(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 147)
Indice:
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
Il Tribunale di Sorveglianza di Catania rigettava una istanza di differimento dell’esecuzione della pena per ragioni di salute, anche nella forma della detenzione domiciliare, formulata, ai sensi degli artt. 147 cod. pen. e 47-ter, comma 1-ter, l. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), nell’interesse di un detenuto nella Casa reclusione di Ragusa in espiazione della pena di 25 anni di reclusione inflitta con sentenza in data 7 aprile 2017 della Corte di Assise di Catania, che lo aveva condannato per omicidio e soppressione di cadavere, con fine pena al 30 ottobre 2042.
In particolare, codesto Tribunale, dopo aver dato atto che le patologie, da cui era il detenuto affetto, come descritte nell’ultima relazione dei sanitari dell’istituto penitenziario, erano gestibili all’interno della struttura penitenziaria o mediante saltuari ricoveri in luoghi esterni di cura, perveniva alla conclusione della compatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario, anche con riferimento al denunziato pericolo di contagio da Covid 19 e, a quest’ultimo proposito, evidenziava altresì che l’attuale situazione sanitaria della Casa di reclusione non fosse tale da esporre l’istante ad un più grave rischio epidemiologico.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Ricorreva, per il tramite del difensore di fiducia, il detenuto, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 147 cod. pen. e 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen. nonché la mancanza ed illogicità della motivazione in relazione alla riconosciuta sussistenza dei presupposti per il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena.
Il ricorrente, nel dettaglio, lamentava il fatto che la decisione del Tribunale non aveva preso in alcuna considerazione le condizioni psichiche nonostante la loro evidente vulnerabilità.
Come risulta dalla consulenza in atti, invero, il detenuto, in costanza di detenzione, aveva posto in essere ripetuti atti anticonservativi e, più di recente subito dopo il pronunciamento negativo del magistrato di sorveglianza, aveva tentato il suicidio.
Oltre a ciò, era fatto inoltre presente come fossero state travisate, o comunque ingiustificatamente minimizzate, le conclusioni della relazione sanitaria posta a fondamento della decisione dal momento che, in tale elaborato, era stato esplicitamente affermato come la protrazione della detenzione potesse essere pregiudizievole per le condizioni di salute del detenuto alla luce del quadro nosologico e della età avanzata.
In definitiva, per il difensore, il Collegio, nel bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività, dava prevalenza a queste ultime con argomentazioni (stimate) apodittiche e superficiali, senza valutare il tipo e la gravità delle patologie, nemmeno indicate e, così operando, si era discostato dai principi elaborati dalla giurisprudenza, convenzionale, costituzionale e di legittimità, ampiamente richiamati nel ricorso.
Leggi anche l’articolo: “Quando si può ricorrere al differimento facoltativo della pena detentiva ai sensi dell’art. 147 cod. pen., comma primo, n. 2), c.p.”
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era ritenuto fondato, e quindi l’ordinanza impugnata era annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Catania, per le seguenti ragioni.
Gli Ermellini osservavano prima di tutto che il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena può essere disposto qualora, secondo la previsione contenuta nell’art. 147, primo comma, n. 2, cod. pen., il condannato risulti affetto da «una grave infermità fisica»; e, nella stessa ipotesi, l’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen. stabilisce che il tribunale di sorveglianza può applicare la detenzione domiciliare (definita, in tal caso, come «umanitaria»), nel caso in cui vi siano esigenze di contenimento della pericolosità sociale del soggetto e tale misura risulti in concreto adeguata, con le restrizioni e le limitazioni possibili, a fronteggiare il rischio residuo.
Oltre a ciò, era altresì rilevato che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il differimento facoltativo della pena è applicabile, in ossequio ai principi affermati dagli artt. 27, comma terzo, e 32 Cost., quando ricorra almeno una delle seguenti condizioni: 1) lo stato patologico del detenuto consenta di configurare una prognosi infausta quoad vitam ravvicinata; 2) vi sia una affezione che determini la probabilità di rilevanti conseguenze dannose per il soggetto, eliminabili o procrastínabili con cure o trattamenti non praticabili in regime inframurario, neppure mediante ricovero in luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11, Ord. pen. (così Sez. 1, n. 37216 del 5/3/2014; Sez. 1, n. 30945 del 5/7/2011; Sez. 1, n. 8936 del 22/11/2000, dep. 2001); 3) ricorrano condizioni di salute talmente gravi da porre la espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità o comunque da non consentire al condannato di partecipare consapevolmente al processo rieducativo (Sez. 1, n. 16681 del 24/1/2011; Sez. 1, n. 22373 del 8/5/2009), tenuto conto della durata della pena e dell’età del condannato comparativamente con la sua pericolosità sociale (Sez. 1, n. 53166 del 17/10/2018).
Orbene, per i giudici di piazza Cavour, al fine di verificare l’eventuale incompatibilità tra il regime carcerario e le condizioni di salute del detenuto, è necessario compiere un giudizio articolato in più fasi (v. Sez. 1, n. 50998 del 17/10/2018) dovendosi, in primo luogo, verificare la compatibilità in astratto, tenendo conto dell’inquadramento nosografico della patologia che affligge il detenuto e della sua obiettiva gravità e, in seconda battuta, occorre accertare se la patologia possa essere adeguatamente gestita in rapporto alle concrete caratteristiche dell’istituto in cui egli è ristretto (tenendo conto delle esigenze diagnostiche e delle modalità di somministrazione delle terapie di cui il soggetto necessita) e alle, eventuali, ulteriori strutture carcerarie dove poterlo trasferire; indi, è necessario verificare se, in ogni caso, sia possibile assicurare i suddetti interventi diagnostico e terapeutici attraverso il ricorso allo strumento del ricovero in luogo esterno di cura fermo restando che, ove si ritenga, all’esito di tale composita valutazione, che non ricorra alcuna delle condizioni predette, è comunque fondamentale verificare l’incidenza della condizione detentiva sulla dignità della persona, al fine di accertare l’eventuale disumanità della pena e, una volta esaurita la ricognizione sul versante delle condizioni di salute in rapporto allo specifico contesto detentivo (anche in rapporto al divieto di trattamenti disumani o degradanti), occorre ulteriormente verificare se l’eventuale differimento dell’esecuzione possa consentire al condannato di commettere nuovi reati posto che il quarto comma dell’art. 147 cod. pen. contempla il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena a condizione che l’interessato non sia socialmente pericoloso, ovvero quando non «sussista il concreto pericolo della commissione di delitti» ma siffatta valutazione non può esaurirsi nella astratta considerazione dei precedenti penali o degli eventuali carichi pendenti, ma deve essere contestualizzata e riferita alle condizioni di salute del soggetto, le quali potrebbero essere talmente scadute da incidere in maniera determinante sulla sua pericolosità, tenuto conto altresì del fatto che un apprezzamento, quello sul rischio di recidiva, deve essere a sua volta realizzato tenendo conto di un ulteriore fattore, ovvero della possibilità, contemplata dall’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord., pen., di far luogo, ricorrendo le condizioni per il differimento, all’applicazione della detenzione domiciliare speciale, e ciò nel caso in cui l’applicazione di tale misura contenitiva sia necessaria, e sufficiente, a contenere una residua pericolosità sociale.
Ebbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, i giudici di legittimità ordinaria notavano come occorresse sottolineare, quanto al primo tipo di accertamento, che l’ordinanza impugnata si era limitata a prendere atto di alcune valutazioni espresse nella relazione sanitaria redatta in data 8 maggio 2021, senza confrontarsi, pur sollecitata da specifici rilevi espressi dall’interessato, con l’intero elaborato che evidenziava, in sede di conclusioni, criticità legate ad un elemento, l’età avanzata del detenuto, di particolare pregnanza perché considerato dall’ordinamento da solo sufficiente per l’applicazione, in favore del detenuto, di norme derogatorie in tema di detenzione carceraria: l’art. 275 comma 4, cod. proc. pen., che esclude per gli ultrasettantenni la custodia cautelare in carcere, salvo la esistenza di esigenze eccezionalmente rilevanti; l’art. 163, terzo comma cod. pen., che amplia per i rei ultrasettantenni la concedibilità della sospensione condizionale dell’esecuzione della pena; l’art. 47-ter, comma 1, lett. d), Ord. pen., che estende la possibilità di scontare una pena, non superiore ai quattro anni e non superiore ai quattro, in regime di detenzione domiciliare al soggetto di età superiore a sessanta anni anche solo parzialmente inabili, intendendosi per tali gli ultrasessantenni “in condizioni psico – fisiche di decadimento, non temporaneo tale da incidere sulla sua concreta possibilità di svolgere le ordinarie azioni della vita quotidiana, limitandone apprezzabilmente la vita sociale e di relazione” (Sez. 1, 33339 del 7/7/2021) così come parimenti, sempre ad avviso del Supremo Consesso, erano state ignorate le condizioni psichiche del detenuto nonostante, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 99 del 2019, siano da sole rilevanti, ove assumano le caratteristiche di “grave infermità psichica“, per disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen.
Risultava, infine, per la Corte, solo apparentemente, valutata la eventuale incidenza della epidemia da covid-19 nel contesto penitenziario, la cui rilevanza, rispetto alla situazione specifica, era stata apprezzata solo ricorrendo alla massima di esperienza, secondo cui gli effetti della pandemia sarebbero sostanzialmente gli stessi sia in carcere sia all’esterno; impostazione che il legislatore ha chiaramente ritenuto insufficiente quando ha introdotto una disciplina speciale volta a fronteggiare l’emergenza covid-19 in carcere, in particolare con il d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, ma anche con il di. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020, n. 70.
Tal che se ne faceva discendere come fossero quindi necessari accertamenti sull’incidenza del rischio di contagio nel caso specifico, che, dal tenore del provvedimento, non era dato comprendere se fossero stati compiuti.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando è applicabile il differimento facoltativo della pena; istituto, questo che è regolato dall’art. 147 cod. pen. che, come è noto, dispone quanto segue: “L’esecuzione di una pena può essere differita: 1) se è presentata domanda di grazia, e l’esecuzione della pena non deve esser differita a norma dell’articolo precedente; 2) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica; 3) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni. Nel caso indicato nel n. 1, l’esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore complessivamente a sei mesi, a decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata. Nel caso indicato nel numero 3) del primo comma il provvedimento è revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri che alla madre. Il provvedimento di cui al primo comma non può essere adottato o, se adottato, è revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti”.
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