richiamando quanto affermato in punto di nullità. L’intero percorso argomentativo si fonda anche in questo caso sull’inesistenza nel sistema di una norma che qualifichi come illecita la pretesa del pagamento di interessi divenuti usurari. Infine, poche parole sono state spese con riferimento alla tesi che individuava la soluzione nella inesigibilità ex art. 1375 c.c. della porzione di interesse divenuto usurario. A parere del Supremo Collegio la violazione del canone di correttezza e buona fede non sarebbe riscontrabile “nell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto”, di conseguenza, è da escludersi che la pretesa in sé di interessi divenuti usurari, riconosciuta validamente dal contratto, possa qualificarsi come scorretta. Solo in presenza di determinate modalità o circostanze la pretesa di interessi sopra soglia potrà determinare, nel caso concreto, una violazione dell’art. 1375 c.c.

 

  1. Critiche alla impostazione accolta dalle SS. UU. in tema di usura sopravvenuta.

 

La soluzione della irrilevanza dell’usura sopravvenuta accolta dalle Sezioni Unite, tuttavia, non ha incontrato il plauso di gran parte della dottrina che ha confutato la decisione su diversi fronti.

In primo luogo, la soluzione accolta dalle Sezioni Unite determina un’evidente disparità di trattamento e una violazione del principio di uguaglianza: si giunge, difatti, all’assurda conseguenza per cui lo stesso tasso di interesse per taluni sarebbe praticabile mentre per talaltri non potrebbe essere oggetto di pattuizione. Il tasso d’interesse corrisposto e divenuto nel corso del rapporto usurario non potrebbe essere validamente promesso da altro debitore.

Ma le critiche più severe sono state mosse all’asserita inesistenza di una usura civile disgiunta da quella penale. Da un lato, già l’argomento letterale suggerisce una non perfetta simmetria tra usura civile e usura penale, dal momento che le condotte richiamate dagli artt. 1815, co. 2, c.c. e 644 c.p. sono ontologicamente differenti[9]. Dall’altro, l’argomento sistematico consente di evidenziare che l’art. 644 c.p. non è l’unica norma in cui è previsto il divieto di usura. Ben prima del 1996, l’art. 1815 c.c. lo contemplava, seppur in una diversa formulazione, e l’art. 1448 c.c. che disciplina l’azione generale di rescissione per lesione era, nell’intenzione del legislatore codicistico, preordinata a contrastare il fenomeno usurario, come si evince dalla relazione di accompagnamento. A queste due diposizioni si aggiungono poi, sempre in materia di interessi, l’art. 1283 c.c. volto a limitare l’anatocismo e l’art. 1284, co. 3, c.c. che impone la forma scritta per le pattuizioni aventi ad oggetto la corresponsione di interessi in misura superiore a quella legale. Pertanto, nel nostro ordinamento sussiste un autonomo sistema civilistico finalizzato alla repressione del fenomeno usurario da cui è possibile trarre l’illiceità delle clausole che impongano la corresponsione di un interesse divenuto sopra soglia nel corso del rapporto.

Non ritenendo ammissibile nel sistema attuale un’usura civilistica autonoma da quella penale, il Supremo Collegio finisce per aggirare il dictum della Consulta che, nonostante faccia salva la validità e l’efficacia della clausola contrattuale legittimante la richiesta di interessi divenuti usurari, non nega la praticabilità di altri strumenti, ove ne ricorrano i presupposti. Difatti, tale affermazione è svuotata di significato nel momento in cui si nega il ricorso sia al meccanismo della sostituzione automatica ex artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c. che alla buona fede in executivis ex art. 1375 c.c.[10].

La conclusione cui la Corte perviene è che la legittimità del tasso convenzionalmente pattuito spiega la sua efficacia per tutta la durata del rapporto, nonostante le sopravvenienze ne rivelino la natura usuraria[11], posto che le fluttuazioni del mercato sono estranee alla sfera di controllo dell’agente. C’è, però, un’incongruenza: da un lato, la Corte ritiene che il concetto di usura non possa essere del tutto emancipato dai principi penalistici della necessaria configurazione volontaristica dell’illecito e della finalità punitiva della sanzione, dall’altro, non si può negare la configurabilità di ipotesi in cui alla sanzione civilistica non segua una risposta penale per mancanza dell’elemento soggettivo, posto che non è esigibile la sussistenza di un coefficiente psicologico in capo al mutuante per l’applicabilità dell’art. 1815, co. 2, c.c.

Numerosi rilievi sono stati sollevati, poi, rispetto all’affermazione della Corte per cui la richiesta di interessi divenuti sopra soglia non sarebbe contraria a buona fede ex art. 1375 c.c., a meno che le modalità non siano scorrette, posto che la parte si limiterebbe ad esercitare diritti derivanti dal contratto. A tal proposito, si è rilevato che la buona fede rappresenta un limite all’esercizio fraudolento e abusivo del diritto di credito. Il rimedio dell’inesigibilità è, dunque, funzionale al contrasto di una pretesa creditoria che abbia i già menzionati caratteri perché avanzata a detrimento degli interessi del debitore[12]. Di conseguenza, la buona fede in executivis incide sull’esigibilità del tasso divenuto sopra soglia non solo rispetto alle specifiche modalità attuative della richiesta ma anche e soprattutto a monte, sotto il profilo della antigiuridicità della pretesa stessa. Ne deriva che la pretesa di interessi divenuti usurari non è esigibile dal momento che, nonostante trovi fondamento in un contratto valido ed efficace, determina un sacrificio degli interessi del debitore. Non rileva l’assenza di una norma che incrimini l’usura sopravvenuta dal momento che l’ordinamento penale e quello civile si pongono su piani differenti. Quest’ultimo è finalizzato a tutelare la parte debole del rapporto anche quando manchi un atto volontaristico del mutuante, attraverso strumenti che, pur non incidendo sulla validità o efficacia del rapporto, determinino l’inesigibilità di pretese abusive[13].

Secondo i primi commentatori, la Corte incorrerebbe in un grave errore quando non considera la funzione riequilibratrice che la buona fede svolge sul contratto, mantenendolo sui binari della proporzionalità, soprattutto a fronte dei sempre più frequenti abusi di potere da parte dell’autonomia privata[14].

D’altra parte, anche a voler accettare la soluzione addotta dalle ss. uu., nella pronuncia non vengono perimetrati gli specifici presupposti in presenza dei quali un tasso sopra soglia possa considerarsi inesigibile. Di conseguenza, il problema della rilevanza o meno dell’usura sopravvenuta si risolve in una questione di prova delle circostanze che accompagnano la pretesa di interessi usurari, soluzione di certo non condivisibile.

In conclusione, stando alla soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, i rimedi esperibili sarebbero essenzialmente tre: l’art. 1467 c.c. (onerosità sopravvenuta), una riducibilità giudiziale degli interessi ex art. 1384 c.c. ovvero il risarcimento del danno, parametrato al sovra tasso corrisposto, per l’inadempimento dell’obbligo di buona fede in executivis. Orbene, in quest’ultima ipotesi si avrà la combinazione tra validità della clausola e risarcimento del danno, producendo un risultato pratico pressoché equivalente a quello che si avrebbe qualora si procedesse con il meccanismo della sostituzione automatica ex artt. 1339 c.c. e 1419, co. 2, c.c., che è esattamente l’effetto sconfessato dalla pronuncia del Supremo Collegio[15].

  1. Considerazioni favorevoli alla soluzione accolta dalle ss. uu. in tema di usura sopravvenuta.

Altra parte dei commentatori, al contrario, ha accolto favorevolmente la pronuncia delle Sezioni Unite, sottolineando l’intima logicità del ragionamento posto a sostegno delle argomentazioni.

Innanzitutto, la soluzione adottata è coerente con la ratio ispiratrice della l. 108/1996, finalizzata non a calmierare il mercato e a realizzare un obiettivo di giustizia contrattuale ma solo a fissare un paramento attraverso cui individuare un elemento costitutivo del delitto di cui al 644 cp. Di conseguenza, in mancanza della fattispecie criminosa non può ritenersi sussistente un’usura rilevante a fini civilistici.

Inoltre, assegnare rilievo solo al momento della pattuizione dimostra la volontà del legislatore di non ancorare il disvalore della condotta solo ad un calcolo di tipo matematico ma anche e, soprattutto, a un profilo di carattere comportamentale dell’agente. Le fluttuazioni del mercato sono eventi che si collocano al di fuori della sfera di controllo dell’agente, di conseguenza negare rilevanza al fenomeno dell’usura sopravvenuta significa assegnare valore, ai fini del giudizio di usurarietà, solo alla volontà di quest’ultimo che si concretizza nel momento della pattuizione.

Tale atteggiamento del legislatore è confermato dalla previsione del co.4 dell’art 644 cp che continua a punire la condotta di chi pattuisce interessi sproporzionati, eppure non qualificabili come usurari, perché inferiori alla soglia, facendo riaffiorare qualcosa di molto simile al concetto di approfittamento, attraverso il riferimento alle “concrete modalità del fatto” e allo stato di difficoltà finanziaria della vittima.

La soluzione accolta dalla Corte di Cassazione, peraltro, è coerente con la pronuncia della Consulta del 2002 che lascia impregiudicata la possibilità di individuare rimedi praticabili diversi dalla nullità della clausola, non escludendo la possibilità di valersi di altri istituti di cui ricorrano i presupposti. La scelta di ammettere il ricorso alla buona fede in executivis solo nelle ipotesi in cui rielevino particolari modalità o circostanze dell’escussione ha il pregio di riportare la stessa nei binari che le sono propri. L’art. 1375 cc, infatti, è regola di interpretazione e di esecuzione del contratto, non legittimando alcun intervento di ortopedia giudiziaria ispirato da finalità di giustizia sostanziale. Di conseguenza, quale regola di condotta e non di validità, alla violazione della stessa conseguirà il solo rimedio risarcitorio, non anche una modifica del contratto in termini equitativi. Inoltre, si respinge la critica della eccessiva genericità della sentenza che non tipizza le particolari circostanze in cui la pretesa di interessi divenuti usurari sia abusiva e legittimi il ricorso all’art. 1375 cc. Sono, infatti, già note alla prassi, in quanto identificate e sanzionate come pratiche scorrette dall’AGCOM, le modalità invasive, moleste e aggressive con cui le banche riscuoto i crediti[16].

Non si può negare che la questione della giustizia contrattuale si scontra con il principio di autonomia negoziale che verrebbe compresso qualora si ammettesse un intervento del giudice in termini equitativi a fronte del superamento, per effetto della fluttuazione del mercato, del tasso soglia. In particolare, si rileva che il mercato del credito offre al soggetto che intende stipulare un contratto di finanziamento diverse alternative sia con riferimento ai tassi applicabili che con rifermento alla struttura del regolamento e, quindi, alla possibilità di governare il rischio nelle ipotesi in cui il tasso diventi eccessivamente oneroso col trascorrere del tempo, tra cui lo strumento della surrogazione del mutuo. Di conseguenza, colui che consapevolmente sceglie di ricorrere ad un finanziamento a tasso fisso non può che rimanere esposto all’alea normale del contratto, comprendente anche la circostanza che per effetto della discesa dei tassi di mercato scenda anche la soglia usuraria.

Infine, quanto al presunto contrasto tra la soluzione adottata nel 2017 e il principio di uguaglianza, si replica che l’evocazione di quest’ultimo incontra il limite di mettere a confronto situazioni che non sono sovrapponibili tra loro. Viene equiparata la situazione di chi, in un dato momento storico, pattuisce interessi sopra il tasso soglia a quella di chi procede, nello stesso tempo, al pagamento degli stessi divenuti usurari, è la diversità del tempo in cui la promessa è assunta che giustifica il differente trattamento normativo.

Non si può negare come la soluzione accolta dalle SS. UU. nel 2017 restituisca più interrogativi che certezze e che la questione in oggetto sia espressione della tensione tra autonomia privata e giustizia contrattuale che oramai caratterizza l’ordinamento civile nel suo complesso.

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Note

[1] Usurarietà sopravvenuta, in il Corriere Giuridico, 2/2017, 1484.

[2] Cass. Civ., Sez. I ordinanza n. 16188, 28 giugno 2017.

[3] Cass. Civ., Sez. I sentenza n. 9504, 12 aprile 2017.

[4] salvi, “L’irrilevanza dell’usura sopravvenuta alla luce del vaglio (forse) definitivo delle sezioni unite”, in NGCC 4/2018, 519.

[5] Corte costituzionale, sentenza n. 29, 14 febbraio 2002.

[6] Cass. Civ., Sez. I sentenza n. 801, 19 gennaio 2016.

[7] Cass. Sez. Un. sentenza n. 24675, 19 ottobre 2017.

[8] pagliantini, “L’usurarietà sopravvenuta ed il canone delle SS. UU.: ultimo atto?”  in il Corriere Giuridico 12/2017, 1489.

[9] fauceglia, “L’usura sopravvenuta nella Cassazione Sezioni Unite n. 24675/2017: più interrogativi che risposte” in Banca, Borsa Titoli di Credito, fasc.3, 2018, 310 ss.

[10] fauceglia, “L’usura sopravvenuta nella Cassazione Sezioni Unite n. 24675/2017: più interrogativi che risposte” in Banca, Borsa Titoli di Credito, fasc.3, 2018, 310 ss.

[11] fiorucci, “Le sezioni unite bocciano l’usura sopravvenuta nei mutui”, in Ilsocietario.it, 23 gennaio 2018.

[12] salvi, “L’irrilevanza dell’usura sopravvenuta alla luce del vaglio (forse) definitivo delle sezioni unite”, in NGCC 4/2018, 523.

[13] salvi, “L’irrilevanza dell’usura sopravvenuta alla luce del vaglio (forse) definitivo delle sezioni unite”, in NGCC 4/2018, 523.

[14] fauceglia, “L’usura sopravvenuta nella Cassazione Sezioni Unite n. 24675/2017: più interrogativi che risposte” in Banca, Borsa Titoli di Credito, fasc.3, 2018, 310 ss.

[15] pagliantini, “L’usurarietà sopravvenuta ed il canone delle SS. UU.: ultimo atto?”  in il Corriere Giuridico 12/2017, 1492.

[16] guizzi, Le Sezioni Unite e il de profundis per l’usura sopravvenuta”, in il Corriere Giuridico 12/2017, 1495.

 

Clarissa Gola

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