Fondo per il sostegno della parità salariale di genere

Il diffondersi della pandemia da Coronavirus ed il conseguente aumento esponenziale dell’utilizzo del telelavoro e dello smart working hanno portato maggiormente alla luce, tra l’altro, la necessità di elaborare una più congrua suddivisione dei compiti di cura ed assistenza all’interno della famiglia, nonché l’esigenza di politiche di conciliazione vita-lavoro maggiormente efficaci.
In altre parole, è sempre più avvertito il bisogno di costruire economie e società maggiormente inclusive.
Nello specifico, uno degli ambiti in cui tale esigenza è maggiormente sentita è costituito dalla parità salariale di genere.
A tal fine, il Legislatore italiano ha, recentemente, introdotto l’istituto del Fondo per il sostegno della parità salariale di genere, che diverrà operativo a partire dal 2022.
Per tali ragioni, nella presente trattazione, dopo aver esaminato, in generale, il tema del c.d. gender pay gap, ci soffermeremo sulle caratteristiche del su citato Fondo.

Gender pay gap

L’art. 37 della Costituzione italiana prevede che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”.
Tale norma è espressione del principio di parità salariale di genere e rappresenta un corollario del principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 della Costituzione italiana.
L’Unione Europea ha, anche recentemente, riconosciuto il medesimo principio, con una sentenza della Corte di Giustizia U.E. (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Watford Employment Tribunal (Regno Unito) il 22 agosto 2019 – K e altri/Tesco Stores Ltd; Causa C-624/19),[1] la quale ha richiamato, in proposito, quanto previsto dal Trattato di Roma, nonché le fonti costituzionali degli Stati membri ed ulteriori norme successive, a partire dalla Direttiva 2006/54/CE.
In particolare, la pronuncia giurisprudenziale testé richiamata ha chiarito che tale principio è direttamente invocabile dagli interessati/e dinanzi ai tribunali nazionali.Può, senz’altro, osservarsi che il cosiddetto gender pay gap (ovvero, il divario salariale uomo-donna) sia un p
roblema molto radicato, sia in Italia che nel resto d’Europa, e che si riveli di difficile soluzione.
I dati elaborati e descritti nel “Global gender gap report 2021” evidenziano che, in materia, il diffondersi della pandemia e la conseguente crisi economica hanno determinato conseguenze più gravi per le donne, piuttosto che per gli uomini.
In verità, in Italia, nel 2021, si è realizzato un relativo miglioramento in ordine al divario di genere globale.
Infatti, il nostro Stato si posiziona, attualmente, al sessantatreesimo posto (guadagnando, in tal modo, ben tredici posizioni rispetto al 2020).[2]
Più specificamente, i dati elaborati dall’Unione Europea riconoscono che il divario salariale donne/uomini ammonterebbe, in Italia, al 5%, mentre quello medio dei Paesi appartenenti all’Unione Europea sarebbe del 15%.
Tali dati, tuttavia, si rivelano parziali, in quanto riferiti esclusivamente alla differenza tra i salari orari medi espressi in percentuale del salario medio maschile.
Esaminando, invece, la retribuzione annua (in luogo di quella oraria), il divario aumenta, in quanto le donne lavorano per un numero di ore inferiore rispetto a quello degli uomini.
Occorre, inoltre, tenere conto del fatto che il tasso di occupazione femminile è più basso rispetto a quello maschile.
Appare importante sottolineare, altresì, che tale minor impegno solo in alcuni casi sia giustificato da una scelta personale effettuata dalle donne.
In particolare, in Italia, il divario di genere, nei tassi di occupazione, è di circa 18 punti (la media europea, invece, è di circa 10 punti).
Al fine di ottenere dati il più possibile completi sull’argomento, l’Eurostat ha ideato il c.d. gender overall earnings gap.
Si tratta di un indicatore che tiene conto di tre fattori specifici sul reddito mensile medio di uomini e donne in età lavorativa.
Tali fattori sono costituiti dai guadagni orari, dalle ore retribuite e dal tasso di occupazione.
In Italia, il valore di tale indicatore ammonta al 44%[3].
In proposito, appare utile effettuare un’ulteriore precisazione, concernente la differenza tra gender pay gap e discriminazione salariale di genere.
Quest’ultima, infatti, consiste nella disparità di trattamento, a parità di ogni altra condizione; il gender pay gap, invece, è dato dal confronto tra due gruppi di individui differenti in ordine a molteplici aspetti.
La discriminazione salariale di genere consiste nel gender pay gap che residua in seguito all’eliminazione, dai dati, della componente che deriva dalle diverse caratteristiche di donne e uomini.
In Italia, secondo l’Eurostat, la discriminazione salariale del gender pay gap ammonterebbe al 12%.[4]

Fondo per il sostegno della parità salariale di genere

Come anticipato sopra, al fine di ridurre il gender pay gap, nell’ordinamento italiano è stato istituito un apposito fondo ministeriale.In particolare, la legge di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023 (L. n. 178/2020; G.U. Serie Generale n. 322 del 30/12/2020 – Suppl. Ordinario n. 46), all’art. 1, comma 276, ha espressamente previsto che: Nello stato di previsione del Ministero  del  lavoro  e  delle politiche sociali è istituito il Fondo per il sostegno della parità salariale di genere, con una dotazione di 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022, destinato alla copertura  finanziaria,  nei limiti  della  predetta  dotazione,  di  interventi  finalizzati   al sostegno e al riconoscimento del valore sociale  ed  economico  della parità salariale di genere e delle pari opportunità sui luoghi  di lavoro”.

Inoltre, al comma 277 del medesimo articolo, è stato precisato che “Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabilite le modalità di attuazione del comma 276”.
Si evidenzia, in proposito, che la Legge di Bilancio 2021 ha previsto l’istituzione di tale Fondo nell’ambito di un contesto più ampio di misure finalizzate a migliorare la condizione femminile nel nostro Paese.
In particolare, l’obiettivo del Fondo è rappresentato dall’eliminazione delle disuguaglianze di genere in ambito socio-economico (ai sensi dell’art. 3, cpv., della Costituzione), nonché, più specificamente, di migliorare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Il testo normativo approvato appare, invero, piuttosto scarno e, come previsto dal comma 277 su menzionato, necessita di ulteriori disposizioni per poter essere concretamente applicato.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, pertanto, dovrà emanare il relativo decreto, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Considerata la relativa esiguità del Fondo, sembra ipotizzabile che gli interventi che verranno previsti attraverso il decreto interministeriale possano essere soprattutto di tipo indiretto (per esempio, volti alla sensibilizzazione all’argomento) ma non pare possa escludersi che vengano previste, altresì, misure di tipo diretto (per esempio, sostegni alle aziende)[5].

Conclusioni

L’istituzione del Fondo per la Parità Salariale di Genere si rivela quanto mai opportuna, specialmente con riferimento all’attuale periodo storico.
L’obiettivo appare nobile e, senza dubbio, ambizioso.
Poiché, come sopra esposto, il Fondo sarà operativo solo a partire dal 2022 e non essendo ancora stato emanato il decreto interministeriale di cui all’art. 1, comma 277, della Legge citata, risulta difficile avanzare conclusioni nette sulla possibile efficacia di tale strumento.
Tuttavia, appare, senz’altro, consigliabile ed auspicabile che la dotazione economica del predetto Fondo venga, al più presto, incrementata, al fine di permettere la pianificazione, progettazione ed esecuzione di interventi in materia non solo di tipo indiretto ma anche di tipo diretto.
Questi ultimi, infatti, appaiono caratterizzati da una maggiore efficacia.


Note:

[1] Si rinvia, in proposito, a https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62019CN0624&from=EN

Si veda, altresì, Tringali M.C., Il gender pay gap è illegittimo, lo dice la Corte UE, in Il Sole 24 Ore, consultabile al seguente U.R.L.: https://alleyoop.ilsole24ore.com/2021/06/14/gender-pay-gap-2/

[2] http://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2021.pdf

[3] Ammonta, invece, al 40% in Europa.

[4] L. Rosti, Parità di genere, serve più trasparenza sulle retribuzioni, in Il Sole 24 Ore, 5 marzo 2021: https://www.ilsole24ore.com/art/serve-piu-trasparenza-retribuzioni-ADol9nNB?refresh_ce=1

[5] https://quifinanza.it/lavoro/parita-salariale-di-genere-intervento-governo-manovra-2021/447588/#:~:text=Parit%C3%A0%20salariale%20di%20genere%2C%20il%20fondo%20creato%20dal,che%20potr%C3%A0%20essere%20utilizzato%20a%20partire%20dal%202022.

Dott.ssa di ricerca Cadelano Sara

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