[Riferimento normativo: d.P.R., 29/09/1963, n. 602, art. 76, co. 1, lett. a)]
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Indice
1. Il fatto
Il Tribunale di Livorno rigettava una richiesta di riesame proposta avverso un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno in relazione ai reati di cui agli artt. 2, 5, comma 1-bis, 8, 11 del d.lgs. 74/2000.
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2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato il difensore dell’indagato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 321, secondo comma, 322-ter, primo comma cod. pen. e 12-bis d.lgs 74/2000 in relazione all’art. 76, comma 1° lett. a) del d.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98) in quanto, ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe disatteso il motivo di riesame volto a dedurre l’impossibilità di assoggettare la prima casa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, limitandosi a richiamare il più recente orientamento di legittimità e senza confrontarsi con il diverso orientamento che era stato richiamato a sostegno delle doglianze difensive e che si fondava sulla affermazione che l’art 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), che vieta all’agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all’espropriazione della “prima casa” del debitore, trova applicazione anche in caso di confisca disposta in relazione a reato tributario; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 321, secondo comma, cod. proc. pen. e 12-bis d.lgs 74/2000 poiché la casa di abitazione sottoposta a sequestro era stata destinata “a far fronte ai bisogni della famiglia“, con la costituzione di un fondo patrimoniale con conseguente, secondo la difesa, vincolo di impignorabilità relativa, complementare a quello posto dall’art. 76, comma 1° lett. a) del d.P.R. n. 602/1973 per i debiti tributari. Si chiedeva infine che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 12-bis del d.lgs. 74/2000 e 321, secondo comma, cod. proc. pen. in relazione all’art. 76, comma 10 lett. a) del d.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98) e 170 cod. civ. nella parte in cui consente la confisca per equivalente dell’unica casa di abitazione, tanto più se costituita in fondo patrimoniale, per violazione degli artt. 2, 3, 29 e 47 della Costituzione.
3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione: limite di pignorabilità
Quanto al primo motivo, esso era ritenuto inammissibile poiché, ad avviso della Suprema Corte, il Tribunale, nel disattendere la deduzione difensiva qui riproposta, aveva correttamente affermato, in conformità al il principio di diritto affermato in sede di legittimità ordinaria, che, in tema di reati tributari, il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), opera solo per debiti nei confronti dell’Erario e non di altre categorie di creditori, riguarda l’unico immobile di proprietà e non costituisce un limite all’adozione della confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, e del sequestro preventivo ad essa finalizzato (Sez. 3 n. 30342 del 16/06/2021; Sez. 3, n. 8995 del 07/11/2019). Oltre a ciò, era altresì osservato che il limite posto dal legislatore all’espropriazione immobiliare non riguarda la “prima casa“, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore“, trattandosi di un concetto evidentemente diverso da quello di “prima casa” perché ha a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento, tenuto conto altresì del fatto che la disposizione in questione, da un lato, non fissa un principio generale di impignorabilità, perché si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo (cfr in merito a tale profilo anche Sez. 5 n. 48616, del 20/09/2018, – che ha ribadito che la norma in esame trova applicazione solo nell’ambito del diritto tributario e potrà pertanto precludere il sequestro preventivo solo in tale ristretto ambito – e Sez. 3, n. 5608 del 2021, non massimata), dall’altro, non può trovare applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l’oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco dal momento che i due concetti devono essere tenuti distinti perché il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende né le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione (Sez. 3, n. 17535 del 06/02/2019; Sez. 3, n. 28047 del 20/01/2017), né gli interessi maturati in favore dello Stato (Sez. 3, n. 40358 del 05/07/2016) mentre il debito verso il fisco è sempre comprensivo dell’originario debito tributario, degli interessi e delle sanzioni (sostanzialmente in tal senso, Sez. 3, n. 7359 del 04/02/2014). Di conseguenza, alla stregua si siffatti orientamenti nomofilattici, si ribadiva, in definitiva, che il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell’art. 76 del d.P.R. n. 602 del 1973 – nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lettera g), del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013 si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori; non riguarda la “prima casa“, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore“; non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né al sequestro preventivo ad essa preordinato, e a tanto se ne faceva conseguire la manifesta infondatezza del motivo di ricorso. Ciò posto, veniva reputato parimenti manifestatamente infondato anche il secondo motivo, ribadendosi a tal proposito il consolidato principio – di cui la Corte di legittimità riteneva che il Tribunale ne avesse fatto una corretta applicazione – secondo cui, in materia di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni dell’amministratore, nel caso di incapienza dei beni della società rispetto al debito maturato, non presupponendo alcuna forma di responsabilità civile, può avere ad oggetto anche beni inclusi nel fondo patrimoniale familiare, in quanto su di essi grava un mero vincolo di destinazione che non ne esclude la disponibilità da parte del proprietario che ve li ha conferiti, rilevandosi al contempo come, sempre in sede di legittimità ordinaria, sia stato notato, in particolare, che i beni costituenti il fondo patrimoniale possono essere aggrediti dal sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, gravando sui medesimi un mero vincolo di destinazione che non attiene alla titolarità del diritto di proprietà, e quindi, al tema dell’appartenenza del bene a persona estranea al reato sicché i beni costituenti il fondo patrimoniale rimangono nella disponibilità del proprietario o dei rispettivi proprietari e possono essere sottoposti a sequestro e a confisca in conseguenza dei reati ascritti ad uno dei conferenti (Sez. 3 n. 23621 del 17/07/2020; Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016, Sez. 3, n. 40364 del 19/09/2012, Sez. 3, n. 1709 del 25/10/2012). Infine, quanto alla eccezione di legittimità costituzionale sollevata, ne veniva rilevato il difetto della rilevanza nel giudizio posto che il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), di. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), riguarda l’unico immobile di proprietà del debitore mentre, nella specie, la deduzione difensiva secondo cui l’immobile in sequestro sarebbe l’unico immobile in proprietà, secondo la Suprema Corte, non trovava riscontro nell’ordinanza impugnata nella quale il Tribunale si riferiva all’immobile in questione definendolo, invece, come “prima casa“, trattandosi di quaestio facti che non può essere rivalutata in sede di legittimità. Di conseguenza, alla stregua di quanto appena esposto, gli Ermellini consideravano come risultasse indimostrato il presupposto di fatto per l’applicabilità dell’art. 76, comma 1, lett. a), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), con conseguenza irrilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata. Tal che se ne faceva discendere la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito, in conformità con quanto già enunciato dalla stessa Cassazione in precedenti occasioni, in cosa consiste il limite di pignorabilità di cui all’art. 76, co. 1, lett. a), d.P.R. n. 602/1973 il quale, come è noto, dispone quanto segue: “Ferma la facoltà di intervento ai sensi dell’articolo 499 del codice di procedura civile[1], l’agente della riscossione: a) non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente”. Difatti, in tale pronuncia, la Cassazione stabilisce, come già detto sulla scorta di pregressi orientamenti nomofilattici, che il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell’art. 76 del d.P.R. n. 602 del 1973: I) si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori; II) non riguarda la “prima casa“, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore“; III) non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né al sequestro preventivo ad essa preordinato. Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare se il limite di pignorabilità, contemplato da siffatto precetto normativo, sussiste o meno. Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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Note
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Ai sensi del quale: “Possono intervenire nell’esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo esecutivo, nonche’ i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro. sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile. Il ricorso deve essere depositato prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli articoli 530, 552 e 569, deve contenere l’indicazione del credito e quella del titolo di esso, la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. Se l’intervento ha luogo per un credito di somma di denaro risultante dalle scritture di cui al primo comma, al ricorso deve essere allegato, a pena di inammissibilità, l’estratto autentico notarile delle medesime scritture rilasciato a norma delle vigenti disposizioni. Il creditore privo di titolo esecutivo che interviene nell’esecuzione deve notificare al debitore, entro i dieci giorni successivi al deposito, copia del ricorso, nonché copia dell’estratto autentico notarile attestante il credito se l’intervento nell’esecuzione ha luogo in forza di essa. Ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facolta’ di indicare, con atto notificato o all’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l’estensione. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati ai sensi del primo periodo entro il termine di trenta giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione. Con l’ordinanza con cui è disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli articoli 530, 552 e 569 il giudice fissa, altresì, udienza di comparizione davanti a sé del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a cura di una delle parti. Tra la data dell’ordinanza e la data fissata per l’udienza non possono decorrere più di sessanta giorni. All’udienza di comparizione il debitore deve dichiarare quali dei crediti per i quali hanno avuto luogo gli interventi egli intenda riconoscere in tutto o in parte, specificando in quest’ultimo caso la relativa misura. Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti per i quali hanno avuto luogo interventi in assenza di titolo esecutivo. In tutti i casi il riconoscimento rileva comunque ai soli effetti dell’esecuzione. I creditori intervenuti i cui crediti siano stati riconosciuti da parte del debitore partecipano alla distribuzione della somma ricavata per l’intero ovvero limitatamente alla parte del credito per la quale vi sia stato riconoscimento parziale. 1 creditori intervenuti i cui crediti siano stati viceversa disconosciuti dal debitore hanno diritto, ai sensi dell’articolo 510, terzo comma, all’accantonamento delle somme che ad essi spetterebbero, sempre che ne facciano istanza e dimostrino di avere proposto, nei trenta giorni successivi all’udienza di cui al presente comma, l’azione necessaria affinché essi possano munirsi del titolo esecutivo”.
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