I fatti
Un paziente, a seguito di un sinistro, si era recato presso il PS per un forte dolore alla gamba e al bacino. Il personale sanitario incaricato, tuttavia, accertava, a seguito di radiografia, che non vi era alcuna frattura e, dunque, provvedeva a dimettere il paziente dalla struttura.
Successivamente, però, lo stesso decedeva a causa di trombosi polmonare, che veniva indicata come conseguenza alla stasi imposta a carico del paziente in ragione della frattura ossea.
In considerazione di tali fatti, i parenti della vittima decidevano di adire il Tribunale competente al fine di ottenere il risarcimento dei danni da loro subito per il decesso del parente e sostenendo, a fondamento della loro pretesa, la responsabilità del personale sanitario che, secondo la loro tesi, aveva omesso, non solo di accertare la frattura ossea al bacino, ma anche di prescrivere gli opportuni presidi terapeutici di carattere farmacologico (in particolare la somministrazione di eparina) ritenuti fondamentali per scongiurare il decesso dello stesso.
La domanda attorea veniva rigettata in primo e in secondo grado.
La Corte d’Appello territorialmente competente affermava che l’asserita colpevolezza dei sanitari non era accertata sulla base degli elementi istruttori assunti in corso di causa.
Secondo i giudici territoriali non erano emersi né elementi idonei a poter accertare in modo inequivocabile l’esistenza della frattura al bacino del paziente, né elementi idonei a far emergere con certezza la prova del nesso causale tra le omissioni contestate ai sanitari e il decesso del paziente.
Avverso la sentenza della Corte territoriale, gli attori principali proponevano ricorso innanzi la Corte di Cassazione al fine di veder soddisfatte le loro pretese.
Consigliamo il volume:
La responsabilità penale del medico
L’opera, aggiornata alla recente giurisprudenza e alle Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale del 2021, affronta la responsabilità del medico sul piano penale, partendo dai concetti fondamentali e mostrandone l’evoluzione nel tempo. In tal modo, il volume risponde ai bisogni formativi dell’operatore del diritto e del professionista sanitario, che vogliano conoscere e approfondire la materia, in modo oggettivo e puntuale, al fine di affrontare le casistiche che possono presentarsi nello svolgimento della propria attività professionale. L’analisi, infatti, coglie quelle che sono le ricadute pratiche e i risvolti operativi delle tesi giurisprudenziali, portando i principi teorici sul campo pratico. Armando Macrillò Avvocato e dottore di ricerca in procedura penale, è titolare di contratto integrativo di insegnamento in Diritto dell’esecuzione penale presso la LUISS Guido Carli di Roma, ove è altresì docente di Diritto processuale penale presso la School of Law. Dirige la Scuola di alta formazione dell’Avvocato penalista presso la Camera Penale di Roma. È autore di numerosi saggi in materia penale e processuale penale pubblicati sulle principali riviste e di volumi fra cui, con il medesimo Editore, I diritti del minore e la tutela giurisdizionale.
Armando Macrillò | 2022 Maggioli Editore
25.00 € 20.00 €
I motivi di ricorso
Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti, nonché parenti del deceduto, lamentavo che la Corte territoriale avesse erroneamente escluso la responsabilità colposa del medico radiologo nella causazione del decesso e avesse erroneamente escluso la sussistenza del nesso di causalità tra le condotte omissive in capo allo stesso medico e la morte del paziente.
Su quest’ultimo punto, infatti, i ricorrenti ritenevano che i documenti acquisiti e le risultanze delle consulenze tecniche espletate fossero sufficienti a poter fondare la loro pretesa, poiché dimostravano in maniera inequivocabile la diagnosticabilità della frattura ossea, che il dottore avrebbe potuto rilevare, e dimostravano la causalità delle condotte omissive, di cui era colpevole il radiologo, e la successiva e conseguente trombosi, causa del decesso del paziente.
Dunque, secondo i ricorrenti, il medico radiologo aveva colpevolmente trascurato l’approfondimento diagnostico delle condizioni di salute del paziente, omettendo di rilevare una frattura che era obiettivamente e inequivocabilmente diagnosticabile e che ha causato la morte del congiunto.
Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti si dolevano del fatto che i giudici territoriali avessero erroneamente escluso la sussistenza di responsabilità, per gli stessi motivi esposti per il primo motivo di ricorso, in capo sia alla struttura sanitaria sia al personale sanitario che si era occupato del paziente, poi deceduto, insieme al medico radiologo.
Ancora, con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentavano che la Corte d’Appello aveva ritenuto inattendibili le testimonianze rese dai parenti del deceduto ed, infine, con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti censuravano la sentenza di secondo grado per il fatto che i giudici d’appello non avevano disposto la rinnovazione della consulenza d’ufficio dagli stessi attori invocata per poter giungere ad un accertamento definitivo della responsabilità in capo a tutti i convenuti nella causazione del decesso.
La decisione della Cassazione
Alla luce di tutto quanto esposto e alla luce dei motivi di impugnazione a fondamento del ricorso, gli Ermellini hanno ritenuto infondato il primo motivo, inammissibili il terzo e il quarto, mentre hanno ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso.
In merito a quest’ultimo, gli Ermellini hanno osservato che lo stesso coglie “un punto critico non adeguatamente esplorato nella sentenza impugnata”, ossia la questione circa l’accertamento dei profili di rilevanza correlata alle condotte omissive del personale sanitario: in particolare, per ciò che riguardava la mancata somministrazione di eparina.
Gli Ermellini hanno osservato che i sanitari, oltre al medico radiologo, sulla base degli elementi acquisiti con la prima diagnosi all’accesso del PS, avrebbero dovuto comprendere immediatamente il decorso della situazione del paziente, che lamentava fin da subito una rilevante sintomatologia dolorosa.
Infatti, l’immobilizzazione cui il paziente era stato costretto a seguito del sinistro stradale in cui era stato coinvolto, costituisce un importante fattore di rischio per trombosi venosa profonda.
Tuttavia, la stessa Corte d’Appello aveva correttamente riconosciuto come un’eventuale terapia eparinica avrebbe probabilmente evitato la formazione del trombo e il conseguente decesso del paziente, senza, però, accoglierne le conseguenze sotto un profilo sia logico che giuridico e negando, dunque, la sussistenza del nesso di causalità.
Infatti, è stato osservato dai Giudici che la terapia eparinica sarebbe stata idonea a proteggere il paziente traumatizzato da una trombosi venosa profonda solo nel 70-80% dei casi, tenuto presente che, nonostante la somministrazione di eparina, una percentuale di casi si conclude ugualmente con il decesso.
Secondo i giudici d’appello non era stato dimostrato, “in chiave probatoria”, che un corretto comportamento del personale sanitario avrebbe evitato il decesso del paziente.
Sul punto, infatti, la Corte richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso si basa sull’accertamento della probabilità del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno.
Tale accertamento deve realizzarsi attraverso un giudizio controfattuale che pone al posto della condotta omessa il comportamento corretto.
Probabilità logica o baconiana
Gli Ermellini hanno ribadito che attraverso il giudizio controfattuale è possibile porre la condotta omessa come ipoteticamente compiuta e a quel punto è possibile considerare quale sarebbe stato lo svolgersi degli eventi secondo l’ipotesi del più probabile che non.
Quindi, non è necessaria la prova certa che la somministrazione dell’eparina avrebbe evitato, con certezza, il decesso del paziente.
In ragione di ciò, gli ermellini hanno ritenuto che, nel caso di specie, sia necessario conformarsi ad uno standard di certezza probabilistica da verificarsi non attraverso la determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi -c.d. probabilità quantitativa o pascaliana-, bensì riconducendo il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto -c.d. probabilità logica o baconiana-.
Dunque, i giudici di secondo grado, non avrebbero dovuto conformarsi al criterio del ragionevole dubbio esigendo la prova certa dell’efficacia salvifica del trattamento farmacologico, bensì avrebbero dovuto orientare il loro giudizio sull’efficacia rappresentativa degli elementi probatori, conformandosi alla maggiore probabilità, in termini logici, del successo terapeutico della somministrazione terapeutica.
Dopo aver stabilito la relazione causale sulla base dello standard probatorio indicato, i giudici territoriali avrebbero dovuto approfondire in modo scrupoloso gli indici istruttori utili allo scopo di ricostruire i profili di “rimproverabilità” dell’eventuale condotta terapeutica corretta del personale sanitario, al successivo scopo di negarne o attestarne la concreta responsabilità colposa in relazione al decesso del paziente.
Tutto ciò considerato, i giudici della Corte Suprema hanno accolto il secondo motivo di ricorso e, dunque, hanno cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’Appello territoriale che deciderà in diversa composizione e tenendo conto dei principi sopra esposti.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento