I fatti
La Corte di Cassazione si è pronunciata su di un ricorso presentato da un paziente ricoverato presso la Asl di Sassari e che aveva richiesto la condanna della struttura sanitaria territoriale al risarcimento dei danni che lo stesso aveva subito a seguito di un trattamento sanitario cui era stata sottopposto.
In particolare, il paziente sosteneva di essersi recato presso il pronto soccorso della suddetta struttura sanitaria per due volte: dapprima, lamentando un dolore con temporanea perdita di coscienza, a seguito del quale era stato dimesso senza prescrizione terapeutica; successivamente, precisamente il giorno dopo al primo ricovero, gli era stata diagnosticata sintomatologia ischemica trattata con terapia antiaggregante, senza somministrazione di un trattamento trombolitico. A seguito di tali eventi, il paziente lamentava un danno biologico dell’80%.
I giudici di primo grado accoglievano la richiesta di parte attrice, affermando che la condotta tenuta dagli operatori medici in sede di secondo accesso alla struttura sanitaria, non era stata conforme ai protocolli del caso, poiché, sulla base di quanto disposto dalla CTU, sarebbe stata necessaria la somministrazione anche di un trattamento trombolitico che avrebbe permesso di scongiurare gravi lesioni, successivamente riportate dal paziente.
Avverso la decisione di primo grado, la struttura sanitaria di Sassari aveva proposto appello innanzi la Corte di seconde cure, insistendo sul fatto che il Tribunale non aveva preso in considerazione le immagini della Tac encefalica e sul fatto che la condotta del personale sanitario era stata conforme ai protocolli.
I giudici di secondo grado avevano accolto l’appello promosso dalla struttura sanitaria di Sassari e non condividendo tale decisione del giudice di appello, il paziente aveva proposto ricorso in Cassazione sulla base di 7 motivi.
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I motivi di ricorso
Il ricorrente denunciava che la controparte era decaduta dal potere di contestare le risultanze della CTU, svoltasi in primo grado, poiché non aveva mosso contestazioni nei momenti utili a tale scopo, ossia nella prima udienza utile successiva all’acquisizione della stessa CTU ovvero in sede di precisazione delle conclusioni.
Lamentava, inoltre, che l’integrazione di documentazione disposta in sede d’appello (in particolare l’acquisizione di nuove immagini TAC) era da considerarsi tardiva in quanto relativa a materiale nuovo e relativamente a detto materiale lo stesso non aveva prestato il proprio consenso, al quale era subordinata l’acquisizione.
Riteneva, dunque, che il materiale acquisito in sede d’appello, era inutilizzabile in virtù della violazione degli artt. 360, 183, 345, 151 c.p.c. e dell’art. 87 disp. att. c.p.c.
Questi primi motivi di ricorso sono stati trattati congiuntamente dalla Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto tale censura infondata. In particolare, secondo gli Ermellini, il Consulente Tecnico di Parte della struttura sanitaria aveva contestato le risultanze della CTU durante lo svolgimento della consulenza in primo grado e aveva trasmesso tali rimostranze in sede di appello. Conseguentemente la struttura sanitaria non poteva ritenersi decaduta dal potere di svolgere critiche alla CTU.
Per quanto concerne le immagini della Tac che, secondo il ricorrente, erano inutilizzabili in quanto era carente il suo consenso, gli Ermellini hanno sostenuto che dette immagini non costituissero materiale nuovo, ma fossero necessari e imprescindibili per poter completare l’attività della CTU, in quanto il perito d’ufficio doveva poter visionare non solo il referto dell’esame diagnostico eseguito sul paziente, ma anche gli altri documenti relativi a detto esame che gli permettessero di valutare la rispondenza del referto ai risultati dell’esame. Pertanto, trattandosi di un necessario completamento dell’ indagine tecnica e non dei documenti nuovi, le immagini erano acquisibili anche in sede CTU svolta in appello.
La doglianza di giudicato interno
Il ricorrente lamentava infine che sulla statuizione di responsabilità della Asl, fondata sui referti medici, si era formato giudicato.
Tale doglianza è stata ritenuta inammissibile dagli Ermellini, i quali hanno affermato che il giudicato interno “non si determina su un fatto ma su una statuizione minima della sentenza costituita da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria”.
Secondo gli Ermellini, tali caratteristiche, idonee dunque a formare giudicato interno, non sono ravvisabili nella valutazione del referto medico, da ritenersi, invece, un “mero passaggio interno del ragionamento decisorio”.
In considerazione di ciò, la Corte territoriale ha correttamente riaperto la cognizione sull’intera questione, espandendo nuovamente il potere del giudice di riqualificarla e riconsiderarla.
Infine, nell’ultimo motivo di ricorso, il ricorrente lamentava che secondo i giudici della corte di appello si era formato giudicato sull’accertamento dell’assenza di responsabilità degli operatori sanitari durante il primo accesso alla struttura sanitaria. In particolare, lamentava che, ritenuti detti sanitari esenti da responsabilità per le loro condotte tenute durante il secondo accesso del paziente al pronto soccorso, i giudici avrebbero automaticamente dovuto ritenere esclusa una loro responsabilità anche con riferimento al primo accesso del paziente al Pronto Soccorso. Sosteneva infatti il ricorrente che, alla luce di orientamenti giurisprudenziali consolidati, innanzi alla prova del danno e del nesso causale fornita dal creditore (danneggiato, l’onere di provare il coretto adempimento della prestazione (ossia, la condotta conforme ai protocolli medici) spettava al debitore, ossia al personale medico: cosa che nel caso di specie non era avvenuta.
Sul punto, gli Ermellini hanno affermavato che tale motivo di doglianza è da ritenersi infondato, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto proporre appello incidentale sulla questione.
In mancanza di tale impugnazione, sulla questione si è formato giudicato e, dunque, la questione non può più essere riproposta innanzi alla Corte Suprema.
In sostanza, il ricorrente, a fronte della sentenza che sanciva l’assenza di rilievi nei conforti dei sanitari in ordine al comportamento da loro tenuto in occasione del primo accesso al pronto soccorso, ove tuttavia non veniva trascurata la sintomatologia ischemica, avrebbe dovuto proporre appello incidentale sulla relativa statuizione, in mancanza del quale sul punto si è formato giudicato.
Alla luce di tutto quanto esposto, gli Ermellini con la sentenza 7346/2022 hanno rigettato il ricorso e, considerato l’esito mutato e incostante della vicenda, hanno compensato le spese del giudizio.
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