(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 423)
Il fatto
La Corte di Appello di Firenze confermava una sentenza emessa dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pistoia che aveva condannato l’imputato alla pena di anni tre di reclusione in quanto ritenuto responsabile del reato di incendio continuato per avere, utilizzando inneschi rudimentali, costituiti da pezzi di carta e cartoni accesi con accendini, appiccato il fuoco a diversi cumuli di rifiuti, a diversi cassonetti della spazzatura; ad un cantiere edile, alla porta di uno stabile adibito ad abitazione privata, a una campana in vetroresina per la raccolta differenziata di vetro e plastica.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso l’indicata sentenza proponeva ricorso l’imputato per il tramite del difensore il quale ne aveva chiesto l’annullamento per violazione di legge in relazione alla confermata qualifica del fatto come incendio e non come danneggiamento seguito dal pericolo di incendio avendo la Corte di Appello respinto la chiesta riqualificazione del fatto-reato per la ravvisata sussistenza nella condotta dell’imputato del dolo di incendio e non di danneggiamento valorizzando la confessione resa dal medesimo che aveva ammesso di essere stato l’autore degli episodi incendiari e di aver innescato il fuoco per rabbia e, in particolare, per la sua condizione di soggetto senza fissa dimora e senza reddito.
Orbene, operando in tal modo, per il ricorrente, i giudici di merito sarebbero incorsi nell’erronea ricostruzione della fattispecie penale di cui all’art. 423 cod. pen., omettendo qualsivoglia motivazione sull’elemento oggettivo del reato in assenza di una dettagliata rappresentazione degli episodi come eventi in grado di attentare alla pubblica incolumità dato che solo una valutazione congiunta delle dichiarazioni dell’imputato e delle concrete modalità delle condotte realizzate avrebbe potuto dar conto dell’esatta portata dell’elemento soggettivo, insufficiente essendo il riferimento alla natura dolosa degli incendi e generico il richiamo alla sussistenza delle caratteristiche di vastità e diffusività delle fiamme.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso proposto veniva ritenuto non meritevole di considerazione per le seguenti ragioni.
Si osservava innanzitutto come la sentenza impugnata avesse offerto una risposta sintetica, ma compiuta ed esaustiva, alla questione devoluta, alla luce delle precisazioni rese sull’elemento oggettivo del reato dal giudice di primo grado che non si era limitato ad un generico quanto indistinto richiamo alla natura dolosa dei fatti, ma aveva rappresentato concreti dati fattuali per descrivere gli eventi, le loro dimensioni, la loro capacità distruttiva e propagativa essendo stato, difatti, evidenziato come per tutti gli episodi solo il provvido e tempestivo intervento dei vigili del fuoco avesse scongiurato che si determinassero drammatiche conseguenze in considerazione della presenza di numerosi veicoli in sosta nelle immediate vicinanze dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti interessati dal fuoco e, dunque, del rischio concreto di fenomeni di esplosione per la presenza nei serbatoi delle auto di materiali altamente infiammabili; che nell’episodio del 18 aprile le fiamme si erano propagate, provocando l’incendio e la distruzione di un furgone Fiat Fiorino; che il cantiere edile dato alle fiamme si trovava in pieno centro cittadino e a ridosso di numerosi edifici pubblici; che nell’episodio del 12 aprile le fiamme appiccate alla porta di ingresso dello stabile adibito a privata dimora si erano propagate all’interno dell’edificio, determinandone l’inagibilità.
Orbene, per il Supremo Consesso, tali pertinenti emergenze non erano state contraddette dalla difesa che sul punto non sviluppava nessuna deduzione mentre la confermata qualificazione giuridica dei fatti come incendio non violava i parametri normativi di riferimento, né, nella operata valutazione dei fenomeni combustivi, incorreva in un travisamento delle risultanze probatorie, richiamate in modo sufficientemente esplicativo e logico dai giudici di merito che avevano valorizzato l’agevole diffusività dei roghi, evento scongiurato soltanto dalla pronta azione dei vigili del fuoco rilevandosi al contempo che il pericolo per la pubblica incolumità può essere costituito non solo dalle fiamme, di vaste dimensioni e tendenti a propagarsi, ma anche dalle loro dirette conseguenze, quali il calore, il fumo, la mancanza di ossigeno, l’eventuale sprigionarsi di gas pericolosi dalle materie incendiate (Sez. 4, n. 44744 del 01/10/2013; Sez. 1, n. 14592 del 16/11/1999; Sez. 4, n. 1034 del 16/10/1991).
Quanto, poi, alla distinzione tra i delitti di incendio e di danneggiamento seguito da incendio, una volta evidenziato che, per costante insegnamento della giurisprudenza della Cassazione, l’elemento differenziale è individuato nell’elemento psicologico nel senso che, nella prima fattispecie, esso è rappresentato dal dolo generico, ovvero dalla volontà di cagionare l’evento con fiamme che, per le loro caratteristiche e la loro violenza, tendono a propagarsi in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità mentre, per poter configurare la seconda ipotesi di reato, occorre il dolo specifico di danneggiare la cosa altrui, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento (sez. 1, n. 29294 del 17/05/2019; sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013; sez. 1, n. 16612 del 11/02/2013; sez. 1, n. 6250 del 03/02/2009; sez. 1, n. 25781 del 07/05/2003), si prendeva atto di come le conformi decisioni avessero correttamente valorizzato le dichiarazioni dello stesso imputato, mosso dal rancore per la sua condizione di emarginazione sociale, per dedurne il significato di indubbia sussistenza di volontà di cagionare un incendio secondo la nozione giuridicamente accreditata e non di distruggere con il fuoco la cosa altrui, tanto obiettivamente emergendo dalla serialità delle condotte e, principalmente, dalla natura e ubicazione degli obiettivi, di volta in volta, presi di mira.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante specialmente nella parte in cui si precisa cosa deve intendersi per pericolo per la pubblica incolumità in riferimento a quanto previsto dall’art. 423 c.p..
Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si postula per l’appunto che il pericolo per la pubblica incolumità può essere costituito non solo dalle fiamme, di vaste dimensioni e tendenti a propagarsi, ma anche dalle loro dirette conseguenze, quali il calore, il fumo, la mancanza di ossigeno, l’eventuale sprigionarsi di gas pericolosi dalle materie incendiate.
Dunque, ai fini della configurabilità dell’art. 423 c.p. che, come è noto, incrimina il delitto di incendio, non devono prendersi solo in considerazione le fiamme di vaste dimensioni e tendenti a propagarsi, ma anche le conseguenze che scaturiscono da tale evento, quali il calore, il fumo, la mancanza di ossigeno, l’eventuale sprigionarsi di gas pericolosi dalle materie incendiate.
Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta sia contestato un reato di questo genere.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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