Nell’ambito delle possibilità di controllo attuabili dal datore di lavoro trova spazio una particolare categoria di “controllo” definito controllo difensivo. Il controllo difensivo è un concetto di elaborazione giurisprudenziale risalente nel tempo che identifica quell’attività posta in essere dal datore di lavoro diretta ad accertare comportamenti illeciti e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale nei confronti di uno o più lavoratori. La peculiarità dell’esercizio di questo potere risiede nel fatto che lo stesso si situi al di fuori del perimetro di applicabilità dell’art. 4 Stat.lav. che, come è noto, offre una serie di tutele (l’autorizzazione sindacale o dell’ispettorato del lavoro) al fine di scongiurare l’utilizzo di strumenti audiovisivi al fine di controllare l’attività dei lavoratori.
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La portata innovativa del Jobs Act e le sue criticità in materia di controllo difensivo
Com’è noto, la materia dei controlli a distanza è stata oggetto di una considerevole novella ad opera dell’art. 23 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, (il c.d. Jobs Act). Con tale intervento novellatore il legislatore ha voluto rispondere alle ripetute critiche rivolte all’art. 4, St. lav., considerato obsoleto ed inadatto, specialmente a fronte della forza espansiva delle nuove tecnologie. Dunque, la nuova versione della norma citata ribadisce nel primo comma la scelta di base di circoscrivere l’installazione e l’utilizzo degli strumenti deputati al controllo a distanza unicamente nelle fattispecie in cui sia riscontrabile un’esigenza aziendale qualificata e sia stata esercitata con esito positivo la procedura in sede sindacale o amministrativa. Tuttavia, nel nuovo testo, viene riconosciuta una nuova esigenza oggettiva che consente l’avvio della procedura di garanzia: accanto alle esigenze di natura organizzativa, produttiva e di sicurezza dei lavoratori il legislatore ha voluto aggiungere anche quella della tutela del patrimonio aziendale. Ancora, nel secondo comma è chiaro come il legislatore liberalizzi il ricorso «agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze», sottraendoli all’applicazione del comma d’esordio. Nel terzo comma dell’art. 4 St. lav. si assoggetta, poi, la facoltà di impiegare le risultanze dei controlli compiuti alla condizione del preventivo adempimento ad opera del datore dell’onere di informativa sulle «modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli» e del rispetto della normativa sulla privacy.
Sin da subito la dottrina ha evidenziato l’ambiguità della norma in questione in considerazione del fatto che il nuovo testo (art. 4 co.1, Legge n. 300/1970) ricomprende tra le esigenze oggettive dell’impresa per richiedere l’installazione di impianti di videosorveglianza anche quelle di “tutela del patrimonio aziendale”. Pertanto l’interrogativo riguarda la sopravvivenza del controllo difensivo. Ricordiamo che il controllo difensivo – istituto di origine giurisprudenziale – aveva sino ad ora risposto all’esigenza del datore di lavoro, previa presenza di fondati sospetti, di provvedere autonomamente all’installazione di impianti di videosorveglianza (anche occulti) al fine di tutelare i beni aziendali ed accertare la commissione di illeciti da parte dei lavoratori. Pertanto, la giurisprudenza di merito e la dottrina si sono poste la questione della sopravvivenza dei controlli difensivi in considerazione della parvenza di un assorbimento di detta categoria di controlli all’interno di quelli normati dal nuovo art. 4.
A tal proposito, la giurisprudenza di merito ha fornito una chiara risposta interpretativa con la recentissima sentenza n. 25732/2021[1]. Nello specifico il caso riguarda una lavoratrice che aveva impugnato il proprio licenziamento in tronco motivato dal fatto che, in un accesso al suo computer aziendale, era stata rilevata la presenza di numerosi siti scaricati per ragioni private, tra i quali, inoltre, uno conteneva un virus che aveva infettato tutta la rete del sistema informatico aziendale. Il giudizio ha posto per la prima volta, alla luce del nuovo testo dell’art. 4 S.L., il tema della legittimità dei c.d. controlli difensivi.
Dopo una comparazione con la precedente normativa la Corte scioglie il nodo della questione precisando che il nuovo testo dell’art. 4 consente i controlli difensivi generali, riguardanti tutta una generalità di dipendenti, ai quali applica la propria disciplina. Tuttavia dalla disciplina in questione restano fuori i controlli singoli, che la Corte ritiene legittimi e i risultati utilizzabili a condizione che siano motivati dall’esistenza di eventi eccezionali e da concreti indizi di un’attività illecita dei singoli indagati. Pertanto, la Corte sottolinea la sopravvivenza dei controlli difensivi anche alla luce della nuova normativa.
La tesi della sopravvivenza dei “controlli difensivi”, richiamata dalla giurisprudenza interna, sotto il profilo della sua compatibilità con la tutela della riservatezza di cui all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trova conforto nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, in particolare nella sentenza della Grande Camera del 17 ottobre 2019, riguardante il caso Lopez Ribalda c. Spagna[2]. Il caso affrontato dalla Corte EDU riguardava un gestore di un supermercato, il quale, dopo aver riscontrato discrepanze tra le scorte di magazzino e gli incassi – e sospettando che ciò dipendesse da illecite condotte appropriative di beni e/o denaro aziendale poste in essere da uno o più dipendenti – aveva installato all’interno del negozio dei dispositivi di videoripresa all’insaputa dei lavoratori, in una posizione che consentiva la sorveglianza generalizzata ed indistinta di tutto il personale. In tal modo il datore di lavoro appurava che le condotte sospettate si verificavano effettivamente. La Corte europea ha ritenuto la legittimità dell’iniziativa datoriale, in quanto proporzionata rispetto al fine (in sé legittimo) di tutelare l’interesse organizzativo-patrimoniale del datore di lavoro, ritenendo quindi che le corti nazionali avessero correttamente valutato che le misure adottate a tutela della privacy dei ricorrenti erano appropriate. La Corte europea ha osservato che : « […] se non è accettabile la posizione secondo cui anche il minimo sospetto di appropriazione illecita possa autorizzare l’installazione di strumenti occulti di videosorveglianza, tuttavia l’esistenza di un ragionevole sospetto circa la commissione di illeciti connotati da gravità e la prefigurazione dell’entità dei danni economici che possono derivarne, cosi come avvenuto nel caso concreto, possono costituire giustificazione legittimante di peso sufficiente grave. […] ».
Il controllo del lavoratore deve avvenire ex Post
La pronuncia della giurisprudenza interna sui controlli difensivi affronta anche il tema della ratione temporis del controllo stesso. In relazione al tema ricordiamo che la giurisprudenza formatasi prima della riforma dell’art. 4 Legge n. 300/1970 riteneva, i controlli difensivi, esulanti dall’ambito applicativo della norma e tuttavia leciti in presenza di due condizioni necessarie e di una eventuale:
1) l’iniziativa datoriale doveva avere la finalità specifica di accertare determinati comportamenti Illeciti del lavoratore;
2) gli illeciti verso i quali si rivolgeva l’attività di accertamento dovevano essere lesivi del patrimonio o dell’immagine aziendale;
3) infine, unica condizione eventuale, era che i controlli fossero stati disposti ex post, ossia dopo la consumazione del comportamento in addebito, così da prescindere da una mera sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa.
Quest’ultimo presupposto era da considerare come eventuale, poiché ritenuto, per lo più, un fattore avente funzione meramente confermativa. Pertanto, esso poteva mancare, essendo sufficiente il mero sospetto circa l’esecuzione di illeciti, quale ulteriore requisito di legittimità del controllo difensivo, senza che la natura difensiva del controllo venisse in astratto meno.
L’interpretazione della nuova normativa invece – così come statuito con la sentenza Cass. n. 25731/2021[3] – sottolinea imprescindibile presupposto che il controllo sia disposto ex post. Il caso affrontato dalla Corte riguarda il controllo datoriale ed in particolare l’accesso a una chat aziendale effettuato per ragioni di manutenzione ed eventuale conservazione di dati. Nell’ambito di detta attività l’impresa aveva accertato che una dipendente aveva utilizzato la chat per criticare pesantemente con una collega il comportamento di altre colleghe e di una superiore gerarchica. In sede di giudizio, promosso dalla dipendente per l’annullamento del conseguente licenziamento motivato esclusivamente in considerazione del contenuto della chat, la Cassazione ha annullato il licenziamento in ragione dell’inutilizzabilità dei dati così estratti dall’impresa (dalla chat in questione), poichè il controllo non era stato preceduto dalla comunicazione ai lavoratori dei controlli che sarebbero stati svolti ex post sulla chat, ai sensi del 2° e 3° comma del nuovo testo dell’art. 4 L. n. 300/1970.
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Bibliografia
– Cass. 22 settembre 2021, n. 25731;
– Cass. 22 settembre 2021, n. 25732;
– Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 17 ottobre 2019, ricorsi nn. 1874/13 e 8567/13, Caso López Ribalda c. Spagna in Hudoc database.
Note
[1] Cass. 22 settembre 2021, n. 25731.
[2] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 17 ottobre 2019, ricorsi nn. 1874/13 e 8567/13, Caso López Ribalda c. Spagna in Hudoc database.
[3] Cass. 22 settembre 2021, n. 25732
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