In materia di rito abbreviato condizionato, quando sono ammissibili le richieste subordinate all’audizione di persone già sentite nel corso delle indagini o dell’udienza preliminare

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

La Corte di Appello di Roma confermava una sentenza del Tribunale di Tivoli in forza della quale l’imputato è stato riconosciuto colpevole dei reati contestati e condannato alla complessiva pena di anni sei, mesi due di reclusione ed euro 2.000,000 di multa, tenuto conto della contestata recidiva.

I giudici della corte di appello avevano, in particolare, rigettato il motivo riguardante la mancata riduzione della pena in ragione del rito originariamente prescelto e disatteso le ulteriori censure relative al trattamento sanzionatorio.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi: 1) violazione ex artt. 606 lett. b), c) ed e) c.p.p. in relazione agli artt. 438 e 442 c.p.p. rilevandosi che, in modo erroneo, la Corte di Appello aveva disatteso il motivo finalizzato ad ottenere il riconoscimento della riduzione di pena per l’originario rito alternativo prescelto non considerando che la richiesta di audizione di un militare, cui era stata condizionata l’istanza di giudizio abbreviato, era indispensabile al fine di fare emerge le contraddizioni nella versione di quest’ ultimo in relazione alla consulenza tecnica acquisita in sede istruttoria, come confermato dal fatto che, in ragione delle circostanze emergenti da detta perizia, il primo giudice aveva operato la derubricazione dei fatti di cui al capo D); 2) violazione ex artt. 606 lett. b) ed e) c.p.p. in relazione all’ art. 62 bis c.p. assumendosi che la motivazione in punto di diniego delle chieste circostanze attenuanti generiche era totalmente carente e lacunosa; 3) violazione ex artt. 606 lett. b) ed e) c.p.p. in relazione agli artt. 81 e 133 c.p. osservandosi che la pena complessivamente irrogata era stata eccessiva e che la Corte di Appello aveva omesso ogni valutazione in ordine alla specifica censura riguardante la comminazione di una pena aumentata per la c.d. continuazione interna in relazione al capo E), sebbene il capo di imputazione nulla contenesse al riguardo.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Quanto al primo motivo, gli Ermellini osservavano come esso fosse manifestamente infondato in quanto reiterativo di un profilo già disatteso dalla corte di appello con motivazione congrua e corretta in diritto.

Si evidenziava in particolare, una volta premesso che in tema di giudizio abbreviato, la prova sollecitata dall’imputato con la richiesta condizionata di accesso al rito, che deve essere integrativa e non sostitutiva rispetto al materiale già raccolto ed utilizzabile, può considerarsi “necessaria” quando risulta indispensabile ai fini di un solido e decisivo supporto logico-valutativo per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della “regiudicanda” (Sez. U, Sentenza n. 44711 del 27/10/2004 Ud. (dep. 18/11/2004) che, com’è noto, la richiesta condizionata di accesso al rito risulta ammissibile se la prova integrativa richiesta dall’imputato sia “necessaria ai fini della decisione” e “compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento”.

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che, pur dopo l’istituzione della forma condizionata di accesso al rito, l’art. 438 c.p.p. introduce la relativa disciplina incentrandola sulla richiesta dell’imputato di essere giudicato “allo stato degli atti” rilevandosi al contempo come dovesse pure essere considerato che la rinuncia alle forme dibattimentali per la selezione e l’assunzione delle prove costituisce l’unica giustificazione razionale per una diminuzione di pena che prescinde dalla valutazione dei profili soggettivi ed oggettivi del reato, ed opera (senza possibilità di gradazione) al di fuori dei criteri fissati nell’art. 133 c.p. fermo restando che il riferimento alla “necessità” dell’integrazione rappresenta un forte segnale linguistico e sistematico utile a conferire alla prova aggiuntiva richiesta dall’imputato un carattere di eccezionalità, e dunque un requisito di vera e propria “decisività” mentre un secondo misuratore del carattere di necessità della prova è ormai tradizionalmente individuato – anche in base alla porzione finale dell’inciso normativo (“tenuto conto degli atti già acquisiti e utilizzabili”) – nella “novità” del dato cognitivo che dovrebbe essere accertato mediante l’integrazione proposta, vale a dire quest’ultima, in concreto, deve avere ad oggetto solo prove nuove in quanto riguardanti fatti nuovi o fatti già resi noti da fonti diverse di conoscenza.

La prova integrativa, però, non può “ripetere” atti investigativi già compiuti poiché, quando la fonte da escutere sia la stessa già sondata in fase di indagini, l’esame è ammissibile solo in quanto mirato a colmare lacune oggettive dell’atto originario, cioè a verificare circostanze diverse ed ulteriori.

Pertanto, se l’imputato individua un diverso interesse all’assunzione “ripetuta“, come solitamente avviene mediante il riferimento al più consistente valore epistemico degli atti assunti in contraddittorio ed in presenza del giudice chiamato alla decisione, non gli resta che affrontare il giudizio nelle forme ordinarie poiché ciò che non può ammettersi è la pretesa che, pur esistendo una base cognitiva conforme al criterio di “completezza delle indagini”, si svolga nell’ambito del giudizio abbreviato un vero e proprio dibattimento, con conseguente dispersione di senso della diminuzione di pena.

Precisato ciò, si evidenziava a tal riguardo che la Corte di Cassazione, ad esempio, riguardo al criterio di novità della prova integrativa, ha rilevato come l’ordinamento consenta, attraverso il procedimento celebrato in forma ordinaria, che il diritto al contraddittorio in fase genetica si sviluppi pienamente, e come la diversa regola del rito discenda da una libera e volontaria opzione dell’interessato (sez. 2, Sentenza n. 11768 del 23/01/2003; Sez. 4, Sentenza n. 19733 del 8/05/2009; Sez. 6, Sentenza n. 44634 del 31/10/2013).

Ciò posto, i giudici di piazza Cavour evidenziavano inoltre che il terreno più problematico è indubbiamente quello della prova dichiarativa atteso che spesso l’imputato non ha “diritto” alla mera ripetizione in contraddittorio della prova orale dal momento che le richieste subordinate all’audizione di persone già sentite nel corso delle indagini o dell’udienza preliminare sono ammissibili alla sola condizione che vengano specificati i fatti da accertare, non già posti ad oggetto dell’esame precedente (sez. 6, Sentenza n. 25713 del 8/04/2003; sez. 5, Sentenza n. 11954 dell’8/02/ 2005; sez. 2, Sentenza 8 aprile 2008, n. 19645; sez. 1„ Sentenza n. 29669 del 25/03/2010) in guisa tale che è legittimo il provvedimento di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, subordinata ad una integrazione probatoria, quando detta integrazione non sia finalizzata al necessario ed oggettivo completamento degli elementi informativi in atti, insufficienti per la decisione, ma miri esclusivamente alla sostituzione del materiale già raccolto ed utilizzabile, così da ottenere un vero e proprio dibattimento dinnanzi al giudice dell’udienza preliminare, in contrasto con gli obiettivi di speditezza e semplificazione perseguiti dal rito alternativo (sez. 6, Sentenza n. 8738 del 29/01/2009).

Oltre a ciò, era oltre tutto rilevato che, se può concordarsi sull’ammissibilità dell’assunzione a titolo di prova integrativa delle dichiarazioni di persone già sentite nel corso delle indagini o dell’udienza preliminare, occorre, tuttavia, che si tratti di prove nuove (nel senso che siano nuovi i temi da trattare) e decisive (nel senso che senza di esse un profilo essenziale della regiudicanda non potrebbe essere risolto in base ai correnti criteri cognitivi) spettando al richiedente l’onere di proporre le specificazioni, ed eventualmente la documentazione, che siano necessarie alla verifica di conformità della prova integrativa al suo modello legale.

Concluso questo excursus giurisprudenziale, declinando i criteri ermeneutici sin qui enunciati al caso di specie, i giudici di legittimità ordinaria notavano come, nella fattispecie in esame, i giudici di appello si fossero attenuti ai principi di diritto sopra menzionati di cui avevano fatto, per la Corte di legittimità, corretta applicazione dandone conto con una motivazione che non era, né carente, né illogica, posto che gli elementi considerati erano indicativi, in modo univoco, della superfluità dell’integrazione probatoria richiesta dalla difesa e della sua incompatibilità con le finalità di economia processuale proprie del procedimento atteso che la Corte territoriale aveva evidenziato come l’imputato non avesse in alcun modo indicato, in sede di gravame, circostanze di fatto da verificare tali da differenziarsi da quelle già acquisite e tali da porsi in termini di effettiva utilità al fine di integrare o completare gli elementi probatori in atti precisando come l’attività istruttoria sollecitata non poteva essere finalizzata esclusivamente a rinnovare nel contraddittorio prove già in atti.

Infine, con riguardo alle invocate circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen., si riteneva come la Corte di Appello avesse congruamente motivato circa le ragioni del diniego del riconoscimento, facendo riferimento anche ai precedenti penali dell’imputato, apparendo le censure formulate sul punto aspecifiche e manifestamente infondate ribadendosi al contempo quanto già postulato in sede nomofilattica ossia che, ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/1072004).

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando sono ammissibili le richieste subordinate all’audizione di persone già sentite nel corso delle indagini o dell’udienza preliminare in materia di rito abbreviato condizionato.

Difatti, in tale pronuncia, si afferma per l’appunto che le richieste subordinate all’audizione di persone già sentite nel corso delle indagini o dell’udienza preliminare sono ammissibili alla sola condizione che vengano specificati i fatti da accertare, non già posti ad oggetto dell’esame precedente, sempreché l’esame sia mirato a colmare lacune oggettive dell’atto originario, cioè a verificare circostanze diverse ed ulteriori.

Tale sentenza, anche perché è conforme a quanto già statuito dalla Cassazione in precedenti pronunce, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si condizioni tale rito speciale ad un incombente probatorio di questo genere.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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