Indice:
- Disciplina comune
- Sostituzione di persona (art. 494 c.p.)
- Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 c.p.)
- Falsa dichiarazione o attestazione al certificatore di firma elettronica sull’identità o su qualità personali proprie o di altri (495 bis c.p.)
Disciplina comune
Le fattispecie delittuose di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) e falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 c.p.) sono disciplinate nel libro II del codice penale – Dei delitti in particolare -Titolo VII – Dei delitti contro la fede pubblica – Capo IV – Della falsità personale. Tali fattispecie delittuose consistono in false raffigurazioni della realtà, riguardando simboli che non corrispondono alla verità dei fatti. Poiché gravanti su elementi che identificano la persona, le generalità, o le qualità personali come titoli accademici o professionali sono lesivi della fede pubblica. Si ritiene che il legislatore abbia voluto censurare quei comportamenti volti a sofisticare gli elementi che identificano una persona nonché le sue qualità personali.
Sostituzione di persona (art. 494 c.p.)
La fattispecie delittuosa di sostituzione di persona è contestabile a “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno.”
L’articolo in scrutinio raffigura un reato plurioffensivo poiché, come sostenuto dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza, il bene giuridico tutelato oltre la pubblica fede è l’interesse del cittadino nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti dell’atto compiuto dal trasgressore. È necessario il dolo specifico: “…al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno…”. Così sul punto la giurisprudenza: “Integra il delitto di sostituzione di persona la condotta ingannevole che induce il soggetto passivo in errore sull’attribuzione all’agente di un falso nome o di un falso stato o di false qualità personali cui la legge attribuisce specifici effetti giuridici, non essendo invece necessario il raggiungimento del vantaggio perseguito, che attiene al dolo specifico del reato”. (Fattispecie in cui, la Corte ha ritenuto corretta la condanna di un imputato il quale aveva indotto l’anziano interlocutore a credere di essere il figlio di un ex collega e di essere impiegato in un’ azienda di abbigliamento, con la finalità – non raggiunta – di vendergli della merce). (Cass. n. 11087/2015).
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Il testo è aggiornato a: D.Lgs. 75/2020 (lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione); D.L. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni); L. 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) e D.L. 130/2020 (c.d. decreto immigrazione). Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LL.B., presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.
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Il comportamento censurato dal legislatore consiste nell’indurre taluno in errore scambiandosi ad un altro soggetto, ovvero spaccandosi sotto un falso nome o falso stato, oppure attribuendosi titoli a cui la legge attribuisce effetti giuridici. Quindi, solamente, un comportamento attivo del soggetto agente, idoneo a trarre in errore un altro soggetto, può determinare l’addebito del reato di sostituzione di persona.
La sostituzione della propria persona con un altro soggetto viene a palesarsi qualora si assuma un comportamento o una serie di comportamenti volti ad attribuire alla propria persona l’identità di altri. Si deve trattare – chiaramente – di una sostituzione illegittima. (Si pensi al caso di una persona che sostiene un esame universitario al posto di un altro).
Ciò che il legislatore censura non è l’attribuzione di un determinato nome o cognome bensì l’assunzione di un’identità diversa dalla propria, potendo quest’ultima, di fatto, essere immaginaria.
Secondo autorevole dottrina il termine “…falso stato…” è inerente alle condizioni personali che il soggetto si attribuisce, quali ad esempio la condizione della persona all’interno della società civile e politica oppure titoli accademici o professioni che richiedono abilitazioni dello stato per poter essere esercitate. Sul punto così la giurisprudenza: “Integra il reato di sostituzione di persona la condotta del soggetto che, attribuendosi falsamente una qualifica professionale, ponga in essere atti che, anche se non riservati in via esclusiva ai soggetti dotati di speciale abilitazione, siano comunque ad essa connessi, poiché a tale qualifica la legge ricollega gli effetti giuridici tipici della professione”. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la condanna dell’imputato che, spacciandosi per avvocato, intascava importi di denaro, che diversamente non sarebbero mai stati versati, per acquistare un bene immobile, oggetto di una procedura esecutiva mai esistita). (Cass. n. 21705/2019).
Per attribuzione di “…una qualità cui la legge conferisce effetti giuridici…” il legislatore intende non solo qualità rilevanti giuridicamente in astratto, riferendosi, invero, anche a quelle qualità aventi efficacia ingannatoria nel caso singolarmente trattato. A titolo esemplificativo, il delitto in commento è ascrivibile alla condotta del minore non emancipato che, spacciandosi per maggiorenne, concluda efficacemente la stipulazione per l’acquisto di un’auto, diversamente andrà esente da conseguenze giuridiche il minore che dichiari di aver compiuto 18 anni per impressionare i propri coetanei.
La norma de qua descrive un reato a forma vincolata che si realizza mediante l’induzione in errore attraverso le apposite condotte previste dal legislatore (ossia tramite quattro diverse modalità, tra loro alternative ed equivalenti). Poiché la fattispecie delittuosa di cui all’art. 494 c.p. è realizzata mediante l’inganno, dottrina maggioritaria configura la reticenza e il mero silenzio come condotte antigiuridiche.
Dalla lettura dell’articolo in scrutinio si deduce che il vantaggio e/o il danno non necessariamente devono avere natura economica o finalità illecita, potendo, altresì, integrarsi la fattispecie delinquenziale de qua qualora il comportamento sia diretto a realizzare una finalità lecita.
L’utilizzo sempre più consistente del mezzo internet ha determinato numerosi casi di sostituzione di persona sul web. Nello specifico, la giurisprudenza ritiene che il reato possa configurarsi a mezzo internet qualora un soggetto utilizzando i dati e/o le foto di un’altra persona, induca in errore gli altri utenti del web. Altresì, è considerato da censurare il comportamento di chi, servendosi di generalità, foto, dati altrui, generi un falso profilo sui social network, godendo dei vantaggi procurati dall’usurpazione dell’identità altrui. Così sul punto: “Integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un “nickname” di fantasia ed a caratteristiche personali negative”. (Cass. n. 25774/2014).
Anche il soprannome o pseudonimo, quando è tale da individuare con certezza una determinata persona, trova tutela penale se oggetto ad utilizzo indebito. La norma si chiude con una clausola di sussidiarietà operante soltanto in presenza di altri delitti contro la fede pubblica.
Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 c.p.)
La fattispecie delittuosa di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri è contestabile a “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.
La reclusione non è inferiore a due anni:
1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile [483 2, 567 2; 449];
2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale [c.p.p. 603] una decisione penale viene iscritta sotto falso nome”.
La condotta censurata dal legislatore consiste nel dichiarare o attestare, in forma scritta o orale, una o più notizie mendaci circa l’identità, lo stato o altre qualità della propria o altrui persona al pubblico ufficiale. Nel caso di più dichiarazioni o attestazioni menzognere, il reo compie tante infrazioni della norma quante volte sono le dichiarazioni mendaci. Sul punto si segnala il seguente arresto giurisprudenziale: “Integra il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un P.U. sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 cod. pen.) la condotta di colui che rende molteplici dichiarazioni, tutte fra loro diverse, in ordine alle proprie generalità, non rilevando, a tal fine, il fatto che non sia stato possibile accertare le vere generalità del dichiarante e che questi, in una sola delle molteplici occasioni, possa, eventualmente, avere detto il vero”. (Cass. n. 29874/2017).
In merito all’elemento soggettivo, è previsto il dolo generico, determinato dalla coscienza di sofisticare una qualità propria o altrui, rendendo la falsa dichiarazione o attestazione ad un pubblico ufficiale.
L’articolo in scrutinio rappresenta un’ipotesi di reato plurioffensivo, visto che la tutela dell’ordinamento riguarda non solo la pubblica fede, ma, anche la pubblica amministrazione.
Non è necessario che le attestazioni false siano rese in un atto pubblico.
Le false attestazioni non necessariamente devono avere dei risvolti giuridici, potendo questi rimanere soltanto potenziali, essendo, di fatto, indifferente che la dichiarazione falsa abbia rilevanza giuridica in seno alla dichiarazione stessa.
La norma tutela la fede pubblica contro quelle condotte che sofisticano gli elementi precipui di una persona o le sue qualità personali.
Poiché non è necessario che dalla condotta criminogena il reo tragga un vantaggio trattati di reato di pericolo. Inoltre, dato che il delitto si compie nel momento in cui il soggetto attivo rende la dichiarazione o attestazione mendace si tratta di un reato istantaneo.
La norma de qua si conclude con due circostanze aggravanti specifiche, qualora la dichiarazione falsa riguardi “…atti dello stato civile…” (esempio falsa identità attestata in un atto pubblico) e qualora riguardi dichiarazioni rese “…all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome”.
Falsa dichiarazione o attestazione al certificatore di firma elettronica sull’identità o su qualità personali proprie o di altri (495 bis c.p.)
La fattispecie delittuosa di falsa dichiarazione o attestazione al certificatore di firma elettronica sull’identità o su qualità personali proprie o di altri è contestabile a “Chiunque dichiara o attesta falsamente al soggetto che presta servizi di certificazione delle firme elettroniche l’identità o lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione fino ad un anno”.
La norma in commento configura un reato plurioffensivo, poiché tutela non solo la pubblica fede, ma, anche la pubblica amministrazione.
Il legislatore censura la falsa attestazione o dichiarazione resa alla persona che “…che presta servizi di certificazione delle firme elettroniche…” riguardanti l’identità, lo stato o altre qualità della propria persona o di altri soggetti.
Il certificatore di firme elettroniche è colui“…che presta servizi di certificazione delle firme elettroniche…” fornendo servizi connessi a quest’ultime, rilasciando documenti volti ad attribuire validità e certezza giuridica alle firme apposte digitalmente e che sostituiscono la firma materiale (si pensi ad esempio alla PEC – posta elettronica certificata –).
L’articolo in scrutinio è stato inserito nel codice penale dalla L. 48/2008 – “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno” – dopo aver sottoscritto la Convenzione sulla criminalità informatica di Budapest. Essendo un trattato internazionale, l’Italia sottoscrivendolo ha assunto l’impegno di adeguare il proprio ordinamento interno alle regole internazionali.
Di fatto, il trattato richiamato determina il coordinamento, in materia di delitti informatici della normativa penale e processuale penale tra gli stati aderenti alla Convenzione. In un sistema globale incentrato sempre più sulla tecnologia, la finalità della Convenzione è quella di reprimere i reati informatici mediante la coordinazione e cooperazione tra gli stati, in modo da dare una risposta uniforme a tematiche analoghe ed evitare situazioni contrastanti.
Giunti alle conclusioni, giova ricordare come l’art. 495 bis rappresenti un’innovazione, visto che mira a punire il comportamento di consegna del dispositivo di firma elettronica (con codice pin annesso) ad un soggetto diverso rispetto a quello deputato a richiedere il certificato.
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