Il fatto
La Corte di Assise di appello di Venezia confermava una pronuncia con cui la Corte di assise di Padova aveva dichiarato l’imputato colpevole dei delitti di omicidio, aggravato ai sensi dell’art. 61 num. 5) cod. pen., nonché di occultamento di cadavere e, per l’effetto, lo aveva condannato alla pena di anni trenta di reclusione, oltre alle pene accessorie di rito e, a pena espiata, alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata minima di anni tre.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la sentenza ricorreva l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, denunziando più motivi per violazioni di legge e vizio di motivazione, trattati congiuntamente e, segnatamente, violazione degli artt. 125, comma 3, 546, comma 1 lett. e) cod. proc. pen., e 111, comma 6, Costituzione.
Si legga anche:
- La differenza tra sospetti e indizi nel processo penale
- Processo penale, la differenza tra prova rappresentativa e prova indiziaria
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva stimato inammissibile per le seguenti ragioni.
Per quello che rileva in questa sede, si osservava a tal proposito, in punto di diritto, innanzitutto come l’indizio, come è noto, sia costituito da circostanza diversa (pur se logicamente collegata) rispetto al fatto da provare ma idonea ad attivare un meccanismo di inferenza logica capace di condurre ad un accettabile risultato di conoscenza di ciò che rileva ai fini del giudizio fermo restando che la sua peculiare forza dimostrativa ha indotto il legislatore a dettare regole di valutazione ispirate a grande cautela posto che il risultato probatorio è, ancorato dall’art. 192, secondo comma, cod. pen. all’esistenza di particolari caratteristiche degli elementi posti a base della suddetta inferenza (gravità, precisione, concordanza), il tutto nell’ambito di una doverosa valutazione unitaria e globale dei dati raccolti.
Ciò posto, veniva altresì osservato come al riguardo la giurisprudenza di legittimità abbia precisato che, nella valutazione di una molteplicità di indizi, è necessaria una preventiva valutazione di indicatività di ciascuno di essi – sia pure di portata possibilistica e non univoca – sulla base di regole collaudate di esperienza e di criteri logici e scientifici, e successivamente ne è doveroso e logicamente imprescindibile un esame globale e unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio possa risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, sì che il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella valutazione unitaria, in modo da conferire al complesso indiziario pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto (cfr. Sez. U n. 33748 del 12.7.2005).
In particolare, il singolo indizio, inteso come dato con contenuto informativo tale da concorrere all’accrescimento della verità contenuta nell’ipotesi di partenza, va sottoposto a verifica al fine di individuarne il «grado di persuasività» (si veda, sul tema, Sez. I n. 42750 del 9.11.2011) fermo restando che non può pretendersi che il giudizio di «gravità» (ossia il peso dimostrativo in rapporto al fatto da provare) sia uguale per ogni singolo dato indiziante, essendo del tutto logica – nell’ambito della valutazione unitaria richiesta dalla norma – la concorrenza di elementi indizianti di maggiore o minore gravità, ferma restando la necessaria (al fine di raggiungere il risultato dimostrativo) «precisione» (intesa come direzione tendenzialmente univoca del contenuto informativo) e «concordanza»(il che implica – almeno sul piano tendenziale – la pluralità dei dati sottoposti a valutazione, la loro convergenza dimostrativa e, in ogni caso, l’assenza di dati antagonisti, di ‘smentita’).
Il diverso grado di gravità del singolo indizio, inoltre, influisce sulla valutazione complessiva nel senso che, come è stato ribadito, di recente «in tema di prova indiziaria, il requisito della molteplicità, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravità sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi, quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto» (Sez. V n. 36152 del 0/04/2019) tenuto conto altresì del fatto che, al contempo, la prova indiziaria, proprio in rapporto alle sue caratteristiche ontologiche, non può – per definizione – offrire una rappresentazione del fatto sovrapponibile a quella di una prova diretta avendo la Cassazione, in più occasioni, ha affermato che il procedimento logico deve condurre alla conclusione caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale, quindi, alla certezza processuale che, una esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta sia attribuibile all’agente come fatto proprio (Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013; Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020).
In presenza di dati indizianti, peraltro, rileva la Cassazione nella pronuncia qui in commento, è sempre necessario l’apprezzamento di ulteriori circostanze fattuali posto che il giudicante deve porsi il problema della compatibilità di tali risultanze con l’ipotesi di accusa essendo evidente che, lì dove emergano dati idonei a minare detta compatibilità, il procedimento logico ricostruttivo subisce una frattura mentre i dati compatibili con l’ipotesi formulata, pur avendo una portata conoscitiva non decisiva, finiscono con il concorrere al raggiungimento del risultato dimostrativo nell’ambito della verifica di compatibilità dell’ipotesi ricostruttiva globale con gli altri dati raccolti nel processo, al fine di escludere l’emersione di dati antagonisti.
Oltre a ciò, veniva altresì rilevato come la Cassazione abbia a questo proposito affermato che, in sede di motivazione, la prospettazione di ipotesi deve ritenersi vietata quando il giudice intenda trarre da esse, e non da fatti obiettivamente accertati, la prova della colpevolezza ma un tale divieto non sussiste e non potrebbe logicamente sussistere quando, in presenza di altri elementi non ipotetici ed idonei a dimostrare la colpevolezza, il giudice debba affrontare l’esame delle risultanze che si assumano come potenzialmente idonee a vanificare la loro valenza visto che, in tal caso, il giudice altro non potrà fare se non verificare, ricorrendo necessariamente a delle ipotesi, se le dette risultanze siano in effetti compatibili o meno con la ricostruzione dei fatti in chiave accusatoria, la quale, peraltro, anche in caso di esito positivo di detta verifica, rimarrà comunque basata sulle prove acquisite e non sulle ipotesi formulate in funzione della verifica stessa (così Sez. I n. 3754 del 13.3.1992).
Inoltre, dal momento che l’oggetto del giudizio di legittimità non è l’esame delle possibilità rappresentative – anche plausibili – del fatto, ma il controllo sulla opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, il Supremo Consesso giungeva alla conclusione secondo cui la verifica, in merito all’applicazione dei canoni logici e normativi del procedimento indiziario che presidiano l’attribuzione del fatto all’imputato, passa necessariamente attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sedé di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012) fermo restando che, neanche il canone decisorio secondo cui la colpevolezza dell’imputato deve risultare «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533 cod. proc. pen. come novellato dalla legge n.46 del 2006), consente- di fatto – l’esame del merito, ma si pone come criterio generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque la tenuta dimostrativa) delle affermazioni probatorie contenute nella sentenza impugnata (sicchè il mancato rispetto del criterio rifluisce come ipotesi particolare di «apparenza» di motivazione, secondo quanto affermato da Sez. VI n. 8705 del 24.1.2013) tenuto conto altresì del fatto che il dubbio, per determinare l’ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, è solo quello «ragionevole» e cioè quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare (in tal senso Sez. I n. 3282 del 2012 del 17.1.1.2011).
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo in essa stabilito in cosa deve consistere la verifica che deve fare Cassazione in merito alla corretta applicazione dei canoni logici e normativi del procedimento indiziario da parte dei giudici di merito.
Difatti, in tale pronuncia, dopo essere stata compiuta una minuziosa analisi della prova indiziaria così come regolata dall’art. 192, co. 2, cod. proc. pen., e come ogni singola prova indiziaria può influire su un’altra, citandosi precedenti conformi, si afferma che la verifica, in merito all’applicazione dei canoni logici e normativi del procedimento indiziario che presidiano l’attribuzione del fatto all’imputato, passa necessariamente attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sedé di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa fermo restando che il dubbio, per determinare l’ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, è solo quello «ragionevole» e cioè quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare.
Tale provvedimento, pertanto, può essere preso nella dovuta considerazione per verificare se il giudice di merito abbia fatto buon governo dei canoni logici e normativi del procedimento indiziario che presidiano l’attribuzione del fatto all’imputato atteso che, ove ciò non si sia verificato, ben si potrà ricorrere per Cassazione.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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