Occorre, quindi, che il Supremo Consesso chiarisca se, per impugnare i titoli edilizi altrui, il requisito della vicinitas, inteso quale stabile collegamento tra il ricorrente e l’area dove si trova il bene oggetto del titolo in contestazione, sia sufficiente a fondare insieme la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso, quali condizioni dell’azione di annullamento.
Indice:
- Il criterio della vicinitas
- L’Adunanza Plenaria numero 22 del 9 dicembre 2021: il fatto
- L’Adunanza Plenaria numero 22 del 9 dicembre 2021: il diritto
1. Il criterio della vicinitas
L’articolo 38 comma 1 del D.P.R. numero 380 del 6 giugno 2001 stabilisce che in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale.
La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
Il comma 2 precisa che l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36.
La norma in commento tutela l’affidamento nella correttezza dell’operato della Pubblica Amministrazione ingeneratosi nel privato a seguito dell’ottenimento del titolo edilizio, introducendo una deroga al principio generale che vuole la necessaria demolizione delle opere edilizie abusive.
Anche in materia edilizia la giurisprudenza ritiene necessario che il provvedimento di autotutela illustri in motivazione la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’adozione dell’atto di ritiro, tenuto conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, non essendo sufficiente il riferimento all’astratta esigenza di ristabilire l’ordine giuridico violato.
Il presupposto applicativo dell’articolo 38 del D.P.R. numero 380 del 2001 è costituito dall’annullamento, disposto ad opera del Giudice Amministrativo o della stessa Pubblica Amministrazione, del permesso di costruire a causa della sussistenza di vizi di legittimità.
Per quanto riguarda l’annullamento giurisdizionale, il permesso di costruire è ritenuto, da una giurisprudenza costante, impugnabile da parte dei soggetti che si trovino in una condizione di vicinitas con l’area interessata dall’intervento edilizio.
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“Titolo edilizio, indispensabile iniziare i lavori per evitare la decadenza”
di Diana Vitale – 17 novembre 2021 – Diritto.it
Tale condizione ricorre in caso di stabile collegamento materiale tra l’immobile del ricorrente e quello oggetto dai lavori, che deve essere in concreto valutato dal giudice non solo avendo riguardo al dato formale della distanza tra gli immobili, ma anche in relazione all’entità e alla destinazione dell’immobile.
Il ricorrente è, inoltre, esonerato dalla dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio alla propria situazione soggettiva, posto che quando si tratta di abusi edilizi il danno è ritenuto sussistente in re ipsa, alla luce dell’impatto che ogni edificazione abusiva produce sulla visuale e comunque sull’equilibrio urbanistico del contesto e l’armonico e ordinato sviluppo del territorio.
Con la sentenza numero 3418 del 2018, il Tar Lazio-Roma, Sezione III-ter, nell’ambito di una complessa controversia, ha trattato dell’ampliamento della legittimazione ad agire in giudizio[1].
In questa direzione, pertanto, il Tribunale ha accolto una interpretazione elastica del criterio della vicinitas.
Il Tar, pur ammettendo che la sussistenza del requisito della vicinitas è conditio sine qua non perché si determini una posizione differenziata e qualificata, riconosce a questo un valore elastico, ossia lo stabile collegamento tra la sfera giuridica dei ricorrenti ed il territorio oggetto di intervento deve essere esteso “in ragione proporzionale all’ampiezza e rilevanza delle aree coinvolte, come nel caso di interventi rilevanti che incidono sulla qualità della vita dei residenti”.
In altri termini, legittimati ad agire non sarebbero solo quei soggetti proprietari dei terreni adiacenti al luogo dei lavori, ma anche coloro che possiedono degli immobili distanti da questo e che, però, data l’incidenza degli interventi, subiscono gli effetti nocivi delle opere realizzate su di esso.
2. L’Adunanza Plenaria numero 22 del 9 dicembre 2021: il fatto
La questione rimessa all’esame della Adunanza Plenaria concerne il requisito della vicinitas: per impugnare i titoli edilizi altrui, il criterio della vicinanza, inteso quale stabile collegamento tra il ricorrente e l’area dove si trova il bene oggetto del titolo in contestazione, è sufficiente a fondare insieme la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso, quali condizioni dell’azione di annullamento?
Il fatto è il seguente: il Comune di Palermo rilasciò ad A e B la concessione edilizia numero 81 del 2011 per la realizzazione di una villetta residenziale bifamiliare sul terreno sito in via Alfa, contraddistinto in catasto con il foglio di mappa x, particelle numeri xxx e xxx, come risultanti da un duplice frazionamento autorizzato dal Comune che aveva riguardato quota parte della particella originaria xxx.
Tale concessione di lì a breve fu volturata in favore di C, divenuto acquirente e nuovo proprietario del bene immobile contraddistinto dalle particelle xxx e xxx in forza di atto di compravendita del 2011.
A e B rimasero proprietari dell’immobile, già edificato, iscritto al foglio x quota residuale della particella xxx.
Tutti questi immobili sono inseriti nel residence denominato Green Paradise.
Avverso la concessione numero 81 del 2011, e prima ancora avverso il frazionamento che l’aveva preceduta, proposero ricorso chiedendone l’annullamento, D ed E, proprietari di un immobile sempre sito alla via Alfa, deducendo una serie di vizi concernenti il mancato rispetto delle distanze, sia nei confronti delle costruzioni vicine che rispetto al confine con le altre proprietà, lamentando la violazione dell’articolo 30 del DPR numero 380 del 2001, degli articoli 2, 3 e 56 del regolamento edilizio del Comune, degli articoli 873 e 878 del codice civile, dell’articolo 9 del DM numero 1444 del 1968.
Con sentenza numero 663 del 6 marzo 2012, il TAR dichiarò il ricorso in parte inammissibile e in altra parte infondato.
Il TAR ritenne che la violazione delle distanze tra le proprietà non arrecasse nessun pregiudizio alla parte ricorrente, rilevando, inoltre, come tra i primi fosse intervenuto un accordo negoziale in forza del quale A e B avevano rinunciato al rispetto della distanza nei confronti di C.
L’esito della verificazione, rinnovata in corso di causa, affidandola, la seconda volta, al direttore del Dipartimento di ingegneria civile ed architettura dell’Università degli studi di Catania, ha condotto il giudice dell’appello a respingere tutti i motivi del ricorso, oltre alla domanda di risarcimento del danno ad eccezione del settimo, per il quale la causa è stata rimessa all’Adunanza Plenaria.
Il settimo motivo concerne la censura riferita alla violazione della distanza tra la costruzione di proprietà di C e quella di proprietà di A e B, in ordine alla quale il verificatore ha accertato che sebbene sia stata rispettata la distanza minima di cinque metri dal confine, non è stata invece rispettata la distanza minima di dieci metri tra i fronti dei due fabbricati, entrambi provvisti di finestra.
Alla luce di tale esito istruttorio la sezione rimettente rileva come sarebbe stato violato l’articolo 9 del DM 1444 del 1968 che tale distanza prescrive in termini inderogabili ed assoluti, il che comporterebbe l’annullamento della concessione, ma che debba esaminarsi preliminarmente l’eccezione in rito sollevata sia dalla parte appellata che dall’amministrazione comunale in ordine alla carenza di interesse delle parti appellanti a far valere una violazione riguardante la distanza tra la costruzione del proprio vicino e (anziché la propria) quella di un altro proprietario non direttamente confinante.
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La sezione remittente ha, quindi, sollevato i seguenti articolati quesiti: a) se la vicinitas, sulla base dell’orientamento maggioritario, sia di per sé idonea non solo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione; b) se, viceversa, la vicinitas sia idonea a dimostrare la sola condizione della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto sia necessario che il ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa edilizia (posta in essere in violazione delle regole di settore) gli provoca; c) in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento della questione), se tale dimostrazione debba essere sempre resa o solo nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus patito dal ricorrente; d) nel caso in cui l’Adunanza Plenaria aderisca all’impostazione di cui ai punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle cause in cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni) imposte dalla legge urbanistica: – se il solo interesse deducibile sia la lesione della distanza tra l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la lesione della distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione, non confinate con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se rilevino anche le distanze fra due immobili di cui nessuno confinante ma comunque nel raggio visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base del requisito della vicinitas; – se, a tal fine, rilevi la conseguenza evincibile di detta violazione, in termini di demolizione dell’intera opera del vicino, indipendentemente dal luogo interessato dalla violazione dedotta.
3. L’Adunanza Plenaria numero 22 del 9 dicembre 2021: il diritto
L’Adunanza plenaria è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione della possibilità di impugnazione del titolo edilizio da parte del vicino e sulla sufficienza o meno della mera vicinanza per radicare l’interesse al ricorso.
Occorre, quindi, che il Supremo Consesso chiarisca se, per impugnare i titoli edilizi altrui, il requisito della vicinitas, inteso quale stabile collegamento tra il ricorrente e l’area dove si trova il bene oggetto del titolo in contestazione, sia sufficiente a fondare insieme la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso, quali condizioni dell’azione di annullamento.
Il vicino è titolare di un interesse, oppositivo, a impedire o a contrastare un atto ampliativo della sfera di altri soggetti.
L’Adunanza Plenaria reputa tale posizione giuridica una delle tre principali figure più discusse nello studio della legittimazione al ricorso nel processo amministrativo, per differenziare la posizione dei soggetti legittimati da quella della generalità dei consociati.
In simili casi, di norma, il procedimento e il provvedimento non contemplano il soggetto terzo (il vicino), e ciò rende problematico stabilire se l’interesse di costui a contrastare un atto ampliativo della sfera altrui sia effettivamente qualificato e differenziato, rispetto all’interesse della generalità, e in base a quali criteri.
In merito, il Supremo Consesso precisa che, poiché le norme che regolano il potere non menzionano espressamente tutti gli interessi privati qualificabili come legittimi, è necessario enucleare i profili di differenziazione dell’interesse del soggetto rispetto agli interessi di fatto o semplici che non sono idonei a radicare l’interesse a ricorrere; la vicinitas è, in questi termini, un criterio residuale nella misura in cui non sono applicabili quelli fondati sulla dinamica procedimentale (la partecipazione al procedimento effettiva o potenziale) e sull’evidenza provvedimentale (la menzione del soggetto nel provvedimento).
Sul piano della ricostruzione storica, il Collegio rammenta che il criterio della vicinitas è emerso nella risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato che, aveva interpretato restrittivamente l’articolo 10 comma 9 della legge numero 765 del 1967 (cd. Legge ponte, la norma aveva novellato l’articolo 31 della legge numero 1150 del 1942).
Tale disposizione prevedeva, testualmente, che chiunque potesse ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione; ciononostante, la giurisprudenza aveva escluso la configurabilità di un’azione popolare richiedendo un qualche radicamento dei ricorrenti, quanto a interessi di vita e a rapporti sociali, nell’area dove si era autorizzato l’intervento edilizio (Adunanza Plenaria, numero 23 del 1977).
Per un primo orientamento, la vicinitas è di per sé idonea a radicare tanto la legittimazione quanto l’interesse a ricorrere (Consiglio di Stato, IV, sent. n. 962 del 2020; V, sent. n. 4650 del 2021; VI, sent. n. 4830 del 2017; C.G.A. sent. n. 488 del 2020; sent. n. 62 del 2012).
Per un secondo orientamento, invece, l’interesse al ricorso del vicino contro i provvedimenti ampliativi della posizione giuridica dei terzi in materia urbanistico/edilizia presuppone, altresì, l’allegazione e la dimostrazione di un concreto pregiudizio che quel provvedimento reca alle facoltà dominicali del ricorrente (Consiglio di Stato, II, sent. n. 2056 del 2021).
Il contrasto è meno acuto e meno problematico di quanto si potrebbe ritenere, nella misura in cui da un lato, l’adesione al primo indirizzo fa velo della (riconosciuta o riconoscibile) presenza del pregiudizio[2]; e, dall’altro, anche i precedenti più qualificanti ascrivibili al secondo indirizzo scontano situazioni nelle quali a mancare potrebbe essere già la stessa legittimazione[3].
Nella riflessione dottrinale sulle condizioni dell’azione, l’autonomia della nozione dell’interesse al ricorso, rispetto a quella della legittimazione, è un dato acquisito, nonostante i dubbi di carattere teorico sollevati in passato. Il suo fondamento è rinvenuto nell’articolo 100 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’articolo 39 c.p.a. ed è caratterizzato dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale alla sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato[4].
Con riferimento alla vicinitas, in ambito edilizio-urbanistico, dove la qualificazione dell’interesse del terzo discende dall’articolo 872 c.c., dopo l’abrogazione dell’articolo 31 ad opera dell’articolo 136 comma 1 lettera a del DPR numero 380 del 2001, il discorso va ricondotto entro gli schemi generali ricavabili dal c.p.a..
L’interesse al ricorso, inteso come uno stato di fatto, si lega all’utilità ricavabile dalla tutela di annullamento e dall’effetto ripristinatorio; utilità che è in funzione e specchio del pregiudizio sofferto. Tale pregiudizio, a fronte di un intervento edilizio contra legem è rinvenuto, in giurisprudenza, nel possibile deprezzamento dell’immobile, confinante o comunque contiguo, ovvero nella compressione dei beni della salute e dell’ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata[5].
Nel caso dal quale ha origine la remissione, la vicinitas è in stretto collegamento tra la proprietà di parte ricorrente e l’area oggetto dell’intervento edilizio, trattandosi di immobili direttamente e immediatamente confinanti, sebbene il mancato rispetto delle distanze non si abbia nei confronti dell’edificio di parte ricorrente ma di quello di chi, a sua volta, confina dall’altro lato con quello confinante.
Si deve anche considerare come la costruzione di C si sia incastonata tra quella di parte ricorrente e quella di A e B, dove in precedenza non c’era nulla, inserendosi tra loro e diminuendone aria, luce, visuale e panorama[6].
Si deve poi considerare come l’accoglimento del ricorso di D ed E condurrebbe all’annullamento, almeno in parte, della concezione edilizia del 2011, il che produrrebbe oltre all’effetto giuridico legato al venir meno retroattivamente del titolo, conseguenze conformative non prevedibili poiché legate all’applicazione dell’articolo 38 del TU numero 380 del 2001, il quale stabilisce, al primo comma, che in caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa. L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata, precisa il secondo comma, produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36. Le disposizioni del presente articolo si applicano, ex comma 2 bis, anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 23, comma 1, in caso di accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo.
Sulle questioni deferite ai sensi dell’articolo 99 comma 1 c.p.a., all’Adunanza Plenaria dal Consiglio di giustizia, al quale la causa va restituita ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, possono essere formulati i seguenti principi di diritto:
a) nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato; b) l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso; c) l’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’articolo 73, comma 3, c.p.a.; d) nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo.
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Note:
[1] La sentenza in esame ha permesso al Tar Lazio di dirimere una controversia che già lo aveva portato a pronunciarsi, con una sentenza non definitiva, nel 2017. Nel dettaglio, l’oggetto del contendere è la legittimità dello svolgimento dei lavori della prima fase funzionale dell’anello ferroviario di Roma e, in particolare, la realizzazione di due fermate lungo tale tratta ferroviaria. Le parti ricorrenti, ossia un gruppo di privati residenti in una zona vicina, ma non adiacente, ai luoghi dei lavori, contestavano le carenze progettuali delle opere in corso di realizzazione, poiché le amministrazioni preposte alla loro realizzazione non avevano considerato le interferenze della struttura ferroviaria con le fondazioni dei palazzi di cui essi risultavano essere i proprietari. Ricorrendo al Tar, le parti chiedevano non soltanto di intimare le amministrazioni esecutrici ad adottare gli accorgimenti tecnici in grado di ridurre, ovvero eliminare, gli effetti nocivi prodotti dalle opere, ma anche l’inibizione degli stessi lavori e dell’esercizio della linea ferroviaria. Della complessa controversia preme prendere in considerazione la ratio che ha portato il Tribunale a dichiarare non fondata l’eccezione presentata da una delle amministrazioni esecutrici, con cui si sosteneva la carenza di interesse dei ricorrenti relativamente agli interventi concernenti una delle due stazioni ferroviarie da realizzare. Alla base della carenza dell’interesse, infatti, si supponeva esserci la mancata sussistenza del requisito della vicinitas, rilevante – nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia – ai fini di radicare l’interesse a contestare la legittimità degli atti che acconsentono a nuove opere.
[2] Consiglio di Stato, II, sent. n. 2056 del 2021.
[3] Consiglio di Stato, IV, sent. n. 962 del 2020.
[4] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sent. n. 4 del 2018.
[5] Si discute se tali beni siano il risultato della scomposizione di un unico interesse riassuntivo, quello alla qualità dell’insediamento abitativo, o se debbano essere considerati per forza atomisticamente, sull’assunto che non sarebbe dato un interesse inerente all’insediamento abitativo come tale.
[6] Il riferimento al godimento dell’immobile con il richiamo a salute e ambiente è un piano di indagine già ampio ed è su di esso che la giurisprudenza ha fatto leva per ravvisare il pregiudizio sofferto dal terzo non solo nella diminuzione di aria, luce, visuale o panorama, ma anche nelle menomazioni di valori urbanistici e nelle degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico.
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