Meccanismi processuali europei per la cooperazione giudiziaria

Michele Lupoi 12/10/21
 

Sommario: 1. La convenzione dell’Aja del 1980: cenni introduttivi. – 2. Il principio dell’automatico rientro del minore e le sue eccezioni. – 3. I meccanismi procedimentali della convenzione del 1980. – 4. Il regolamento UE n. 2201 e la sottrazione internazionale di minori. – 5. L’overriding mechanism dell’art. 11. – 6. L’esecuzione dei provvedimenti che dispongono il rientro del minore. – 7. Le innovazioni del regolamento UE n. 1111 del 2019. – 8. Un nuovo meccanismo di coordinamento tra gli Stati membri. – 9. Le nuove deroghe al riconoscimento degli ordini di rientro. – 10. Conclusioni.

1. La convenzione dell’Aja del 1980: cenni introduttivi.

Mi piace pensare allo spazio di giustizia europeo come a un grande laboratorio di esperienze innovative. In effetti, dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il legislatore europeo ha prodotto un imponente corpo normativo per armonizzare le norme processuali degli Stati membri e garantire un sistema giudiziario più efficace ed efficiente ai cittadini dell’Unione. Tale attività armonizzatrice è andata oltre il tradizionale approccio multilaterale delle convenzioni internazionali. Non ci si è limitati, infatti, a fornire regole uniformi che devono essere applicate con lo stesso contenuto da Cipro alla Finlandia: soprattutto, si sono introdotti meccanismi per attuare una effettiva cooperazione giudiziaria attraverso le frontiere, facendo dialogare tra loro i giudici degli Stati membri, in uno sforzo comune di implementazione dei principi fondamentali su cui appoggia lo spazio di giustizia europeo.

Tra tali principi campeggiano quello dell’equivalenza delle giurisdizioni e quello della fiducia reciproca. Gli organi giudiziari di ogni Stato svolgono una funzione ed una attività equivalente a quella svolta degli organi giudiziari degli altri Stati membri. E così nessun giudice è in una posizione migliore dell’altro per decidere sulla giurisdizione che quest’ultimo è chiamato ad esercitare, così che non vi possono essere interferenze da parte del giudice di uno Stato membro sull’attività svolta dai giudici degli altri Stati membri. Ciascun giudice, infatti, si fida (rectius: deve fidarsi) della capacità di tutti gli altri giudici di dare adeguata e corretta applicazione delle norme uniformi europee.

Questa, per quanto a grandi linee, è la teoria. E la teoria deve comunque fare i conti con la realtà, che può imporre compromessi o correzioni di rotte. La storia di alcuni importanti regolamenti europei, in effetti, è la storia di come il legislatore europeo si sia trovato a dovere rivedere alcuni dei meccanismi da lui stesso introdotti, apparentemente derogando al principio della fiducia reciproca. Nell’ambito del diritto civile e commerciale, l’introduzione dell’art. 31 nel regolamento n. 1215 del 2021, che ha aperto una breccia nel muro della priorità temporale nel contesto della litispendenza europea, mi pare un chiaro esempio dell’affermazione che precede. Attribuire al giudice adito per secondo la competenza esclusiva a decidere sulla validità e sulla efficacia della clausola di scelta del proprio foro, mettendo in standby il procedimento previamente instaurato davanti ad un giudice diverso da quello prorogato, in ultima analisi, appare la negazione di tale fiducia reciproca.

In questo scritto, peraltro, focalizzerò l’analisi sui meccanismi di coordinamento tra giurisdizioni introdotti dal legislatore europeo in materia di sottrazione internazionale di minori e che costituiscono una sorta di stress test per il principio della fiducia reciproca. Il riferimento, in particolare, è alle norme del regolamento n. 2201 del 2003 e a quelle del più recente regolamento n. 1111 del 2019.

Esigenze di spazio mi impediscono di analizzare approfonditamente il tema della sottrazione internazionale di minori ma alcune parole introduttive sono comunque necessarie. Si tratta di un fenomeno patologico del contenzioso familiare transfrontaliero, in sempre maggiore espansione, come conseguenza della aumentata mobilità delle famiglie attraverso le frontiere. Rispetto a tali gravissime situazioni, la normativa unilaterale degli Stati non può dare risposte efficienti. Solo meccanismi multilaterali di cooperazione giudiziaria tra Stati diversi, infatti, possono permettere di attuare l’obiettivo del rientro immediato del minore sottratto nello Stato d’origine. Sono, dunque, necessarie regole uniformi di agevole e rapida applicazione nonché strumenti operativi che permettano di coordinare l’attività delle istituzioni di almeno due diverse giurisdizioni.

Tale obiettivo è perseguito, come noto, dalla convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 su taluni aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (), le cui disposizioni sono rafforzate da quelle della convenzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori (). Su tale normativa convenzionale internazionale, per quanto più ci interessa qui, si innestano, nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, le norme dei regolamenti europei sopra menzionati. 

2. Il principio dell’automatico rientro del minore e le sue eccezioni.

Il procedimento che si instaura ai sensi della convenzione dell’Aja, in caso di accoglimento della relativa domanda, porta all’emissione di un ordine di rientro, che non integra anche una decisione sull’affidamento del minore () ed ha una natura intrinsecamente “cautelare”, per ripristinare la situazione di fatto preesistente alla sottrazione prima di provvedere sul merito della responsabilità genitoriale. E’ evidente il favor per il ritorno del minore sotteso all’intera normativa convenzionale: in caso di istanza proposta entro un anno dalla sottrazione, infatti, l’autorità giudiziaria, come regola, deve disporre l’immediato rientro del minore. Dopo la scadenza di tale termine, il ritorno va di norma ordinato comunque, a meno che non sia dimostrato che il minore si sia integrato nel suo nuovo ambiente (art. 12). Le norme della convenzione mirano a ricostruire, il più in fretta possibile e con il minor numero di ostacoli, lo status quo precedente alla sottrazione (), per poi rimettere al giudice dello Stato da cui il minore è stato sottratto ogni decisione in merito alla responsabilità genitoriale sul minore stesso, alla sua collocazione e alla regolamentazione dei rapporti con ciascuno dei due genitori.

In questa sede, è necessario evidenziare che la convenzione dell’Aja, pur ponendosi come obiettivo fondamentale il rientro immediato del minore sottratto, riconosce che tale rientro automatico possa non corrispondere sempre al migliore interesse del minore stesso. Essa dunque, all’art. 13, stabilisce alcune eccezioni, ovvero ipotesi che mettono l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto in condizione di negare il ritorno del minore (). Tali eccezioni vanno interpretate restrittivamente (), senza compiere un riesame completo della situazione del minore (). Il rientro potrà essere negato, in particolare, qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno dimostri (): 

a) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno, o: 

b) che sussiste un fondato rischio (), per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile (); ovvero: 

c) se si accerti che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere.

Inoltre, l’art. 20 dispone che il ritorno del minore può essere rifiutato anche qualora non fosse consentito dai princìpi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (). 

Per quanto i presupposti elencati dall’art. 13 siano interpretati in senso stretto, sono tutt’altro che rari i casi in cui l’ordine di rientro viene negato da parte del giudice dello Stato in cui il minore è trattenuto, le cui decisioni, dunque, possono mettere nel nulla quelle emesse dallo Stato “di partenza”, creando conflitti di provvedimenti e che però la convenzione in qualche modo tollera.

3. I meccanismi procedimentali della convenzione del 1980. 

Sul piano operativo, il sistema della convenzione dell’Aja si poggia sulle c.d. Autorità centrali (art. 6), che, in ogni Stato contraente, sono incaricate di adempiere agli obblighi imposti dalla convenzione e che collaborano tra loro per garantirne l’attuazione. L’intervento di tali Autorità consente, inoltre, di garantire la gratuità del procedimento per la parte “vittima” della sottrazione.

La convenzione, all’art. 8, stabilisce che l’istanza per il rientro del minore sottratto può essere chiesta, in via alternativa, all’Autorità centrale della residenza abituale del minore stesso nonché a quella di ogni altro Stato contraente, sul presupposto che il minore vi si trovi o vi siano indicazioni in tal senso. In base all’art. 16, poi, dopo aver ricevuto notizia di un trasferimento illecito di un minore o del suo mancato ritorno ai sensi dell’art. 3, le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato contraente nel quale il minore è stato trasferito o è trattenuto, non possono deliberare sul merito dei diritti di affidamento fino a quando non sia stabilito che le condizioni della convenzione, relativa al ritorno del minore sono soddisfatte, a meno che non venga presentata una istanza, in applicazione della convenzione stessa, entro un periodo di tempo ragionevole a seguito della ricezione della notizia. In altre parole, nella convenzione opera un meccanismo che impedisce, almeno temporaneamente, alle corti dello Stato in cui il minore è stato portato o è trattenuto di pronunciarsi sul merito del suo affidamento, frustrando così eventuali tentativi di forum shopping del genitore responsabile della sottrazione (). L’Autorità centrale che riceve una domanda ha il compito di trasmetterla all’Autorità centrale dello Stato contraente in cui abbia motivo di ritenere che si trovi il minore, dando di ciò comunicazione all’Autorità centrale richiedente, o, se del caso, al richiedente (art. 9).

La convenzione non fornisce ulteriori dettagli sul procedimento da seguire nello Stato membro in cui si trova il minore ai fini della decisione sull’istanza di rientro. Essa si limita a stabilire che l’Autorità centrale dello Stato “di rifugio” debba prendere o fare prendere ogni adeguato provvedimento per assicurare la riconsegna volontaria del minore stesso (art. 10) e che il procedimento deve inoltre svolgersi in tempi rapidi: l’art. 2 prevede, al riguardo, che gli Stati contraenti, per la realizzazione degli obiettivi della convenzione, debbano avvalersi delle procedure d’urgenza a loro disposizione. Il concetto è ribadito dall’art. 11, ove si afferma che le Autorità giudiziarie o amministrative di ogni Stato contraente devono procedere d’urgenza per quanto riguarda il ritorno del minore, con la specificazione che, qualora l’Autorità giudiziaria o amministrativa richiesta non abbia deliberato entro un termine di sei settimane dalla data d’inizio del procedimento, il richiedente (o l’Autorità centrale dello Stato richiesto), di sua iniziativa, o su richiesta dell’Autorità centrale dello Stato richiedente, può domandare una dichiarazione in cui siano esposti i motivi del ritardo. Il giudice competente deve accertare in modo autonomo la sussistenza delle condizioni previste dalla convenzione per il rientro del minore, svolgendo, ove necessario una propria istruzione probatoria (). 

4. Il regolamento UE n. 2201 e la sottrazione internazionale di minori.

Il legislatore europeo ha ritenuto necessario introdurre, nel regolamento n. 2201 del 2003, disposizioni integrative (e in parte modificative) di quelle della convenzione dell’Aja, per le ipotesi di sottrazione da uno Stato membro ad un altro Stato membro (), con meccanismi più rigorosi al fine di dare massima implementazione al principio del rientro automatico del minore nello Stato d’origine. Il regolamento Bruxelles II bis, in effetti, in base al suo art. 59, nei rapporti tra gli Stati membri, si sostituisce a tutte le normative convenzionali già in vigore tra tali Stati prima della sua entrata in vigore e, ai sensi dell’art. 60, nei rapporti tra gli Stati che ne sono parte, esso prevale anche su alcune importanti convenzioni multilaterali, nella misura in cui queste riguardino materie da esso disciplinate. Tra tali convenzioni internazionali, troviamo, appunto, la convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980 (). In realtà, come bene si desume anche dal suo art. 62, il regolamento n. 2201 non aspira a sostituirsi alla convenzione del 1980, ma, semmai, ad integrarsi ad essa (), nel tentativo di dare, alla sottrazione di minori tra Stati membri dell’Unione, soluzioni meglio rispondenti ai principi ispiratori dello spazio europeo di giustizia, in particolare quelli della fiducia reciproca tra gli Stati membri e dell’equivalenza tra l’attività giudiziaria svolta dalle giurisdizioni nazionali. La natura complementare del regolamento n. 2201 (), che, come la convenzione, ha come punto di riferimento il best interest of the child (), emerge dal considerando 17, per cui, in caso di trasferimento o mancato rientro illeciti del minore, si dovrebbe ottenerne immediatamente il ritorno e a tal fine dovrebbe continuare ad essere applicata la convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980, come integrata dalle disposizioni del regolamento n. 2201, in particolare il suo art. 11. I giudici dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente, inoltre, dovrebbero avere la possibilità di opporsi al suo rientro in casi precisi, debitamente motivati: tuttavia, una simile decisione dovrebbe poter essere sostituita da una decisione successiva emessa dai giudici dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro. In questa ultima frase sta tutta la “filosofia” dell’approccio del regolamento alla sottrazione internazionale dei minori, che, sul punto, come si vedrà, si discosta significativamente dalla convenzione del 1980 ().

D’altro canto, la Corte di giustizia afferma che vi è stretta relazione tra regolamento e convenzione che hanno, in sostanza, l’obiettivo comune di dissuadere le sottrazioni di minori tra Stati, e, in caso di sottrazione, come evidenziato dall’art. 1 della convenzione (), di ottenere il ritorno immediato nello Stato di residenza abituale () dei minori infra-sedicenni (v. art. 4) illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente nonché l’effettivo rispetto negli altri Stati contraenti dei diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente (). Nell’ambito dello spazio comune di giustizia europeo, d’altro canto, i conflitti tra giurisdizioni in materia di child abduction sono considerati idonei ad intaccare i pilastri su cui quello stesso spazio è costruito e dunque da prevenire in ogni modo.

Il favor rafforzato per il rientro del minore nello Stato d’origine () è una policy che, almeno sulla carta, appare compatibile con i principi sulla cui base è stato edificato il sistema di cooperazione e collaborazione tra le autorità giurisdizionali degli Stati membri (), ovvero la fiducia reciproca e l’equivalenza delle giurisdizioni: essa, però, nel regolamento n. 2201 è stata attuata con meccanismi procedurali che, in realtà, tale fiducia in qualche misura smentiscono e minano (). In effetti, a ben vedere, i meccanismi in questione sembrano più strumentali al contrasto al forum shopping che ad implementare il principio della mutual trust. Che questi dubbi siano fondati è dimostrato dal fatto che, nel regolamento n. 1111, come vedremo, sono stati introdotti, al riguardo, alcuni importanti correttivi.

Il regolamento n. 2201, in primo luogo, stabilisce che un’autorità giurisdizionale non possa rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all’art. 13, lett. b) della convenzione del 1980 qualora sia dimostrato che, nello Stato membro di provenienza, sono previste misure adeguate ad assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno () ovvero senza avere dato la possibilità di essere ascoltata alla persona che abbia chiesto il ritorno del minore (art. 11, para. 5°). Tale ultima previsione vuole garantire il diritto del genitore istante di farsi sentire direttamente dal giudice cui si è rivolto, in applicazione del principio dell’immediatezza. 

Inoltre, il regolamento Bruxelles II bis introduce un sistema integrato di norme sulla giurisdizione, per risolvere i conflitti di attribuzioni tra corti nazionali che di sovente sorgono in questo contesto, e prevede regole processuali ad hoc per la trattazione delle istanze di rientro presentate ai sensi della convenzione dell’Aja del 1980, di cui integra la disciplina procedimentale (con un cambio netto di prospettiva).

Come la convenzione, anche il regolamento n. 2201 esprime l’urgenza di decidere sull’istanza di rientro, affermando a sua volta che l’autorità giurisdizionale adita deve procedere al pronto trattamento della domanda, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale: salve circostanze eccezionali, in effetti, il provvedimento dovrebbe essere emanato entro sei settimane (). Agli Stati membri, dunque, si impone di predisporre meccanismi procedurali improntati all’urgenza, con una cognizione rapida, che valorizzi la natura lato sensu cautelare del provvedimento che mira a ricostituire, senza dilazioni, lo status quo esistente prima della sottrazione o del mancato rientro del minore. Il procedimento in esame, d’altro canto, non ha ad oggetto il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore, ma solo il ripristino della situazione precedente e dunque si presta ad un’istruttoria sommaria ().

Ma il profilo più rilevante è che la normativa europea “supera” la convenzione del 1980, mirando ad escludere conflitti tra le decisioni emesse nello Stato di origine ed in quello di c.d. rifugio, attribuendo, a tal fine, prevalenza esclusiva ai provvedimenti sul rientro del minore emessi nel primo Stato () ed escludendo che le corti dello Stato in cui si trova il minore possano neutralizzare tali provvedimenti con proprie decisioni di segno contrario (). In caso di valutazioni divergenti tra il giudice della residenza abituale del minore e quello del luogo in cui egli è stato portato illegalmente, infatti, è previsto che sia il primo a decidere sul ritorno del minore stesso, senza interferenze da parte del secondo (). In altre parole, il regolamento ritiene che il principio del rientro automatico del minore sottratto possa essere attuato in modo efficace solo attribuendo al giudice dello Stato d’origine la prerogativa di riesaminare la situazione su cui si è espresso il giudice dello Stato di rifugio, il quale deve dunque adeguarsi a quanto stabilito dall’altro giudice, in forma del principio della fiducia reciproca. In questo modo, si cerca di frustrare le aspettative di quei genitori che, dopo aver portato illecitamente un minore all’estero, ne chiedano poi l’affidamento alle autorità del paese ove questi è stato condotto, per ottenere una sorta di ratifica ex post del proprio operato. 

I meccanismi introdotti dal regolamento n. 2201 sono stati ritenuti compatibili con i valori sottesi allo spazio europeo di giustizia ma, a ben vedere, essi appaiono in contrasto proprio con il principio di fiducia reciproca tra le corti degli Stati membri. Il riesame della situazione del minore compiuto dal giudice dello Stato d’origine, in effetti, tradisce una valutazione di sfiducia rispetto alla capacità di analizzare tale situazione in modo equilibrato da parte del giudice dello Stato di rifugio. E il prevalere della decisione del giudice dello Stato d’origine su quella dello stato di rifugio, per quanto finalizzata ad attuare il principio del rientro automatico del minore sottratto, è la rappresentazione plastica di tale sfiducia.

Per rendere più efficienti le procedure in materia di sottrazione internazionale di minori, dunque, il regolamento n. 2201 ha introdotto, all’art. 11, alcune regole processuali uniformi, per l’ipotesi in cui una persona, un’istituzione o un altro ente titolare del diritto di affidamento adisca le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento in base alla convenzione dell’Aja del 1980 per ottenere il ritorno di un minore illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno (). Si tratta di norme che, in sostanza, senza avere natura autonoma (), entrano di diritto nella disciplina processuale degli Stati membri, integrandosi e, se del caso, imponendosi alle disposizioni nazionali che disciplinano la materia. Ovviamente, tali norme comuni possono operare solo qualora lo Stato di origine e quello di “rifugio” del minore appartengano entrambi all’Unione (). Esse, inoltre, vengono in rilievo solo in caso di applicazione dell’art. 13 della Convenzione del 1980 ().

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5. L’overriding mechanism dell’art. 11.

L’art. 11 del regolamento n. 2201, come si è anticipato, è il cuore delle dinamiche di cooperazione tra Stati membri in questo contesto (). Esso prevede un meccanismo procedurale volto a consentire al giudice dello Stato d’origine di emettere la decisione finale in materia di ritorno del minore dopo un provvedimento di non rientro emesso dal giudice dello Stato di rifugio: la pronuncia di un tale provvedimento in forza all’art. 13 della convenzione dell’Aia, infatti, non impedisce l’esecuzione di una successiva decisione che ne prescriva il ritorno emanata da un giudice competente ai sensi del regolamento, conformemente alla sezione 4 del capo III (art. 11, para. 8°) (). Se ne parla come di una “second chance procedure” o di un overriding mechanism (), il cui presupposto applicativo è che la richiesta ai sensi della convenzione dell’Aja provenga dallo Stato membro in cui il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del mancato rientro ().

Nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, dunque, qualora il giudice dello Stato di rifugio respinga la richiesta di ritorno di un minore in base all’art. 13 della convenzione (), non si può limitare ad un provvedimento di rigetto della relativa istanza (): egli, piuttosto, dopo avere emesso una tale decisione, ai sensi dell’art. 11, para. 6° del regolamento n. 2201, è tenuto a trasmettere (direttamente ovvero tramite la sua Autorità centrale) una copia del proprio provvedimento e dei pertinenti documenti (in particolare, una trascrizione delle audizioni svoltesi dinanzi a lui) () all’autorità giurisdizionale competente () o all’Autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. Tale comunicazione deve avvenire entro un mese dall’emanazione del provvedimento contro il ritorno ().

A questo punto, salvo che l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o del mancato ritorno non sia già stata adita da una delle parti, l’autorità giurisdizionale o l’Autorità centrale che riceve le informazioni appena menzionate deve informarne le parti e invitarle a presentare le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché l’autorità esamini la questione dell’affidamento del minore. 

La Corte di giustizia ha osservato che l’art. 11, para. 7° non è una norma volta ad individuare l’autorità giurisdizionale competente, ma piuttosto una disposizione di natura tecnica intesa principalmente a determinare le modalità di comunicazione delle informazioni relative al provvedimento contro il ritorno (). Rientra, dunque, nella discrezionalità degli Stati membri individuare il giudice nazionale competente ad esaminare le questioni relative al ritorno o all’affidamento del minore nel contesto della procedura di cui all’art. 11, para. 6°-8°, anche nell’ipotesi in cui, alla data della notifica del provvedimento contro il ritorno di un minore, una corte o un tribunale siano già investiti di un procedimento di merito relativo alla responsabilità genitoriale nei confronti dello stesso minore. In altre parole, è compatibile con il sistema del regolamento il fatto che uno Stato membro attribuisca a un’autorità giurisdizionale specializzata la competenza a esaminare le questioni relative al ritorno o all’affidamento del minore nel contesto della procedura prevista all’articolo 11, para. 7° e 8°, anche qualora una corte o un tribunale siano, peraltro, già investiti di un procedimento di merito relativo alla responsabilità genitoriale nei confronti del minore. Si è comunque specificato che una siffatta attribuzione di competenza debba essere rispettosa dei diritti fondamentali del minore quali enunciati all’articolo 24 della Carta e, in particolare, dell’obiettivo relativo alla rapidità di tali procedimenti. In particolare, per quanto concerne l’obiettivo della rapidità, i giudici europei ricordano che, nell’applicare le pertinenti disposizioni di diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretarle debba farlo alla luce del diritto dell’Unione e, segnatamente, del regolamento n. 2201 ().

Rispetto al meccanismo previsto dalla norma in esame, d’altro canto, la dottrina evidenzia che il termine “parti” è qui utilizzato in senso improprio, dal momento che, nello Stato di origine del minore, potrebbe non essere stato ancora instaurato alcun procedimento (). Tale termine va dunque riferito a tutti i soggetti che esercitino responsabilità genitoriale sul minore (di norma il genitore cui il minore sia stato “sottratto”), che la corte dovrà identificare e localizzare. 

Allo stesso tempo, non viene specificato il termine entro il quale la Corte d’origine debba inviare alle “parti” la documentazione inviata dal giudice dello Stato in cui si trova il minore: ovviamente, si presuppone l’urgenza e tempi rapidi anche in tale comunicazione ().

Qualora tali conclusioni non siano fatte pervenire entro il termine stabilito, l’autorità giurisdizionale in questione archivia il procedimento, la decisione di non rientro diviene, per così dire, definitiva e, ai sensi dell’art. 10, lett. b), iii), la competenza giurisdizionale viene attribuita al giudice della “nuova” residenza abituale del minore (v. supra). In caso contrario, si instaura un procedimento che, senza costituire un “appello” contro la decisione dello Stato di rifugio (), dovrebbe avere come oggetto il riesame della situazione su cui si è pronunciato il giudice straniero e non il diritto di affidamento in quanto tale (). Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che la pronuncia del giudice d’origine sul ritorno del minore non è subordinata all’esistenza di una decisione definitiva dello stesso giudice in merito al diritto di affidamento () né tale pronuncia risolve la questione dell’affidamento del minore stesso (). In questa sede, anzi, l’oggetto del giudizio riguarda soltanto l’eventuale violazione del “diritto di affidamento” del titolare della responsabilità genitoriale, inteso quale diritto di intervenire nella decisione riguardo al luogo di residenza del minore () e non il merito della responsabilità genitoriale (). Alla luce di ciò, la Corte ha precisato che non può sussistere litispendenza tra il procedimento per il rientro di un minore e quello di merito sull’affidamento di quello stesso minore (). Con il procedimento previsto dall’art. 11, in effetti, il regolamento mira ad assicurare non solo il ritorno immediato del minore nello Stato in cui risiedeva prima dell’abduction, ma anche a mettere in condizione le corti d’origine di valutare le ragioni e le prove alla base dell’eventuale decisione di non rientro (). Da quanto precede, si trae conseguenza che l’oggetto del giudizio sia limitato ai motivi per i quali il giudice straniero ha escluso il rientro, con una decisione che confermerà o sostituirà quella straniera (). Si è affermato, in particolare, che l’ambito del giudizio di riesame è circoscritto ai motivi di non ritorno del minore e non il carattere lecito o meno del trasferimento (). La Cassazione italiana (), in particolare, ha qualificato il procedimento in esame come un riesame sommario delle valutazioni compiute dal giudice straniero con nuova e globale valutazione degli elementi probatori acquisiti da quest’ultimo (), eventualmente da integrare con quelli ulteriormente acquisiti a seguito di sommarie informazioni, ed una autonoma interpretazione della pertinente disciplina sostanziale, al cui esito viene emessa una decisione o confermativa del provvedimento di diniego del ritorno – eventualmente anche per ragioni diverse od ulteriori da quelle addotte dall’altro giudice -, ovvero “sostitutiva” dello stesso provvedimento, prescrivendo il ritorno del minore (), senza che del procedimento stesso sia oggetto necessario il diritto di affidamento come questione preliminare da decidere prima di esaminare la questione del ritorno del minore ().

Alcuni, peraltro, non escludono che il procedimento che si attiva ai sensi dell’art. 11 possa avere ad oggetto il più ampio tema della responsabilità genitoriale (), come peraltro potrà avvenire quando, davanti al giudice dello Stato d’origine, sia già pendente un procedimento per l’affidamento del minore (). In tali ipotesi, la decisione sull’affidamento resta l’obiettivo finale del procedimento che si svolge nello Stato della residenza abituale del minore, ma non pregiudica la pronuncia di provvedimenti urgenti sul rientro del minore.

6. L’esecuzione dei provvedimenti che dispongono il rientro del minore.

La disciplina uniforme europea cerca di implementare il principio dell’automatico rientro del minore anche sul piano dei profili esecutivi dei provvedimenti emessi in questo ambito. In particolare, per quanto ci interessa qui, il regolamento n. 2201 prevede l’esecuzione immediata, senza necessità di previa concessione dell’exequatur nello Stato ospite e senza possibilità di opposizione, dei provvedimenti dello Stato di origine che dispongono il rientro del minore illegittimamente trasferito all’estero ai sensi dell’art. 11, para. 8°, a seguito del diniego di rientro pronunciato dal giudice straniero ai sensi dell’art. 13 della convenzione (). 

Rispetto a tali provvedimenti, il regolamento ha previsto una deroga al regime generale sull’esecuzione delle decisioni degli Stati membri, che richiede la previa concessione dell’exequatur: i provvedimenti in questione, in effetti, devono essere attuati in tempi più rapidi rispetto alle altre decisioni in materia di responsabilità genitoriale ().

L’esecuzione diretta di una decisione con cui sia stato ordinato il ritorno di un minore è disciplinata dall’art. 42, il quale richiede che la decisione in questione sia esecutiva nello Stato d’origine e certificata dal giudice d’origine sulla base di un apposito modello standard (). In tale certificato (redatto nella lingua della decisione), in particolare, il giudice dello Stato di origine deve attestare che:

– il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l’audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità; la Corte di giustizia, al riguardo, ha specificato che l’opportunità di tale audizione è rimessa in via esclusiva al giudice che deve statuire sul ritorno di un minore, non rappresentando essa un obbligo assoluto ma il risultato di una valutazione discrezionale in funzione delle esigenze legate all’interesse superiore del minore in ogni caso di specie. In altre parole, per i giudici europei, il diritto del minore ad essere sentito non esige che sia necessariamente tenuta un’audizione dinanzi al giudice dello Stato membro d’origine, ma richiede che siano messe a disposizione di tale minore le procedure e condizioni legali che gli consentono di esprimere liberamente la sua opinione e che quest’ultima sia raccolta dal giudice ();

– le parti abbiano avuto la possibilità di essere ascoltate (); 

– l’autorità giurisdizionale abbia tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e degli elementi di prova alla base del provvedimento emesso conformemente all’art. 13 della convenzione dell’Aia del 1980.

Il certificato deve, inoltre, contenere i dettagli delle misure eventualmente adottate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale.

La Corte di giustizia ha chiarito che l’emissione del certificato in questa ipotesi presuppone che, nello Stato in cui il minore sia stato trasferito illecitamente, sia stata previamente pronunciata una decisione contraria al ritorno dello stesso nello Stato di origine: secondo i giudici europei, infatti, l’art. 11, para. 8°, implica un rapporto di successione temporale tra una decisione di non-rientro e la decisione successiva che dispone invece il ritorno del minore. Da questo punto di vista, una volta che una decisione di ritorno sia stata certificata, le vicende processuali che riguardano la decisione di non-rientro (ad esempio, un eventuale appello o la sua sospensione) diventano irrilevanti rispetto all’applicazione delle norme del regolamento ().

Il certificato in questione può essere emesso d’ufficio, al momento in cui la decisione diventa esecutiva e può essere rettificato in conformità alla legge dello Stato di appartenenza del giudice stesso (art. 43). Contro il rilascio di tale attestazione non è però ammesso alcun mezzo di impugnazione. Si prevede solo un procedimento di controllo e correzione di eventuali errori materiali, quando il certificato non rispecchi correttamente il contenuto della decisione (considerando n. 24).

La decisione sul rientro del minore può essere eseguita nello Stato ad quem dietro esibizione di una copia autentica della stessa e del relativo certificato, debitamente tradotto in una delle lingue accettate dallo Stato (art. 45).

Ai sensi dell’art. 47, inoltre, l’attuazione materiale del provvedimento straniero nello Stato dell’esecuzione è assoggettata alla lex fori, a parità di condizioni con le decisioni nazionali. Come messo in evidenza dai giudici del Lussemburgo, in questi casi, il giudice dello Stato di esecuzione non può che constatare l’efficacia esecutiva di una decisione certificata ai sensi del regolamento dal giudice dello Stato di origine del minore (). L’unico limite a tale esecuzione diretta, come si è visto supra, è previsto dall’art. 47, per l’ipotesi in cui la decisione “certificata” sia incompatibile con un’altra decisione esecutiva emessa posteriormente.

Al riguardo, la Corte ha escluso che il giudice dello Stato di esecuzione possa opporsi all’esecuzione di una decisione certificata sul ritorno di un minore, adducendo che il giudice d’origine avrebbe violato l’art. 42 del regolamento, con grave violazione dei diritti fondamentali (nella specie, il mancato ascolto del minore). I giudici europei, in effetti, non hanno negato che una simile violazione possa essere accertata, ma hanno riservato tale esame alle corti dello Stato d’origine, precisando che l’art. 42, n. 2, comma 1°, non autorizza il giudice dello Stato membro dell’esecuzione ad esercitare un controllo sulle condizioni, ivi enunciate, di rilascio del certificato emesso dal giudice d’origine, per non compromettere l’effetto utile del sistema istituito dal regolamento ().

7. Le innovazioni del regolamento UE n. 1111 del 2019.

L’approccio del regolamento n. 2201 alla sottrazione internazionale appare caratterizzato da un’enfasi (forse eccessiva) sull’immediato rientro del minore, potenzialmente a scapito di altri valori rilevanti in questo contesto, in particolare la sicurezza del minore stesso e del genitore che lo ha sottratto (). Nell’applicazione delle disposizioni comuni europee, dunque, non si deve dimenticare che né la convenzione né il regolamento mirano ad assicurare in ogni caso il rientro del minore nello Stato di partenza e che la partita dell’integrazione e della cooperazione giudiziaria attraverso le frontiere si gioca anche sulla capacità delle corti dello Stato di origine del minore di valutare le ragioni che hanno indotto il giudice straniero a negare il rientro senza preconcetti, in modo sereno ed obiettivo, seguendo le linee guida emergenti dalle decisioni della Corte di giustizia e della Corte europea sui diritti umani ().

La dottrina ha, peraltro, espresso notevoli critiche al meccanismo processuale introdotto dall’art. 11 del regolamento n. 2201. Tali critiche sono state almeno in parte recepite dal legislatore europeo nella recente rifusione del regolamento. In effetti, le norme appena esaminate sono destinate ad essere superate a breve da una nuova disciplina uniforme europea. Dall’agosto 2022, infatti, il regolamento n. 2201 sarà sostituito dal regolamento (UE) n. 2019/1111. Sebbene il regolamento Bruxelles II bis sia considerato, globalmente, uno strumento efficace, l’esperienza applicativa ha messo in evidenza alcuni problemi che il legislatore europeo ha inteso affrontare con una rifusione di tale regolamento (), in particolare al fine di dare migliore protezione all’interesse superiore del minore (). In quest’ottica, nel giugno 2016, la Commissione ha formulato, dopo un intenso lavoro di raccolta ed elaborazione di dati e sondaggi, una proposta di rifusione del regolamento 2201. Sulla proposta della Commissione si è pronunciato il Parlamento, con un successivo intervento di “compromesso” politico da parte del Consiglio. Al termine del percorso normativo, ha infine visto la luce il regolamento (Ue) n. 2019/1111 del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori. Esso è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ma la sua applicazione è rinviata al 1° agosto 2022 (), ad eccezione degli art. 92, 93 e 103, applicati dal 22 luglio 2019.

Il nuovo regolamento Bruxelles II ter introduce importanti innovazioni rispetto al sistema previgente, in un delicato gioco di equilibri tra tutela del minore, interessi nazionali, coordinamento con altri strumenti internazionali, nel prisma del rafforzamento della fiducia reciproca tra i sistemi giudiziari degli Stati membri (considerando n. 3). Esso conserva la struttura e l’ambito applicativo del regolamento n. 2201, rispetto al quale si pone in continuità. Nel testo del nuovo regolamento, peraltro, aumentano le norme di diritto uniforme, che si innestano sulle normative procedurali della lex fori, prevalendo sulle disposizioni nazionali incompatibili.

Per quanto ci interessa qui, il regolamento n. 1111 ha introdotto importanti novità in materia di sottrazione internazionale di minori. In questo ambito, in effetti, come si è visto, la fiducia reciproca affermata a livello teorico si scontra maggiormente con le prassi delle corti nazionali che, sovente, operano in modo poco conforme a tale principio, come dimostra il numero non basso di decisioni che escludono il rientro di minori sottratti (). D’altro canto, negli ultimi anni, si è incrinata l’idea che il ritorno del minore sia necessariamente la soluzione preferibile ().

Per cominciare, il para. 3° dell’art. 1 del nuovo regolamento precisa che i capi III e VI si applicano ai casi di trasferimento illecito o di mancato ritorno di un minore concernenti più di uno Stato membro, a integrazione della convenzione dell’Aia del 1980, mentre il capo IV si applica all’esecuzione transfrontaliera delle decisioni che dispongono il ritorno del minore in un altro Stato membro ai sensi di tale convenzione. Non si tratta di una novità sostanziale, dal momento che anche nel regolamento n. 2201 erano affrontati i medesimi temi. Nel nuovo regolamento, peraltro, la materia è affrontata in modo più organico e sistematico. Il maggior rilievo attribuito dal legislatore europeo a questo tema è dimostrato anche dal fatto che la sottrazione internazionale dei minori è stata inserita nello stesso “titolo” del regolamento n. 1111. Anche qui, peraltro, il legislatore lavora “di cesello”, nel rispetto dell’impianto dalla convenzione dell’Aja del 1980, cui cerca di dare migliore e più efficace attuazione nei rapporti tra gli Stati membri (). Dove, nel regolamento n. 2201, della materia si occupava il solo art. 11, nella rifusione compare un intero capo intitolato, appunto, “sottrazione internazionale di minori”, composto da 8 articoli (da 22 a 29). Il capo relativo all’esecuzione delle decisioni in questo ambito è poi stato riscritto con significative innovazioni.

Per concentrare l’analisi sulle nuove norme specificamente dedicate ai procedimenti per il rientro dei minori sottratti, la prima di esse (art. 22), invero, si limita a stabilire che, nei rapporti tra gli Stati membri, al procedimento e all’esecuzione dei provvedimenti in materia di sottrazione di minori, a integrazione della convenzione dell’Aia del 1980, si applicano gli artt. da 23 a 29, e il capo VI, del nuovo regolamento, così confermando il ruolo appunto “integrativo” svolto dalla normativa uniforme europea rispetto alle più generiche disposizioni della convenzione del 1980.

Il regolamento non interviene sulla ripartizione delle competenze interne in materia di sottrazione di minori (), ma il considerando 41 esplicita l’invito agli Stati membri, affinché i procedimenti di ritorno ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 si concludano quanto prima, a prendere in esame, coerentemente con la rispettiva struttura giudiziaria nazionale, l’eventualità di concentrare la competenza per tali procedimenti in un numero quanto più limitato possibile di autorità giurisdizionali, in modo da ridurre i tempi per l’esame delle domande di rientro e garantire maggiore specializzazione dell’autorità giudiziaria competente. La competenza per le cause di sottrazione di minori potrebbe così concentrarsi in un’unica autorità giurisdizionale per l’intero paese o in un numero limitato di autorità giurisdizionali, partendo, ad esempio, dal numero di autorità giurisdizionali dell’impugnazione e concentrando la competenza per le cause di sottrazione internazionale di minori in un’autorità giurisdizionale di primo grado all’interno di ogni circoscrizione di corte di appello. 

Sul piano procedimentale, l’accento è sull’accelerazione dei tempi per l’esame, la trattazione e la decisione sulle istanze di ritorno di un minore asseritamente sottratto, a partire dal primo intervento delle autorità centrali. In effetti, l’art. 23 esordisce prevedendo che le autorità centrali debbano procedere al “rapido trattamento” delle domande di ritorno ricevute ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980. Anche l’art. 24 si occupa della celerità del procedimento giudiziario: il para. 1°, in particolare, richiede all’autorità giurisdizionale alla quale è stata presentata la domanda per il ritorno del minore di procedere al “rapido trattamento” della domanda stessa, utilizzando le procedure più rapide previste nel diritto nazionale. Non si introducono norme processuali comuni, ma si responsabilizzano gli Stati membri (e le corti nazionali, ove la questione sia rimessa alla loro attività interpretativa) ad avvalersi, in questo contesto, delle procedure più snelle e rapide previste dalla lex fori. Il para. 2°, poi, prevede che un’autorità giurisdizionale di primo grado, salvo impossibilità dovuta a circostanze eccezionali, debba decidere entro sei settimane da quando è stata adita. Il para. 3° completa il quadro prevedendo che in sei settimane (“salvo impossibilità dovuta a circostanze eccezionali”) debbano essere esaurite anche le attività di un eventuale procedimento di impugnazione “dal momento in cui sono state espletate tutte le fasi procedurali richieste e l’autorità giurisdizionale è in grado di esaminare l’impugnazione, mediante udienza o in altro modo” (). 

Come si è visto, il regolamento n. 1111 non interviene direttamente sulla disciplina del procedimento di ritorno prevista in ogni Stato, ma il considerando 42 contiene un’esortazione agli Stati membri a considerare l’opportunità di limitare a uno il numero di impugnazioni possibili avverso una decisione che dispone o nega il ritorno di un minore ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 ().

Gli artt. 25, 26 e 27, dal canto loro, stabiliscono disposizioni di diritto processuale uniforme, in materia, rispettivamente, di risoluzione alternativa delle controversie, di diritto del minore di esprimere la propria opinione nel procedimento di ritorno e di procedura sul ritorno del minore in generale. In effetti, una certa percentuale di procedimenti per il ritorno di minori sottratti viene definita per via conciliativa. L’art. 25, dunque, incoraggia il ricorso a strumenti di A.D.R. in questo contesto stabilendo che “quanto prima possibile e in qualsiasi fase del procedimento”, il giudice adito provveda, direttamente o, se del caso, con l’assistenza delle autorità centrali, a invitare le parti a valutare il ricorso alla mediazione o ad altri mezzi di risoluzione alternativa delle controversie, a meno che ciò non vada contro l’interesse superiore del minore, non sia appropriato nel caso specifico (ad esempio, in caso di violenza domestica) o non ritardi indebitamente il procedimento (). Considerato il limite temporale di sei settimane stabilito per l’esaurimento di ciascuna fase del procedimento, d’altro canto, un eventuale percorso di mediazione dovrà necessariamente essere svolto in parallelo all’esame del caso da parte della corte (), per evitare abusi dello strumento (). 

L’art. 26, dal canto suo, precisa che anche nei procedimenti di ritorno ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 si applica l’art. 21, in materia di ascolto del minore. La questione, in linea teorica, non poteva essere messa in dubbio ma l’esperienza pratica dimostra una certa tendenza delle corti a trascurare tale incombente. 

In materia di procedure di ritorno del minore, l’art. 27 contiene una pluralità di disposizioni di diritto processuale uniforme che integrano non solo la lex fori ma anche le disposizioni della convenzione del 1980. I primi tre paragrafi riguardano, sotto angoli prospettici diversi, il ruolo della parte istante nel procedimento. La persona che chiede il ritorno del minore, in primo luogo, ha il diritto di essere sentita prima che la corte si pronunci: il para. 1° non afferma espressamente tale diritto, ma lo si può desumere dal fatto che, ai sensi di tale norma, senza l’ascolto dell’istante, l’autorità giurisdizionale non possa rifiutare di disporre il ritorno del minore (senza ascolto può ovviamente disporre il rientro). In qualsiasi fase del procedimento, inoltre, conformemente all’art. 15, il giudice può valutare la necessità di assicurare contatti tra il minore e la persona che ne richiede il ritorno, tenuto conto dell’interesse superiore del minore stesso. Il para. 3°, inoltre, per implementare una norma invero poco utilizzata nella prassi (), impone sul giudice che consideri l’eventualità di rifiutare di disporre il ritorno di un minore unicamente in base all’art. 13, comma 1°, della convenzione dell’Aia del 1980, di non esprimere tale rifiuto se la parte che richiede il ritorno la convinca, fornendo prove sufficienti o se l’autorità giurisdizionale stessa è altrimenti convinta, che sono state previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno. Tali misure, per il considerando 45, potrebbero includere, ad esempio, un provvedimento giudiziario dello Stato membro in cui il minore dovrebbe far ritorno che vieti all’istante di avvicinarsi al minore, un provvedimento provvisorio, anche a natura  cautelare, di quello Stato membro che consenta al minore di restare con il genitore sottrattore che ne ha l’affidamento effettivo fino a quando non sia adottata una decisione di merito relativa al diritto di affidamento in quello Stato membro dopo il ritorno, o la dimostrazione della disponibilità di strutture mediche per un minore bisognoso di cure. Il tipo di misura adeguato nel caso specifico dovrebbe dipendere dal grave rischio concreto cui il minore sarebbe verosimilmente esposto in caso di suo ritorno in assenza di tali misure. A questo fine, il para. 4° prevede che l’autorità giurisdizionale adita possa dialogare con le autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato ritorno, direttamente a norma dell’art. 86 o con l’assistenza delle autorità centrali.

Nel disporre il ritorno del minore, l’autorità giurisdizionale può, se del caso, adottare provvedimenti provvisori, inclusi provvedimenti cautelari, ai sensi dell’art. 15 del regolamento al fine di proteggere il minore dal grave rischio di cui all’articolo 13, comma°, lett. b), della convenzione del 1980, purché l’esame e l’adozione di tali provvedimenti non ritardino indebitamente il procedimento di ritorno (). Tali provvedimenti, come si è visto, devono essere riconosciuti ed eseguiti in tutti gli altri Stati membri, compresi gli Stati membri aventi competenza ai sensi del regolamento, fino a quando un’autorità giurisdizionale di un tale Stato membro non abbia adottato i provvedimenti che ritiene appropriati (). Il considerando n. 46, come esempio di tali provvedimenti provvisori, indica la previsione che il minore debba continuare a risiedere con l’effettivo affidatario o la determinazione del modo in cui dovrebbero essere intrattenuti i contatti con il minore dopo il suo ritorno fino a quando l’autorità giurisdizionale della residenza abituale del minore non abbia adottato i provvedimenti che ritiene appropriati. Ciò non dovrebbe pregiudicare eventuali decisioni o provvedimenti dell’autorità giurisdizionale della residenza abituale adottati dopo il ritorno del minore.

8. Un nuovo meccanismo di coordinamento tra gli Stati membri.

Il regolamento n. 2201, come si è visto supra, aveva introdotto un meccanismo integrativo rispetto alle norme della convenzione del 1980, per fare sì che, nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, dopo una decisione di diniego del ritorno da parte del giudice dello Stato “di rifugio” del minore, la parola finale, al riguardo, fosse comunque riservata al giudice dello Stato d’origine: il riferimento è all’art. 11 del regolamento n. 2201 di cui mi sono occupato supra.

Nel regolamento n. 1111, tale meccanismo di coordinamento tra corti nazionali è disciplinato dall’art. 29, con alcune significative innovazioni (). Al riguardo, il considerando 48 fornisce importanti indicazioni, evidenziando che, qualora l’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente decida di negare il ritorno del minore ai sensi della convenzione del 1980, nella sua decisione debba fare esplicito riferimento ai pertinenti articoli della convenzione su cui si fonda il diniego (). Una simile decisione di diniego, sia essa passata in giudicato o ancora soggetta ad impugnazione, può tuttavia essere sostituita da una decisione successiva emessa in un procedimento di affidamento dall’autorità giurisdizionale dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato ritorno. Nel corso di tale procedimento dovrebbero essere esaminate approfonditamente tutte le circostanze, fra cui, ma non solo, il comportamento dei genitori, tenendo conto dell’interesse superiore del minore. Se la conseguente decisione di merito sul diritto di affidamento dovesse comportare il ritorno del minore, quest’ultimo dovrebbe avvenire senza che sia necessario ricorrere a procedimenti particolari per il riconoscimento e l’esecuzione della decisione in altri Stati membri.

In attuazione di tali indicazioni, il para. 1° precisa che l’art. 29 si applica qualora una decisione che nega il ritorno del minore in un altro Stato membro si basi unicamente sull’art. 13, comma 1°, lett. b), o sull’art. 13, comma 2°, della convenzione del 1980. Il riferimento è a due delle ipotesi previste da tale convenzione nelle quali l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore. In particolare, la lett. b) dell’art. 13 esclude il ritorno se sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile. Il para. 2° della norma in esame aggiunge poi l’ipotesi che il minore si opponga al ritorno, qualora abbia raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere. Esulano, dunque, dal meccanismo di coordinamento qui analizzato le ulteriori ipotesi di non ritorno previste dalla convenzione. La nuova norma, dunque, ha un ambito applicativo più ristretto rispetto a quella dell’art. 11 del regolamento Bruxelles II bis, il cui para. 6° fa in generale riferimento ad un rifiuto del ritorno del minore ai sensi dell’art. 13 della convenzione. Viene meno, dunque, l’applicazione del coordinamento tra corti qualora il ritorno sia negato avendo il giudice dello Stato “di rifugio” valutato, ai sensi dell’art. 13, lett. a) della convenzione che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitasse effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o avesse consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno.

Nei casi considerati dall’art. 29, l’autorità giurisdizionale che rende una decisione di non ritorno rilascia d’ufficio un certificato utilizzando il modello di cui all’allegato I. Ai sensi del para. 3° dell’art. 29, inoltre, se, nel momento in cui il giudice rende una decisione di non ritorno del minore ai sensi del para. 1°, un’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento illecito o mancato ritorno è già stata investita di un procedimento di merito relativo al diritto di affidamento, il giudice dello Stato “di rifugio”, se è al corrente di tale procedimento, provvede, entro un mese dalla data della propria decisione, a trasmettere all’autorità giurisdizionale di quello Stato membro, direttamente o tramite le autorità centrali, una copia della sua decisione di non rientro, il certificato rilasciato a seguito di tale pronuncia, e, se del caso, una trascrizione, una sintesi o un verbale delle udienze dinanzi all’autorità giurisdizionale e qualsiasi altro documento reputi pertinente. Tali documenti non devono essere necessariamente tradotti; in effetti, ai sensi del para. 4°, l’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento illecito o mancato ritorno può, se necessario, chiedere a una parte di fornire tale traduzione o traslitterazione ().

Qualora, invece, un procedimento nello Stato d’origine non sia già pendente al momento della decisione di non rientro, il para. 5° prevede che una delle parti possa adire, entro tre mesi dalla notificazione della decisione di cui al para. 1°, un’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento illecito o mancato ritorno appunto per fare accertare nel merito il diritto di affidamento. In tal caso, sarà la parte stessa (e non la corte straniera) a presentare all’autorità giurisdizionale i documenti sopra menzionati. 

In entrambe le ipotesi, il giudice dello Stato d’origine, nel procedimento già pendente o quello all’uopo instaurato, non deve più, come in precedenza, limitarsi a “riesaminare” la decisione straniera di “non ritorno”. Il procedimento, infatti, deve avere ad oggetto, più in generale, la responsabilità genitoriale sul minore sottratto con la precisazione che, nel decidere su tale responsabilità, il giudice della residenza abituale del minore ne possa disporre il rientro senza essere vincolato dalla decisione dell’altro giudice, con un provvedimento destinato a prevalere sul primo. Ai sensi del para. 6° dell’art. 29, infatti, nonostante la decisione contro il ritorno di cui al para. 1°, le decisioni di merito relative al diritto di affidamento risultanti dai procedimenti di cui ai para. 3° e 5° che comportano il ritorno del minore sono esecutive in un altro Stato membro a norma del capo IV del regolamento n. 1111.

In altre parole, nel nuovo art. 29, viene meno il meccanismo di “revisione” previsto dall’art. 11 del regolamento n. 2201 e che in effetti contraddiceva, in qualche modo, il principio della fiducia reciproca posto a base dello spazio europeo di giustizia (), anche se si continua a prevedere la prevalenza della decisione dello Stato d’origine su quella dello Stato di rifugio.  

9. Le nuove deroghe al riconoscimento degli ordini di rientro.

Anche sul piano dell’esecuzione dei provvedimenti sul ritorno del minore sottratto il regolamento n. 1111 interviene a vari livelli.

In primo luogo, l’art. 27, para. 6°, introduce una norma di diritto processuale uniforme che consente al giudice nazionale di dichiarare provvisoriamente esecutiva la decisione che dispone il ritorno del minore, nonostante eventuali impugnazioni, qualora il ritorno del minore prima della decisione sull’impugnazione sia richiesto dall’interesse superiore del minore stesso (). La norma assume rilievo per quegli ordinamenti in cui la proposizione dell’impugnazione abbia un’automatica efficacia sospensiva dell’esecutività di un provvedimento di ritorno.

Sul piano, poi, dell’esecuzione delle decisioni, l’art. 28, para. 1°, dispone che l’autorità competente deve procedere al rapido trattamento della domanda di esecuzione della decisione che dispone il ritorno del minore in un altro Stato membro. Al riguardo, il para. 2° dell’art. 28 prevede che, qualora la decisione che dispone il rientro non sia stata eseguita entro sei settimane dalla data di avvio del procedimento di esecuzione, la parte che richiede l’esecuzione o l’autorità centrale dello Stato membro dell’esecuzione hanno il diritto di chiedere all’autorità competente in materia di esecuzione di indicare i motivi del ritardo. Tale disposizione, nel contesto della cooperazione giudiziaria tra Stati membri, dovrebbe responsabilizzare tale autorità competente a garantire tempi rapidi nell’esecuzione dei provvedimenti di rientro o, almeno, di dare sollecite (e argomentate) ragioni per eventuali ritardi. In quest’ottica, si tratta di uno strumento di “coazione” indiretta.

L’intervento più incisivo, però, riguarda il regime di esecuzione transfrontaliera delle decisioni sul rientro del minore. Come si è visto supra, nel regolamento n. 2201, per tali decisioni era stato introdotto, nell’ambito dello spazio di giustizia europeo, il primo meccanismo di esecuzione automatica di una decisione senza bisogno di exequatur. Il regolamento n. 1111, pur estendendo a tutte le decisioni in materia di responsabilità genitoriale tale meccanismo di esecuzione automatica, continua a prevedere un trattamento diversificato per le decisioni nell’ambito qui in esame. Gli artt. 42 ss., infatti, contengono “disposizioni in materia di riconoscimento ed esecuzione di determinate decisioni privilegiate”, tra le quali rientrano, per quanto ci interessa qui, le decisioni ai sensi dell’art. 29, para. 6°, nella misura in cui esse comportino il ritorno del minore.

Il “privilegio” accordato a tali decisioni è di essere automaticamente riconosciute ed eseguite negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura e, soprattutto, senza che sia possibile opporsi al loro riconoscimento, salvo se e nella misura in cui la decisione sia dichiarata incompatibile con una decisione successiva di cui all’art. 50 (v. in particolare art. 45). L’art. 45, para. 2°, specifica che le autorità giurisdizionali dello Stato membro di origine possono dichiarare tali decisioni provvisoriamente esecutive, nonostante eventuali impugnazioni.

All’esecuzione diretta si può procedere, anche in questo contesto, semplicemente producendo una copia autentica della decisione e il certificato rilasciato dal giudice d’origine ai sensi dell’art. 47, utilizzando il modello di cui all’allegato VI. Il rilascio del certificato è subordinato alla verifica di alcune condizioni, elencate dal para. 3° dell’art. 47 e che ricalcano, in sostanza, quelle previste dall’art. 41 del regolamento n. 2201. Una differenza si nota solo rispetto alla verifica dell’ascolto del minore nel procedimento che ha portato alla decisione da certificare: dove l’art. 41, lett. c) del regolamento n. 2201 richiedeva che il minore avesse avuto la possibilità di essere ascoltato, “salvo che l’audizione non sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità”, il nuovo art. 47, para. 3°, lett. b) richiede che il minore abbia “avuto la possibilità di esprimere la propria opinione ai sensi dell’articolo 21”. Almeno sul piano dell’enunciazione formale, si prospetta qui un requisito più stringente.

Il para. 4° aggiunge, peraltro, che il certificato per una decisione che comporta il ritorno di un minore è rilasciato solo se il giudice ha tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e dei fatti alla base della precedente decisione resa in un altro Stato membro conformemente all’art. 13, comma 1°, lett. b), o all’art. 13, comma 2°, della convenzione dell’Aia del 1980. In altre parole, nel procedimento che si svolge nello Stato “d’origine”, ai sensi dei para. 3° e 5° dell’art. 29, il giudice è chiamato, se non a “rivedere” la decisione straniera di non ritorno, almeno a prendere in considerazione (anche solo per confutarle) le ragioni e le circostanze su cui tale decisione si basa. La valutazione su tale “analisi” è comunque rimessa allo stesso giudice che pronuncia la decisione e non è sindacabile dalle corti di altri Stati. Il rilascio del certificato, d’altro canto, non è soggetto ad alcuna impugnazione fatta eccezione per quelle indicate all’art. 48 (rettifica e revoca del certificato).

Sin qui, sembrerebbe che il regime di esecuzione di queste decisioni “privilegiate” sia sostanzialmente analogo a quello già in precedenza previsto dal regolamento n. 2201. Il regolamento n. 1111, però, introduce elementi di flessibilità all’esecuzione di tali decisioni. In particolare, l’art. 44 prevede la possibilità di sospenderne l’esecuzione, in tutto o in parte, se è stata presentata un’istanza di dichiarazione vertente sull’incompatibilità di tale decisione con una decisione successiva di cui all’art. 50 o se la persona nei cui confronti è chiesta l’esecuzione ha richiesto, conformemente all’art. 48, la revoca di un certificato rilasciato a norma dell’art. 47 (). L’art. 50, in effetti, consente di rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione “privilegiata” se e nella misura in cui la decisione sia incompatibile con una decisione successiva in materia di responsabilità genitoriale relativa allo stesso minore e resa nello Stato membro in cui il riconoscimento è invocato o in un altro Stato membro o nel paese terzo in cui il minore risieda abitualmente, purché la decisione successiva soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro in cui il riconoscimento è invocato. Viene in altre parole enunciato il principio per cui, in materia di responsabilità genitoriale, una decisione successiva sostituisce sempre una decisione anteriore con effetti per il futuro nella misura in cui esse siano incompatibili (considerando 56).

Il regolamento n. 1111 introduce un’ulteriore novità, in questo contesto, nell’art. 49, rubricato: “Certificato comprovante la non esecutività o la limitazione dell’esecutività”. In sostanza, qualora una decisione “privilegiata” certificata in conformità dell’art. 47 abbia cessato di essere esecutiva o la sua esecutività sia stata sospesa o limitata, viene rilasciato, utilizzando il modello standard di cui all’allegato VII, un certificato comprovante la non esecutività o la limitazione dell’esecutività, su richiesta in qualsiasi momento all’autorità giurisdizionale competente dello Stato membro di origine. Tale documento potrà essere depositato nel procedimento in cui sia stata sospesa l’esecuzione della decisione privilegiata, ai sensi dell’art. 44. Si tratta di una innovazione necessaria per garantire che non vi siano discrasie tra eseguibilità della decisione nello Stato di origine ed in quello di esecuzione. 

La novità più dirompente rispetto all’esecuzione (anche) dei provvedimenti sul rientro di un minore sottratto è, però, rappresentata dal nuovo art. 56, ovvero di una delle norme di applicazione generale nel contesto della circolazione delle decisioni attraverso le frontiere introdotte dal regolamento n. 1111. Tale disposizione prevede alcune ipotesi di sospensione del procedimento di esecuzione di una decisione straniera. Assume qui rilievo, in particolare, il suo para. 4°, alla cui stregua, “in casi eccezionali”, su istanza della persona nei cui confronti è chiesta l’esecuzione o, se applicabile ai sensi del diritto nazionale, del minore in questione o di un’altra parte interessata che agisce nell’interesse superiore del minore, l’esecuzione può essere sospesa “se l’esecuzione esporrebbe il minore a un grave rischio di pericoli fisici o psichici a causa di impedimenti temporanei emersi successivamente alla pronuncia della decisione, o in virtù di altri mutamenti significativi delle circostanze.” La norma si preoccupa di aggiungere che “l’esecuzione è ripresa non appena cessi il grave rischio di pericoli fisici o psichici” e che “prima di rifiutare l’esecuzione ai sensi del paragrafo 6”, l’autorità competente in materia di esecuzione debba adottare tutte le misure adeguate a facilitare l’esecuzione conformemente al diritto e alle procedure nazionali nonché all’interesse superiore del minore.

E’, in ogni caso evidente, che la nuova norma infranga il muro dell’esecuzione automatica dei provvedimenti di rientro del minore, introducendo una “deroga” che, seppur qualificata come eccezionale, fa riferimento a situazioni molto generiche e di cui è difficile tracciare in modo netto i confini. Essa, dunque, da un lato introduce un importante elemento di flessibilità, per fare fronte a situazioni di pericolo sopravvenute all’emissione del provvedimento di rientro; dall’altro, però, essa può essere strumentalizzata dal genitore sottrattore per cercare di bloccare in extremis il rientro del minore nello Stato d’origine. 

La preoccupazione a questo riguardo si aggrava alla luce del para. 6° dell’art. 56: esso prevede che, se il grave rischio di cui para. 4° ha carattere permanente, l’autorità competente in materia di esecuzione o l’autorità giurisdizionale può, su richiesta, rifiutare l’esecuzione della decisione. Per tale strada, il rischio che gli ordini di rientro del minore possano restare ineseguiti diviene particolarmente concreto. Vale la pena osservare che il “rifiuto dell’esecuzione”, a differenza dal rifiuto del rientro, non è sottoposto ad alcuna forma di controllo o riesame da parte del giudice dello Stato d’origine.

10. Conclusioni

Per concludere questa rapida disamina delle evoluzioni normative europee in materia di sottrazione di minori, l’impressione è che le nuove disposizioni, con la migliore intenzione di implementare l’efficace esecuzione delle decisioni degli Stati membri, bilanciando al contempo tutti gli interessi in gioco, possa portare al risultato opposto, con l’aggravante che già adesso in questo contesto specifico si avverte il problema dell’ineffettività dei provvedimenti attraverso le frontiere. In materia di esecuzione, in effetti, il tentativo di bilanciare il principio della fiducia reciproca sotteso all’abolizione dell’exequatur con la tutela del prevalente interesse del minore (che consente, in situazioni non precisamente individuate, di negare il riconoscimento automatico e l’esecuzione delle decisioni, comprese quelle “privilegiate”) rischia di mandare in corto circuito il sistema, se le corti nazionali non sapranno operare con maturità e in modo collaborativo (). 

Vi è da dire che il legislatore europeo, sul piano politico, doveva smussare gli spigoli degli automatismi che avevano creato qualche problema “diplomatico” con la Corte europea dei diritti dell’uomo (). Il nuovo sistema, peraltro, offre ampie possibilità, al giudice dell’esecuzione, di frustare l’attuazione dei provvedimenti stranieri, sulla base di “nuove circostanze” non controllabili dalla corte d’origine. 

In questa delicata opera di compromesso, vengono introdotti pesi e contrappesi per disciplinare le attività delle corti “concorrenti”. Ad esempio, le nuove norme in materia di sottrazione di minori che consentono al giudice dello Stato di rifugio di disporre i provvedimenti cautelari più opportuni per garantire il ritorno sicuro del minore dovrebbero ridurre i casi in cui si giustifica il diniego di ordinare il ritorno stesso (). 

Per contro, il rivisto meccanismo dell’art. 29, in caso di diniego di ritorno, nel prevedere lo svolgimento, nello Stato d’origine, di un procedimento sulla responsabilità genitoriale e non un mero riesame della decisione straniera di diniego, allunga i tempi del provvedimento di merito destinato a prevalere, sulla carta, sul rifiuto del ritorno, ciò che di per sé potrebbe ostacolarne l’“automatica” esecuzione (). 

Nella prassi, realisticamente, in tali procedimenti di merito si diffonderà il ricorso a provvedimenti provvisori per ordinare l’immediato rientro del minore nello Stato d’origine, magari sulla base di istruzioni sommarie o poco approfondite. Insomma, il rischio che il livello di competizione tra ordinamenti aumenti invece che diminuire appare concreto.

Le norme, peraltro, sono solo uno strumento per realizzare degli obiettivi. Per quanto riguarda, in particolare, la cooperazione tra le corti nazionali nello spazio di giustizia europeo, appare fondamentale l’implementazione del network giudiziario cui sono dedicati gli artt. 76 e seguenti del regolamento n. 1111. In effetti, la conoscenza reciproca tra i giudici degli Stati membri e la loro capacità di collaborare in modo aperto e leale possono dare concretezza a quella fiducia reciproca che, altrimenti, rischia di restare un concetto astratto

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Michele Lupoi

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