I fatti
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, si è pronunciata avverso due ricorsi, poi riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., presentato uno da un’ Azienda Ospedaliera e l’altro dal Ministero del Lavoro, della Salute delle Politiche Sociali.
In origine, era stato adito il Tribunale di primo grado da parte dei genitori il cui figlio, al tempo del fatto minorenne, aveva contratto la patologia HCV a causa di trasfusioni effettuate con sangue infetto. Inoltre, i genitori lamentavano anche il ritardo da parte degli operatori sanitari nella diagnosi della suddetta patologia e, per questi fatti, chiedevano quindi al Giudice di merito un adeguato risarcimento per i danni subiti dal figlio.
Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda e, conseguentemente, condannava al risarcimento, in favore di parte attrice, il Ministero e/o in alterativa l’Azienda Ospedaliera.
Non soddisfatti della decisione, l’Azienda Ospedaliera e il Ministero presentavano, presso la Corte d’Appello competente territorialmente, rispettivamente appello principale e appello incidentale avverso la suddetta decisione del giudice di prime cure.
La Corte territoriale, tuttavia, dichiarava inammissibili entrambi i ricorsi.
Innanzitutto, il Giudice di secondo grado osservava che, in corso di causa, il figlio, nonché colui che aveva contratto la malattia, aveva raggiunto la maggiore età e, dunque, non essendo più incapace processualmente, l’impugnazione doveva essere proposta nei confronti del soggetto legittimato.
In secondo luogo, la corte territoriale, in merito alla domanda proposta dai genitori, affermava che non era stata provata la condotta colposa della struttura sanitaria alla luce della disciplina prevista per la responsabilità extracontrattuale.
Infine, in merito al danno che veniva lamentato da parte attrice, affermava che “in via indiretta e riflessa rispetto al danno patito dal figlio” vi era stata responsabilità del Ministero ai sensi dell’art. 20143 c.c.
Contro tale decisione, sia l’Azienda Ospedaliera che il Ministero proponevano ricorso per cassazione.
In primo luogo, veniva proposto ricorso da parte della struttura sanitaria sulla base di tre motivi e successivamente veniva proposto ricorso incidentale anche da parte del Ministero, sulla base di tre motivi. Tuttavia, come detto, la Corte di Cassazione decideva di riunire le due impugnazioni ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Il primo motivo di impugnazione
Gli Ermellini hanno ritenuto fondato il primo motivo avanzato nei due ricorsi.
Con il primo motivo, l’Azienda Ospedaliera e il Ministero lamentavano che il procuratore dei genitori non aveva proceduto a dichiarare il raggiungimento della maggiore età del figlio e per tale inadempienza l’appello era tato notificato al procuratore della parte attrice di primo grado, ossia i genitori..
La Corte di Cassazione, esaminato detto primo motivo di ricorso presentato da entrambi i ricorrenti, lo ha ritenuto fondato. A fondamento della decisione, gli Ermellini hanno richiamato il principio giurisprudenziale consolidato (fatto proprio anche delle Sezioni Unite della Cassazione) secondo il quale, in caso di mancata dichiarazione dell’evento verificatosi nel corso del giudizio da parte del difensore, vale, per la notificazione dell’impugnazione, il principio di stabilizzazione di parte ed ultrattività del mandato (Cass. Sez. U. 15295/2014).
In particolare, le Sezioni Uniti, nella citata pronuncia del 2014, avevano affermato che nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione.
Dunque, secondo gli Ermellini è da confermare il principio per cui, in caso di mancata dichiarazione o notificazione dell’evento da parte del procuratore, vale il principio per cui si deve considerata stabilizzata la posizione giuridica della parte costituita in primo grado rispetto alle altre parti ed al giudice: ciò vale anche per la successiva fase di riattivazione del processo dovuta dalla proposizione dell’impugnazione.
In considerazione di ciò, per gli Ermellini il primo motivo proposto in entrambi i ricorsi è da ritenersi fondato ed è, inoltre, idoneo ad assorbire gli ulteriori motivi di ricorso avanzati dall’Azienda Ospedaliera e del secondo motivo proposto dal Ministero, con il quale veniva lamentato che, in violazione del artt. 102 e 331 c.p.c., la mancata integrazione del contradditorio nel giudizio di appello era idonea a determinare la nullità del giudizio di secondo grado.
La decisione della Corte
In considerazione delle ragioni sopra esposte, quindi, gli Ermellini hanno ritenuto fondato il primo motivo di ricorso e hanno dichiarato l’assorbimento rispetto agli alti motivi proposti dall’Azienda Ospedaliera e al secondo motivo proposto dal Ministero. Conseguentemente, i giudici hanno cassato la sentenza di secondo grado e hanno rinviato alla corte d’Appello competente territorialmente chiamata a decidere in diversa composizione applicando il principio sopra esposto in tema di stabilizzazione della posizione giuridica della parte costituita.
In merito al terzo motivo d’impugnazione proposto dal Ministero, la Suprema Corte ha deciso, invece, per la sua infondatezza.
Con il suddetto motivo il Ministero lamentava la violazione dell’art. 132, com. 2, n. 4 c.p.c., il quale prevede che la sentenza deve contenere la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. La parte ricorrente riteneva che al tempo cui si riferiscono i fatti del giudizio, ossia la contrazione della patologia HCV, il Ministero aveva soltanto l’onere di vigilare in maniera preventiva e complessiva il settore, in quanto i protocolli previsti per le trasfusioni di sangue vigevano da molto tempo. Dunque, avendo correttamente assolto tale obbligo di controllo complessivo e preventivo, il Ministero riteneva che non fosse di sua competenza anche il dovere di vigilanza specifica sul concreto e quotidiano svolgersi di tutte le attività mediche nel Paese. Il Giudice di secondo grado aveva, quindi, errato nel ritenere che sussistesse una responsabilità ex art. 2043 c.c. in capo al Ministero stesso per “deficit di vigilanza”.
Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto infondato tale motivo di impugnazione, in quanto, avendo la Corte territoriale già escluso la responsabilità della struttura sanitaria per mancanza di specifica allegazione e prova di una condotta colposa da parte di quest’ultima, se ne doveva dedurre che il giudice di merito abbia voluto attribuire al Ministero un dovere di controllo specifico sulle sacche di sangue, che nel caso di specie era rimasto inadempiuto.
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