Aspetti prodromici
Il diritto al nome, consacrato nell’articolo 6 del codice civile, è un diritto che si acquista con la nascita e rientra tra i diritti soggettivi della personalità. Questi ultimi vengono tutelati sia in sede civile sia in sede penale.
In generale e quindi in senso ampio, il nome rappresenta il segno distintivo della persona ed è composto dal prenome e dal cognome.
Il soggetto con un nome d’arte o pseudonimo[1], se noto ad altre persone con il nome d’arte o lo pseudonimo, gode della stessa tutela del diritto al nome, questo perché nelle persone si è ingenerato il convincimento che quella persona abbia quel nome e quindi quel particolare nome d’arte o pseudonimo e non un altro nome.
Il prenome sarebbe il nome individuale (ad esempio Antonio, Giulia) e serve a distinguere un soggetto da un altro non solo nell’ambito familiare.
In passato veniva attributo valore giuridico solo al primo di più prenomi. Adesso possono essere attributi più elementi onomastici anche separati purché non superiori a tre con l’obbligo di riportarli tutti negli estratti e nei certificati.
Il potere di scelta del nome spetta ad entrambi i genitori e deve corrispondere al sesso del nato[2], non può quindi attribuirsi ad un bambino di sesso maschile un nome femminile e viceversa. In caso di dissenso sul nome da attribuire al nascituro, è possibile ricorrere al Tribunale per minorenni. Se i genitori non effettuano alcuna scelta o non sono noti, la scelta spetterà all’ufficiale dello stato civile.
Ai figli inoltre non può essere attribuito il nome del papà, di un fratello o di una sorella viventi, se non con un’eccezione data dall’apposizione del suffisso junior.
Non possono altresì essere attributi nomi ridicoli o vergognosi idonei a creare situazioni di difficoltà, disagio o di discriminazione.
Il cognome denota l’appartenenza del soggetto ad una data famiglia (ad esempio Rossi, Bianchi) e si acquista in generale come conseguenza del rapporto di filiazione[3].
In Italia la regola vuole che il nascituro acquisti il cognome del padre.
Nel 2016 le relative norme codicistiche sono state ritenute incostituzionali giacché lesive della parità dei sessi; stesso ammonimento da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo[4].
La questione di incostituzionalità per riflesso si è posta anche per le norme in materia di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio e nel caso di adozione giacché ambedue le norme non permettevano l’attribuzione del cognome materno al bambino.
Altra particolarità è quella della donna che con il matrimonio aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, perdendolo solo nell’eventualità di nuove nozze.
In caso di separazione, il giudice potrà vietare alla moglie l’uso del cognome del marito se ciò dovesse risultare gravemente pregiudizievole.
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Giuseppe Cassano, Paolo Di Geronimo, Elena Peruzzini, Morena Rapolla, Marzia Rossi, Alessia Salamone, Federica Spinaci | 2020 Maggioli Editore
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(In Italia) Il bambino può acquisire il cognome materno[5]?
La concezione patriarcale della famiglia, diffusa fino a poco tempo fa in Italia, non ha mai permesso di far acquisire al bambino il cognome materno a differenza di altri paesi europei, che sul punto hanno fatto notevoli passi in avanti. Ad esempio il legislatore francese ha permesso al figlio di ricevere il cognome di entrambi i genitori o di uno solo di essi indistintamente. In spagna, invece, vige la regola del doppio cognome per cui ogni individuo ne ha due, nell’ordine deciso di comune accordo tra i genitori. Nei Pesi scandinavi, c’è la tendenza in mancanza di accordo a riconoscere ai figli il cognome della madre. In Germania è previsto che all’atto delle nozze i coniugi debbano scegliere un unico cognome per la famiglia, in mancanza del quale, ciascuno conserverà il suo per poi decidere in un secondo momento quale attribuire ai figli lasciando ferma la possibilità di ricorrere al giudice in mancanza di accordo. In altri paesi come il Tibet, il problema non sussiste non esistendo il cognome.
In Italia oltre al combinato disposto di più norme o forse per meglio dire per effetto di una remota consuetudine è prevista l’attribuzione del cognome paterno al bambino nato dal matrimonio non esistendo una disposizione legislativa ad hoc. Allo stesso modo non vi è alcuna norma che permette al nascituro di fargli acquisire il cognome materno e non a caso si è in attesa di un intervento mirato da parte del legislatore.
Diverso è il discorso per il figlio nato fuori dal matrimonio e per il figlio adottato perché in questi ultimi due casi la normativa in materia di cognome esiste, ma è stata ritenuta incostituzionale poiché lesiva della parità di trattamento tra i due sessi.
Nel caso di filiazione nel matrimonio, il figlio assume il cognome del padre in forza di una norma implicita desumibile dal sistema normativo ossia dagli articoli 232, 237, 262 e 299 del codice civile.
È sicuramente interessante volgere uno sguardo all’articolo 262 del codice civile rubricato cognome del figlio nato fuori dal matrimonio.
L’articolo 262 comma 1 del codice civile, prevede espressamente che il figlio nato fuori dal matrimonio acquisisca il cognome paterno. Se però il riconoscimento non avviene congiuntamente, il figlio assume il cognome del primo genitore che lo riconosce e quindi c’è la possibilità concreta e reale che il bambino possa prendere il cognome della madre se questa effettua per prima il riconoscimento. Questa è la regola, ma allo stesso tempo può divenire un valido escamotage nel momento in cui i genitori vogliano attribuire il cognome materno.
Continuando nella lettura dell’articolo 262 si evince che il padre possa effettuare il riconoscimento in un secondo momento e in questo caso sarà il figlio a decidere se sostituire o aggiungere il cognome paterno a quello della madre. Qualora il figlio dovesse essere minorenne, deciderà il giudice, ma se ha compiuto dodici anni o è capace di discernimento, va ascoltato.
A seguito della sentenza della Corte costituzionale 286/2016 è possibile dare al figlio il doppio cognome purché i genitori siano d’accordo con la conseguenza che il cognome materno seguirà quello paterno; in caso di disaccordo prevarrà sempre il cognome del padre.
Suddetta possibilità sarà spendibile per tutti i bimbi nati o adottati dal 28 dicembre 2016 in poi. Si ricorda che il provvedimento non è retroattivo pertanto non produce effetti per il passato.
È inoltre possibile aggiungere il cognome materno anche in età adulta presentando domanda alla Prefettura competente[6]. La domanda che potrà essere accettata anche senza particolari motivi, comporterà tutte le modifiche del caso.
Tutela del diritto al nome
L’articolo 7 del codice civile, tutela il diritto al nome sotto un duplice profilo:
- Diritto all’uso del proprio nome;
- Diritto all’uso esclusivo del proprio nome;
La tutela è quindi contro la contestazione del diritto all’uso del nome o l’impedimento di fatto dell’uso del nome e contro l’altrui uso indebito del nome[7].
La tutela si attiva con l’azione di usurpazione che mira a far cessare il fatto lesivo, a far ottenere il risarcimento del danno e alla pubblicazione della sentenza anche su testate giornalistiche. Il ricorso al giudice può essere fatto ad opera del titolare o dei familiari.
Da ultimo, il prenome o il cognome possono essere modificati su domanda e per giustificati motivi ad esempio perché ridicoli o vergognosi mediante decreto oppure in seguito a determinati avvenimenti che riguardano la vita[8].
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[1] Nome fittizio di persona diverso da quello anagrafico.
[2] Il nome Andrea è opinione comune in Italia che può essere utilizzato sia al femminile sia al maschile.
[3] La XIV disposizione transitoria della Costituzione sancisce la fine della valenza dei titoli nobiliari; più che altro si è andati incontro a un fenomeno di cognomizzazione degli stessi, infatti, si precisa che pur non essendo vietati, non hanno più alcun valore.
[4] Il contrasto è con gli articoli 8 e 14 della Cedu.
[5] Fino a qualche tempo fa si era soliti usare il cognome materno come nome d’arte, basti pensare al noto pittore del XX secolo Pablo Picasso.
[6] Tale richiesta ha un costo, seppur non esagerato.
[7] Il diritto al nome è indisponibile ma lo stesso soggetto può concedere ad altri di fare uso del proprio nome se celebre (si pensi al contratto di sponsorizzazione).
[8] In questo caso entra in gioco un altro importantissimo diritto della personalità ossia quello all’identità sessuale.
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