Illegittimo l’obbligo di affidare all’esterno i contratti di lavori, servizi e forniture

La previsione dell’obbligo, a carico dei titolari di concessioni affidate direttamente, di esternalizzare tutta l’attività oggetto della concessione costituisce una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine di garantire l’apertura al mercato e alla concorrenza.

La Corte costituzionale censura l’obbligo di esternalizzare, mediante affidamenti a terzi con procedura di evidenza pubblica, l’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture, relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro, nonché di realizzare la restante parte di tali attività tramite società in house o società controllate o collegate ovvero operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

L’incostituzionalità dell’articolo 177 del Codice dei contratti pubblici

La Corte costituzionale, sentenza n.218 del 24 novembre 2021, ha dichiarato l’incostituzionalità̀ dell’articolo 177 del Codice dei contratti pubblici e dell’articolo 1, comma 1, lettera iii), della relativa legge di delega, perché́ il perseguimento della finalità di garantire l’apertura al mercato e alla concorrenza incontra il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione degli interessi dei soggetti coinvolti, protetti dalla garanzia dell’articolo 41 della Costituzione.

Il necessario bilanciamento tra tutela della concorrenza e libertà d’iniziativa economica privata

La pronuncia statuisce che il legislatore ha facoltà di intervenire a limitare la libertà d’impresa in funzione della tutela della concorrenza.

Nel dettaglio ponendo rimedio, attraverso gli obblighi di esternalizzazione, al vulnus derivante da passati affidamenti diretti, avvenuti al di fuori delle regole del mercato.

Tuttavia, la libertà d’impresa non può subire interventi che ne determinino un radicale svuotamento, come avverrebbe sacrificando completamente la facoltà dell’imprenditore di compiere le scelte organizzative tipiche della stessa attività imprenditoriale.

La Corte ha ritenuto che il legislatore, stabilendo un obbligo particolarmente incisivo e ampio, ha omesso di considerare non solo l’interesse dei concessionari ma anche quelli dei concedenti, degli eventuali utenti del servizio e del personale occupato nell’impresa.

Tali interessi, per quanto comprimibili nel bilanciamento con altri ritenuti meritevoli di protezione da parte del legislatore, non possono essere completamente ignorati.

La libertà di iniziativa economica privata quale limite interno alle misure volte a tutelare la concorrenza

La libertà di iniziativa economica privata viene invocata dal giudice rimettente quale limite “interno” alle misure finalizzate ad assicurare la concorrenza. Nel dettaglio, la Corte costituzionale ha verificato in quale misura la libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost. possa essere limitata in nome della tutela della concorrenza, la quale trova nella medesima disposizione il suo fondamento costituzionale.

Libertà d’iniziativa economica e limiti al suo esercizio devono costituire oggetto, nel quadro della garanzia offerta dall’art. 41 Cost. di una necessaria operazione di bilanciamento degli interessi meritevoli di tutela adeguando al caso concreto tale operazione.

Nello stabilire un obbligo di tale incisività e ampiezza applicativa il legislatore all’articolo 177 del Codice dei contratti pubblici e dell’articolo 1, comma 1, lettera iii), ha omesso del tutto di considerare l’interesse dei concessionari che, per quanto possano godere tuttora di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, esercitano un’attività di impresa per la quale hanno sostenuto investimenti e progetti, riponendo un relativo affidamento nella stabilità del rapporto instaurato con il concedente. Affidamento che riguarda anche la prestazione oggetto della concessione, e quindi l’interesse del concedente, degli eventuali utenti del servizio, nonché del personale occupato nell’impresa.

Tali interessi sopra citati, per quanto comprimibili nel bilanciamento con altri ritenuti meritevoli di protezione da parte del legislatore, non possono essere tuttavia completamente pretermessi, come risulta essere accaduto invece nella scelta legislativa in esame.

Per queste stesse ragioni, l’introduzione di un obbligo radicale e generalizzato di esternalizzazione, come quello disposto nella normativa censurata, non supera la verifica di proporzionalità.

In definitiva, il legislatore sarebbe stato tenuto a perseguire l’obiettivo di tutela della concorrenza, non attraverso una misura radicale e ad applicazione indistinta, ma calibrando l’obbligo di affidamento all’esterno sulle varie e alquanto differenziate situazioni concrete.

Dott.ssa Laura Facondini

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