Il citato provvedimento, sin dal giorno della sua adozione, ha dato luogo ad assembramenti spesso non autorizzati, svoltisi senza l’uso della mascherina e senza rispettare il distanziamento sociale.
Si osserva in via preliminare che è necessario in primo luogo verificare se nel comportamento di questi cittadini possa configurarsi, per quanto concerne l’epidemia in atto, il reato di epidemia colposa (artt. 452 c.p.), delitto di evento a forma vincolata[1], di omicidio colposo (art.589 c.p.) o lesioni colpose (art. 590 c.p).
Delitto contro la salute
Infatti, chi commette “Delitti colposi contro la salute pubblica”, quindi diffonde germi o patogeni o avvelena acque e beni destinati all’alimentazione, è punito dall’ordinamento penale con sanzioni severe, commisurate alla gravità del fatto.[2] L’articolo di riferimento è il numero 452 del codice penale che prevede la reclusione da 3 a 12 anni per chi diffonde colposamente il virus o con la sua condotta negligente ne favorisce la propagazione causando la morte di persone innocenti. Sanzione che si tramuta in ergastolo se il fatto avviene con dolo, cioè con coscienza e volontà di provocare un’epidemia letale.[3]
L’epidemia è un delitto contro la salute pubblica ed è collocato nel titolo VI del libro II c.p. relativo ai delitti contro l’incolumità pubblica.
La materialità del delitto è costituita sia da un evento di danno rappresentato dalla concreta manifestazione, in un certo numero di persone, di una malattia eziologicamente ricollegabile a quei germi patogeni, che da un evento di pericolo, rappresentato dall’ulteriore propagazione della stessa malattia a causa della capacità di quei germi patogeni di trasmettersi ad altri individui anche senza l’intervento dell’autore dell’originaria diffusione.[4]
Nella stessa ottica si pone la giurisprudenza di merito secondo cui l’epidemia è la manifestazione collettiva di una malattia infettiva umana che si diffonde rapidamente in uno stesso contesto.[5]
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Colpa e dolo
Quando c’è la colpa significa che chi diffonde il virus non ne ha la volontà, ma provoca il fatto con atteggiamenti negligenti e/o imprudenti. Questi vengono valutati dal giudice di merito e, ove necessario, da consulenti tecnici esperti della materia, i quali devono verificare se l’indagato ha agito con la diligenza richiesta e seguendo le norme comportamentali e i protocolli obbligatori. E’ questo accertamento appare facilmente verificabile nel caso dei manifestanti no green pass.
La norma tutela l’incolumità pubblica, intesa come complesso di condizioni che garantiscono la vita e l’integrità fisica dell’intera collettività.
Nell’accezione scientifica “germi patogeni” sono tutti i microorganismi capaci di innescare malattie infettive come quello del covid-19. Il principio di tassatività della normativa penale impone di escludere altri agenti, al di fuori di quelli espressamente richiamati dalla norma, quali sostanze tossiche, radioattive o altrimenti nocive per la salute.
L’agente può diffondere i germi in qualsiasi modo, purchè ne derivi una propagazione rapida per un numero significativo di persone, in rapporto all’area colpita, o la possibilità che ciò possa avvenire.
Recentemente la Cassazione ha affermato che “la norma incriminatrice non seleziona le condotte diffusive rilevanti e richiede, con espressione quanto mai ampia, che il soggetto agente procuri un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, senza individuare in che modo debba avvenire questa diffusione; occorre, però, al contempo che sia una diffusione capace di causare un’epidemia”. I giudici precisano che una diffusione può aversi anche quando sia l’agente stesso il vettore consapevole dei germi patogeni, come nel caso del soggetto contagiato da H.I.V e come potrebbe avvenire per il manifestante no green pass che non rispetta il distanziamento sociale e non utilizza la mascherina.[6]
Il reato è punibile anche a titolo di dolo, ma per la rilevanza del bene giuridico tutelato, il legislatore ne ha previsto espressamente la punibilità a titolo di colpa con il citato art. 452 c.p.. Si presuppone, inoltre, la consapevolezza della natura patogena dei germi e del nesso che vi è tra la diffusione di essi e l’evento epidemia[7].
Infatti, l’art. 452 del codice penale, nell’ambito della disciplina dei delitti colposi di comune pericolo (Capo III del Titolo VI del codice), prevede che “Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 438 e 439 è punito:
- con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscano la pena [di morte];
- con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscano l’ergastolo […]”.
L’epidemia colposa è punita con la pena da uno a cinque anni (n. 2, comma 1, dell’art. 452); qualora dall’epidemia deriva la morte di più persone (n. 1 dell’art. 452) l’agente risponderebbe con una pena da tre a dodici anni.
Le ipotesi colpose sono espressamente previste dal legislatore, ai sensi dell’art. 42, comma 2, del codice penale e sono finalizzate a contenere i rischi connessi al continuo progresso tecnologico, scientifico, sanitario e all’evoluzione dello stile di vita individuale e collettivo.
Il delitto è colposo (o contro l’intenzione), secondo l’alinea 3 dell’art. 43 del codice penale, “quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
La colpa si fonda su tre elementi essenziali:
- l’involontarietà dell’evento tipico,
- l’inosservanza di regole cautelari generiche o specifiche (nel caso in esame, gli assembramenti senza rispetto delle regole sanitarie previste),
- l’attribuibilità soggettiva della violazione delle predette regole e l’esigibiltà in concreto del comportamento corretto idoneo a impedire il fatto.
L’articolata definizione normativa non dà indicazioni sulla individuazione della regola cautelare che, però, sostanzialmente, funge da precetto penale, secondo la concezione normativa della colpa. Le fattispecie colpose, a differenza di quelle dolose, infatti, non sono autosufficienti e hanno necessità di essere eterointegrate mediante una regola esterna. In sostanza, non c’è soggettività, ma oggettività nella colpa, con riferimento alla condotta cautelare dell’agente.
Individuate le regole cautelari violate nel caso concreto, è necessario accertare un giudizio di rimproverabilità del soggetto basato sui criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento (terzo elemento della colpa).
L’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, quindi, deve essere causata dalla violazione, soggettivamente imputabile, di norme di condotta, generiche e specifiche, formulate ed imposte proprio per prevenirla o arginarla (ad esempio, distanziamento sociale e utilizzo di mascherine). Il soggetto agisce in un contesto lecito nel quale entra in relazione con germi patogeni di cui ne conosce la natura o la ignora per colpa inescusabile[8].
Giudizio di responsabilità colposa
Il giudizio della responsabilità colposa deve passare, però, attraverso una rigida sequenza logica che inizia con l’analisi dell’accadimento lesivo. La prima fase consiste in un giudizio esplicativo nel corso del quale si accerta il processo causale materiale dell’evento. Il c.d. giudizio di “realtà” sarà seguito dalla valutazione della natura della condotta che si ritiene causale, attiva od omissiva.
E’ essenziale, poi, individuare la regola cautelare che si presume violata correlandola con l’evento secondo il criterio di concretizzazione del rischio. In sostanza, è necessario accertare se l’evento che si è verificato rientra tra quelli che la norma di condotta mirava ad evitare nel rispetto della c.d. causalità della colpa.
Infine e solo dopo aver accertato la causalità della colpa si procede con un giudizio controfattuale (giudizio c.d. di irrealtà) per provare la causalità in concreto dell’evento con la regola violata. Applicando il criterio del c.d. comportamento alternativo lecito (utilizzo di mascherine e distanziamento sociale) si deve verificare se l’osservanza della regola cautelare violata avrebbe effettivamente impedito la verificazione dell’evento nel caso concreto.
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La necessità di dare una risposta a una infezione sconosciuta ha portato a una contrazione dei tempi di sperimentazione precedenti alla messa in commercio che ha suscitato qualche interrogativo, per non parlare della logica impossibilità di conoscere possibili effetti negativi a lungo termine. Il presente lavoro intende fare chiarezza, per quanto possibile, sulle questioni più discusse in merito alla somministrazione dei vaccini, analizzando aspetti sanitari, medico – legali e professionali, anche in termini di responsabilità. Fabio M. DonelliSpecialista in Ortopedia e Traumatologia, Medicina Legale e delle Assicurazioni e in Medicina dello Sport. Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano nel Dipartimento di Scienze Biomediche e docente presso l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino. Già docente nella scuola di Medicina dello Sport dell’Università di Brescia, già professore a contratto in Traumatologia Forense presso l’Università degli Studi di Bologna e tutor in Ortopedia e Traumatologia nel corso di laurea in Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Siena. Responsabile della formazione per l’Associazione Italiana Traumatologia e Ortopedia Geriatrica. Promotore e coordinatore scientifico di corsi in ambito ortogeriatrico, ortopedico-traumatologico e medico-legale.Mario GabbrielliSpecialista in Medicina Legale. Già Professore Associato in Medicina Legale presso la Università di Roma La Sapienza. Professore ordinario di Medicina Legale presso la Università di Siena. Già direttore della UOC Medicina Legale nella Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Legale dell’Università di Siena, membro del Comitato Etico della Area Vasta Toscana Sud, Membro del Comitato Regionale Valutazione Sinistri della Regione Toscana, autore di 190 pubblicazioni.Con i contributi di: Maria Grazia Cusi, Matteo Benvenuti, Tommaso Candelori, Giulia Nucci, Anna Coluccia, Giacomo Gualtieri, Daniele Capano, Isabella Mercurio, Gianni Gori Savellini, Claudia Gandolfo.
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Cause sopravvenute
Inoltre, le eventuali cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento, ai sensi del comma 2 dell’art. 41 del codice penale, escludono il rapporto eziologico tra la condotta e l’evento. Il concorso di cause preesistenti o simultanee (in quanto conosciute o conoscibili dall’agente), anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole o consistenti nel fatto illecito altrui, non esclude il nesso di causalità (ad esempio, la preesistenza di gravi patologie).[9]
Si osserva al riguardo che l’art. 4, comma 6, del decreto legge n.19/2020 convertito nella legge 22 maggio 2020, n. 35 contiene un’espressa clausola di riforma e, come notato in dottrina, si pone in un rapporto di gravità progressiva rispetto al delitto di cui all’art. 452 c.p. sotto il profilo dell’entità del pericolo per la salute pubblica.[10]
Conclusioni
Pertanto, l’epidemia colposa sarà configurabile quando si accerti che la condotta dell’agente ha cagionato il contagio di una o più persone e la possibilità di un’ulteriore propagazione della malattia rispetto ad un numero indeterminato di individui, come potrebbe verificarsi nel caso dei manifestanti no green pass.[11]
Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche e delle conseguenze riscontrate finora è possibile qualificare il SARS-CoV-2 fra i germi patogeni, richiamati dagli artt. 438 e 452 c.p. che, qualora diffusi, dolosamente o colposamente, possono cagionare un’epidemia, quale “manifestazione collettiva d’una malattia che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto in dipendenza da vari fattori, si sviluppa con andamento variabile e si estingue dopo una durata anche variabile”.
Per questo motivo le misure sinora adottate dalle Autorità sono state finalizzate a realizzare il cosiddetto distanziamento sociale, cioè a interporre uno spazio di sicurezza tra i consociati, compreso tra un metro e due metri, l’utilizzo della mascherina e a ridurre il più possibile le occasioni in cui possono verificarsi i contatti sociali, ma anche e soprattutto alla sottoposizione alle procedure vaccinali in corso di svolgimento.
Allo stato, l’epidemia è già in corso da circa un anno e mezzo, con focolai sparsi nelle varie regioni geografiche. Pertanto, l’evento addebitabile all’agente (nel nostro caso i manifestanti) sarà il focolaio epidemico cagionato direttamente e causalmente dalla sua condotta.
Appurata l’incompatibilità del tentativo con i reati colposi, il delitto di cui all’art. 452 c.p. si consuma soltanto con la verificazione dell’evento epidemico (non voluto) mediante la diffusione del virus causata da condotte che violano i doveri di diligenza, prudenza e perizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, imposti proprio per evitare il verificarsi. E’ necessario, però, ricostruire eziologicamente il nesso tra la condotta e lo specifico focolaio epidemico, con il supporto della scienza medica e l’inosservanza delle regoli cautelari deve essere rimproverabile all’agente, giudizio di non facile attribuzione.
Nel 2017 la Corte di cassazione ha affermato che “non è configurabile il delitto di epidemia colposa a titolo di omissione, posto che l’art. 438 c.p., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, secondo comma, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera”.[12]
Tale principio non appare condivisibile perché si ritiene che la diffusione dell’epidemia possa avvenire in qualsiasi modo. Infatti, l’art. 40, comma 2, c.p. recita “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”, come nel caso in esame.
In realtà, tra l’altro, nel 2013, proprio la Suprema Corte ha affermato che “è configurabile il concorso per omissione, ex art. 40, secondo comma c.p., rispetto anche ai reati di mera condotta, a forma libera o vincolata”;[13] e, ancor più recentemente, nel 2016, che “è configurabile il concorso per omissione ex art. 40, secondo comma, c.p. nel reato di frode nelle pubbliche forniture, posto che la responsabilità da causalità omissiva è ipotizzabile anche nei riguardi dei reati di mera condotta, a forma libera o vincolata, e che, nell’ambito della fattispecie concorsuale, la condotta commissiva può costituire sul piano eziologico il termine di riferimento che l’intervento omesso del concorrente avrebbe dovuto scongiurare”.[14]
La diffusione di germi patogeni a seguito di una condotta, commissiva od omissiva, di natura colposa, può non cagionare un episodio epidemico, ma non per questo essere penalmente irrilevante. Le regole cautelari dettate in materia presidiano il bene giuridico rappresentato dall’incolumità pubblica, così come quello della salute e della vita dei singoli. Pertanto, l’agente che, violando le disposizioni normative e regolamentari, gli ordini dell’autorità, le linee guida del settore sanitario (obbligo vaccinale) o regole cautelari (distanziamento sociale e uso della mascherina), provoca il contagio di una o più persone, senza causare comunque un focolaio epidemico in senso scientifico, può rispondere di lesioni colpose ai sensi dell’art. 590 c.p. La condotta, infatti, sarebbe causa di una lesione personale. L’infezione, dalla quale deriva una malattia nel corpo, con un decorso più o meno grave, può portare anche alla morte del soggetto contagiato. Il decesso dell’agente è, infatti, un evento assolutamente prevedibile per l’agente, sulla base della notevole mole di informazioni che da mesi circolano in ambito nazionale e internazionale. Ciò comporta che il responsabile può essere chiamato a rispondere di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p.
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Note:
[1] P. Gentilucci, La possibile rilevanza penale del cosiddetto negazionismo del Covid-19, in Giurisprudenza Penale web, 2020. Coronavirus e presunta immunità diplomatica dell’organizzazione mondiale della sanità, in Diritto.it, 2020.
[2] I. Policarpio, Reato di epidemia colposa e dolosa: disciplina e pene, in Money.it, 2020.
[3] F. Simone, Coronavirus: la riscoperta del delitto di epidemia e la (scarsa) giurisprudenza sul tema, in Quotidiano Giuridico, 2020.
[4] Si veda Cassazione penale, sent. del 26 gennaio 2011, n. 2597.
[5] Si veda Tribunale di Savona sent. del 26 febbraio 2008
[6] Si veda Cassazione penale, sez. I, 30 ottobre 2019, n. 48014, cit.
[7] Si veda Cassazione penale, sez. IV sent. del 12 dicembre 2017, n.9133.
[8] Si veda Cassazione penale, sez. I, sent. del 23 settembre 2013, n.43273.
[9] L. Agostini, Pandemia e “Penademia”: sull’applicabilità della fattispecie di epidemia colposa alla diffusione del Covid-19 da parte degli infetti, in Sistema Penale, 4/2020.
[10] L. Agostini, Pandemia e “Penademia”: sull’applicabilità della fattispecie di epidemia colposa alla diffusione del Covid-19 da parte degli infetti, cit.
[11] G.L. Gatta, Coronavirus limitazione di diritti e libertà fondamentali e diritto penale: un deficit di libertà da rimediare, in Sistema Penale, 2020. M. Bozzaotre, Il diritto ai tempi del coronavirus, come cambia la nostra vita, in Giustizia Insieme, 2020.
[12] Si veda Cassazione penale, sez. IV, sent. del 12 dicembre 2017, n.9133.
[13] Si veda Cassazione penale, sez. I, sent. del 23 settembre 2013, n.43273.
[14] Si veda Cassazione penale, sez. IV, sent. dell’ 8 aprile 2016, n.28301.
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