Indice:
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
La Corte di Appello di Roma in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Velletri aveva condannato l’imputato alla pena di due anni e sei mesi di reclusione ed euro 6.000 di multa in ordine al delitto di cui all’ art. 4 legge 2 ottobre 1967 n. 895 per aver illegalmente portato in luogo pubblico una pistola da guerra calibro 9.
In particolare, il Giudice di merito, aveva ritenuto che, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1975 n. 110, dovessero essere considerate armi da guerra tutte quelle che, pur non rientrando in tale categoria, sono idonee a utilizzare il munizionamento delle armi da guerra.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la decisione il difensore dell’imputato ricorreva per Cassazione deducendo , oltre a motivi procedurali , principalmente , l’ inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 4 e 7 legge 895 del 1967, 157 e 161 cod. pen. , perché il giudice di merito, in forza dell’ erroneo convincimento che la pistola utilizzata fosse un’ arma da guerra, avrebbe omesso di dichiarare la prescrizione del reato- Nel ricorso, infatti, si evidenziava che come la più recente giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che la pistola semiautomatica calibro 9 parabellum ha natura di arma comune da sparo , come rilevato anche dal Banco Nazionale di Prova. Tale qualifica riguarda anche il relativo munizionamento, infatti tale pistola è commerciabile in Italia, circostanza vietata per le armi di cui all’art, 1 legge n. 110 del 1975. Secondo il ricorrente, pertanto la Corte di appello avrebbe dovuto qualificare il fatto accertato nel reato di cui agli artt. 4 e 7 legge n. 895 del 1967 e, quindi, dichiarare l’estinzione del reato per intervenuto decorso del termine massimo di prescrizione. Con motivi aggiunti il ricorrente evidenziava che il riferimento normativo espresso dal Tribunale (e fatto proprio dalla Corte di Appello n.d.r.) sulla possibilità di usare lo stesso munizionamento delle armi da guerra appare improprio, in quanto non viene considerato il dato oggettivo, costituito dalla valutazione del tipo e del calibro del proiettile rinvenuto.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso proposto veniva ritenuto fondato.
Il motivo, addotto dalla difesa in ordine alla natura di arma comune da sparo della pistola semiautomatica calibro 9 parabellum, a prescindere dalla possibilità di essere caricata con il munizionamento delle armi da guerra, essendo infatti idonee a utilizzare questo genere di munizioni la cui originaria e normale destinazione è di genere bellico, è stato ritenuto fondato oltre che assorbente rispetto ad ogni altra ragione addotta, sulla base di un articolato iter argomentativo. In particolare, la Corte, ha inteso superare il precedentemente orientamento secondo il quale le pistole cal. 9 venivano considerate armi da guerra o tipo guerra, in quanto il criterio della spiccata potenzialità offensiva – che caratterizza la definizione normativa delle armi da guerra e delle munizioni destinate al loro caricamento , in passato adottato alla luce di una risalente impostazione che ne aveva caratterizzato la precedente classificazione , è stato contraddetto e messo in crisi dalla più recente interpretazione in ordine alla qualificazione normativa come arma comune da sparo della pistola semiautomatica 9 X 21, liberamente commerciabile sul mercato interno, che costituisce un modello di arma corta da fuoco munita di caratteristiche tecniche e di capacità balistiche pressoché identiche a quelle del modello 9X19, rispetto alla quale l’ unica differenza è rappresentata dal fatto di essere camerata per le cartucce calibro 9X21 IMI, dotato di un bossolo più lungo di 2 mm e di una potenza di sparo certamente non inferiore a quella della cartuccia 9 X 19 parabellum.
Declinando tali considerazioni che investono elementi seppur minimi di tecnica balistica, i giudici di piazza Cavour, hanno cassato senza rinvio la decisione della corte territoriale, senza che fossero necessari ulteriori accertamenti fattuali, stabilendo che il delitto dovesse essere riqualificato, e dunque fosse sussumibile non sotto la fattispecie del porto illegale di arma da guerra (art. 1 l. 110/75) ma in quella meno grave di porto illegale di arma comune da sparo (art. 2 l. 110/75) e dunque nella fattispecie meno grave prevista dagli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967 n. 895, dichiarava estinto il reato per prescrizione.
Conclusioni
Il particolare interesse della sentenza in esame, la cui valenza pratica non è totalmente vanificata, ma solo parzialmente erosa, dalla entrata in vigore, nelle more tra il dispositivo e il deposito della motivazione, della Legge 23 dicembre 2021 n. 238, che ha anche normativamente assodato quanto la Corte ha inteso, anche anticipando la disciplina subito dopo varata , chiarire in sede giurisprudenziale e con intenti nomofilattici, risiede nell’ approccio ermeneutico, assolutamente innovativo nell’ ambito dell’ interpretazione del coacervo caotico e contradditorio di norme che vanno a comporre la tormentata materia della disciplina vigente in materia di armi, discostandosi dalle precedenti decisioni contrassegnate da particolare rigidità interpretativa spesso poste al limite di rigorose impostazioni meccanicistiche della interpretazione giuridica. Emblematica, sul tema, è la sentenza della medesima sezione della Cassazione che appena due anni prima (Cass. Sez. I numero 4178/2020), in materia di bossoli già esplosi e relativi a munizionamento di armi militari, ha ritenuto sussistente la configurazione del reato di detenzione di munizioni da guerra, fonando il giudizio sul mero dato astratto e formale della originaria e normale destinazione (bellica) rispetto al concreto e maggiormente logico criterio della necessaria attitudine all’ impiego, così adagiandosi su una consolidata interpretazione fornita dalla Corte regolatrice (tra le molte: Sez. !, n. 23613 del 09/04/2014, Palumbo; Sez. !, n. 35106 del 31/05/2011, Fanale; Sez. !, n. 22655 del 21/02/2008, Martini) , e secondo una rigorosa impostazione interpretativa contraddetta, peraltro da rilievi pervenuti anche da fonti provenienti ambienti istituzionali qualificati in ambito tecnico – balistico che , pur senza la pretesa di esercitare una funzione integratrice della disciplina in vigore, hanno evidenziavano la carenza del requisito della destinazione e dunque la detenibilità in numero limitato ancorchè preinnescati e la suscettibilità ad essere oggetto di ordinaria procedura di alienazione da parte della amministrazione in sede di “rottamazione” (cfr. Circolare del Ministero dell’ Interno del 22 marzo 1999 – n. 599/C-50,133 – E-99) . La decisione in esame, evidentemente adottando criteri ermeneutici approntati a modelli interpretativi ispirati dalla concezione realistica del reato e di corretta e completa valutazione degli indici di offensività o di esposizione a pericolo del bene giuridico in concreto oggetto di tutela giuridica , supera le rigidità formali del precedente orientamento, ponendosi in una ottica valutativa della reale lesione della norma alla luce della ratio che la ispira e dei beni giuridici che mira a tutelare, rifuggendo da interpretazioni rigoristiche che si arroccano sull’ elemento normativo letterale ed astratto della norma esaminata esclusivamente nelle sua formulazione lessicale prescindendo dalla valutazione tecnica in tema di materiale e concreta esposizione a pericolo del bene tutelato dalla normativa.
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