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Con l’approvazione dell’emendamento, che ora passa la vaglio della Camera, i controlli dei datori di lavoro dovrebbero risultare più semplici, in quanto, previo aggiornamento del registro dei trattamenti con riferimento alla conservazione dei green pass ed adeguamento dell’informativa, i lavoratori potranno acconsentire a consegnare il green pass ai datori di lavoro, di fatto snellendo di gran lunga le procedure di verifica.
Le motivazioni del Garante
Il Garante ha immediatamente ufficializzato il proprio dissenso, basandolo essenzialmente su tre punti:
- Primo, il datore di lavoro non è autorizzato a trattare dati sanitari dei propri dipendenti, che possono essere trattati unicamente dal medico competente, il quale si pone come Titolare autonomo e può comunicare esclusivamente l’idoneità o meno alla mansione al datore.
- Secondo, il consenso dei lavoratori come presupposto di legittimità del trattamento risulta essere una base labile, in quanto nel rapporto datore-dipendente il consenso, che per sua natura deve essere libero, non viene mai considerato del tutto tale, per il particolare rapporto di possibile “sudditanza psicologica” esistente in capo al lavoratore nei confronti del suo “capo”.
- Terzo, ma non ultimo, infine, se il datore di lavoro accettasse di conservare i green pass, si sobbarcherebbe un conseguente onere di conservazione di una mole di dati non indifferente, per la quale dovrebbe approntare misure tecniche ed organizzative adeguate e costose, con impatto anche sulla finanza pubblica nel caso delle Pubbliche Amministrazioni.
A margine di queste considerazioni che entrano nel merito della normativa anche comunitaria che regola il green pass, il Garante ha aggiunto una riflessione relativa alla finalità di tutela della sanità pubblica, che sembrerebbe meglio attuata con un controllo continuativo del certificato, che consentirebbe di verificarne gli aggiornamenti, le eventuali revoche o sospensioni, piuttosto che una verifica una tantum da conservarsi fino alla data di scadenza.
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Alcune riflessioni
Tuttavia, a parere di chi scrive, non appare convincente quest’ultima obiezione, sia perché la positività al virus ha canali di comunicazione obbligatoria ufficiali e rapidi, sia perché delle due è l’una: o il datore non può e non deve conoscere i dati sanitari del proprio dipendente, e dunque, in linea teorica, nemmeno la positività al virus, oppure ha questa possibilità, e quindi le critiche all’emendamento andrebbero a cadere.
Da ultimo preme ricordare che i soggetti privi di green pass perché esentati dal vaccino per motivi di salute, sono ancora in attesa di un proprio QR code personalizzato che fornisca anche a loro l’agognata spunta verde, senza dover mostrare al datore la propria storia clinica, in evidente contrasto con la normativa, con il principio di minimizzazione e soprattutto in situazione di palese discriminazione rispetto a tutti gli altri.
Ad oggi infatti costoro possono dimostrare di essere esenti dal certificato solo esibendo la certificazione di esenzione del vaccino rilasciata dalla ASL di competenza, che deve essere redatta conformemente alle linee guida delineate dal Ministero della Salute già dal mese di agosto. Il decreto green pass prevedeva che sarebbero stati generati codici specifici, che a tutt’oggi non sembrano ancora essere stati implementati. Per maggiori informazioni sui soggetti esenti al green pass CLICCA QUI.
Possiamo quindi prevedere che la strada per arrivare ad una pacificazione e corretto bilanciamento tra le esigenze di tutela della salute e della riservatezza sia ancora lunga, nella speranza che tra i due litiganti sia il terzo incomodo, ovvero il virus, a stancarsi prima e decidere di abbandonare la partita.
Per avere una guida operativa e strumenti utili per la gestione del rischio nelle attività commerciali e nelle aziende aggiornata al decreto legge n. 127 del 21 settembre 2021 (estensione obbligo Green Pass), consigliamo:
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