La posizione assunta dalla Giunta dell’Unione Camere penali italiane sulle misure adottate dal Governo con il decreto legge n. 1/2022 ed il diritto di difesa:

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La posizione assunta dalla Giunta dell’Unione Camere penali italiane sulle misure adottate dal Governo con il decreto legge n. 1/2022 ed il diritto di difesa: vediamo in cosa consistono

Come è noto, per effetto dell’art. 3 del decreto legge n. 1/2022, l’art. 9-sexies, co. 4, decreto legge, 22 aprile 2021 n. 52, convertito, con modificazioni, nella legge, 17 luglio 2021, n. 87, adesso prevede che le “disposizioni di cui ai commi 1 e 6 e, in quanto compatibili, quelle di cui ai commi 2 e 3 si applicano anche al magistrato onorario e ai giudici popolari, nonché ai difensori, ai consulenti, ai periti e agli altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia”.

Tal che ne consegue che, per effetto del decreto del 2022, anche per i difensori vige l’obbligo in base al quale non è più possibile accedere agli uffici giudiziari se non si possiede e, su richiesta, non si esibisce la certificazione verde COVID-19.

Ciò posto, ove invece si verifichi una situazione di tal genere, sempre per effetto di quanto statuito nel decreto legge n. 1/2022, l’“assenza del difensore conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde COVID-19 di cui al comma 1 non costituisce impossibilità di comparire per legittimo impedimento” (così: il nuovo comma 8-bis dell’art. 9 sexies succitato).

Orbene, fatto questo richiamo normativo, va osservato che la Giunta dell’Unione Camere Penali italiane, con comunicato dell’11 gennaio del 2022, ha preso posizione su tale intervento legislativo.

In particolare, dopo essersi fatto presente che l’“estensione alla categoria professionale degli avvocati dell’obbligo di esibizione del green pass per l’accesso agli uffici giudiziari, oltre che del generale obbligo vaccinale per chi abbia compiuto il cinquantesimo anno di età, sta comprensibilmente determinando fermento e dibattito”, la Giunta rileva che meno “comprensibile è che il giurista, nell’esprimersi sulla complessa problematica, ritenga di potersi affrancare dal vincolo rigoroso dei principi generali dell’ordinamento, che egli è tenuto a conoscere ed all’interno dei quali egli dovrà necessariamente organizzare il proprio pensiero” tenuto conto che, se il “tema del rapporto tra libertà personale, diritto alla salute individuale e diritto alla salute collettiva è stato arato per decenni e decenni dalla dottrina e dalla giurisprudenza, innanzitutto della Corte Costituzionale”, nulla “di nuovo viene oggi proposto da questa pandemia da Sars Covid-19”, essendo “pacificamente certo che la legge possa imporre ai cittadini un trattamento sanitario obbligatorio, ed ancor più misure di prevenzione sanitaria limitative dell’esercizio dei diritti individuali, seppure in conclamate condizioni di eccezionalità, le quali mettano in pericolo -in termini peraltro non generali, ma specificamente individuati- il diritto collettivo alla salute” stante il fatto che, anche “in tale estrema ipotesi, il trattamento sanitario obbligatorio (che potrà essere imposto solo per legge) non potrà mai sacrificare il diritto alla salute individuale, cioè non potrà mai consistere in un trattamento pericoloso o potenzialmente dannoso per l’individuo che ad esso sia sottoposto” alla luce “di decenni di giurisprudenza costituzionale e di consolidati e ricchissimi dibattiti dottrinali, che costituiscono diritto vivente ben noto (o così dovrebbe essere) al giurista”.

Ebbene, a fronte di ciò, ad avviso di questo organo dell’Unione delle Camere penali italiane, sorprende “che, di fronte a misure adottate con l’esplicito richiamo a quei presupposti eccezionali, siano proprio avvocati a porre, in termini del tutto impropri, il tema del diritto di difesa, in sostanza invocato come (fino ad oggi sconosciuto) limite esterno alla tutela della salute collettiva garantita dall’art. 32 della Costituzione”, in quanto se è “certamente legittimo contestare le premesse generali dell’imposizione del trattamento sanitario obbligatorio (e comunque delle misure sanitarie limitative dell’esercizio del diritto di difesa), negando cioè che sussistano nel Paese le condizioni sanitarie di eccezionale emergenza giustificative della limitazione delle libertà e dei diritti individuali (alla salute individuale, alla intangibilità del proprio corpo, alla libertà di movimento, e dunque anche al libero esercizio del diritto di difesa)”, è invece a suo avviso “inconcepibile -come leggiamo in alcune prese di posizioni forensi- riconoscere la legittimità della premessa -stato generale di eccezionale messa in pericolo della salute pubblica- ed al tempo stesso opporre ad essa, con pretesa dunque immotivatamente derogatoria, il limite esterno del diritto di difesa”.

“Si mettano dunque liberamente in discussione le premesse dello stato di eccezione, se si hanno argomenti seri, solidi, condivisi dalla comunità scientifica internazionale, per revocare in dubbio la legittimità e la correttezza delle valutazioni operate dai soggetti cui -anche questo sarà bene che il giurista non lo dimentichi- l’ordinamento affida le posizioni di garanzia in materia sanitaria; ma, ove a ciò non si proceda, si eviti, proprio perché avvocati e giuristi, di invocare disordinatamente ed in modo meramente agitatorio conflitti con l’esercizio del diritto di difesa fuori da ogni parametro di serietà argomentativa”.

Difatti, per questo organismo, il “decreto-legge oggi in questione pretende dall’avvocato che voglia entrare negli uffici giudiziari lo stesso tampone o certificato vaccinale che, incontestatamente, viene al medesimo richiesto per entrare in qualsivoglia pubblico esercizio”, dovendosi esibire, ora come in questi casi, l’uno o l’altro certificato per potere esercitare liberamente la propria attività professionale anche negli uffici giudiziari.

Ciò posto, quanto all’eventuale obbligo vaccinale richiesto all’avvocato, sempre per questa Giunta, “il tema della legittimità è esattamente il medesimo che riguarda ogni altro cittadino, per esempio il medico di fiducia non vaccinato, rispetto al quale dovrebbe allora invocarsi la tutela del diritto costituzionale alla salute del paziente che a lui intenda affidarsi fiduciariamente” e non “vi è dunque ragione per immaginare, una volta accettata o comunque non contestata la esistenza di uno stato di pericolo per il diritto costituzionale alla tutela della salute collettiva quale premessa dell’intervento normativo in contestazione, soluzioni derogatorie invocate con argomenti inconferenti con quella decisiva premessa, ed incoerenti con il sistema di principi costituzionali da decenni sedimentatosi nel nostro ordinamento giuridico”.

Questa è dunque la posizione Non resta quindi che aspettare se ci saranno repliche (di segno contrario) da parte di altri organismi rappresentativi dell’avvocatura.

 

 

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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