Indice:
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
La Corte di Appello di Bari confermava una sentenza con cui il G.u.p. del Tribunale di Foggia aveva condannato l’imputato per i reati di rapina impropria aggravata dal numero delle persone riunite, furto aggravato e porto e detenzione di materiale esplosivo.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato il quale deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione all’art. 628 commi 2 e 3 n. 1 c.p., 641 c.p. e 612 c.p., nonchè violazione di legge ex art. 606 lett. e) c.p.p. per mancanza e/o manifesta illogicità, nonché contraddittorietà della motivazione; 2) violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione all’art. 62-bis, cod.pen. e 69 c.p., e violazione di legge ex art. 606, lett. e) c.p.p. per mancanza e/o manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione con la ‘confessione’ scritta dell’imputato.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il primo motivo era ritenuto infondato.
In particolare, alla base della decisione della Corte di legittimità di procedere alla sua reiezione, si osservava prima di tutto che, per risolvere il quesito circa la corretta qualificazione giuridica del fatto descritto al capo A), occorreva prendere le mosse dalla lettura del secondo comma dell’art. 628, cod. pen., che individua la rapina impropria nella condotta di chi «adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità».
Precisato ciò, gli Ermellini notavano, una volta constatato che nella previsione normativa la violenza o la minaccia non deve essere adoperata per la sottrazione in quanto ciò si evince chiaramente dalla lettura della norma che colloca la condotta violenta o la minaccia, immediatamente dopo la sottrazione, così distinguendola dalla rapina “propria“, dove il ricorso alla violenza o alla minaccia costituisce lo strumento per concretizzare la sottrazione, come la norma non dia nessuna indicazione circa le modalità di concretizzazione della sottrazione, così essa riceve i connotati della condotta a forma libera, non potendosi previamente individuare i molteplici modi con cui essa può realizzarsi.
Oltre a ciò, era altresì fatto presente che la previsione normativa de qua stabilisce -poi- che per la perpetrazione del delitto è necessario che la violenza o la minaccia siano adoperate (immediatamente dopo) dall’agente “per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta” e, dunque, il legislatore distingue due fasi nel reato di rapina impropria: la prima fase della sottrazione a forma libera, seguita -immediatamente dopo la sottrazione- dalla fase in cui l’agente adopera violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa, già sottratta.
La norma, quindi, così strutturata, rappresenta, per i giudici di piazza Cavour, una struttura dinamica del reato, descrivendo un primo momento, nel corso del quale l’agente -senza usare violenza o minaccia- toglie il bene alla vittima del reato, seguito da un secondo momento in cui lui stesso o qualcun altro adopera violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso, ossia per consolidare il pieno ed esclusivo dominio sul bene sottratto.
Nella rapina impropria accade, dunque, che la disponibilità del bene ottenuta con la sottrazione -non violenta e non minacciosa- della cosa si trasforma e si consolida in possesso -ossia in dominio esclusivo sul bene- per effetto della violenza o della minaccia adoperate dallo stesso autore della sottrazione ovvero da un soggetto diverso.
Veniva, da ultimo, osservato che, per la concretizzazione del reato, è altresì necessario che la violenza o la minaccia siano adoperate immediatamente dopo la sottrazione, là dove per la configurazione di tale rapporto di immediatezza «non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l’unitarietà dell’azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l’impunità» (Così, Sez. 2, Sentenza n. 43764 del 04/10/2013; Sez. 7, Ordinanza n. 34056 del 29/05/2018).
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Così specificata la struttura del reato e passando all’esame della condotta contestata al ricorrente, a questo punto della disamina, si poneva per la Corte il problema di stabilire se questa costituisse una condotta di sottrazione, rilevandosi a tal proposito che, secondo l’orientamento tradizionale, integra il delitto di furto, aggravato dall’uso di mezzo fraudolento, la condotta di colui che si rifornisca di benzina presso un distributore pubblico allontanandosi prontamente senza corrispondere il relativo prezzo (Sez. 5, Sentenza n. 3018 del 09/10/2019; Sez. 2, n. 43107 del 11/10/2013; Sez. 2, n. 407 del 24/02/1969) mentre, a tale orientamento, si contrappone un isolato pronunciamento che –invece ritiene che risponda del reato di insolvenza fraudolenta colui che rifornisce la propria autovettura di carburante presso un distributore a cui può lecitamente accedere con immediatezza, e poi si allontana omettendo di corrispondere il relativo importo (Sez. 2, n. 18039 del 15/04/2014).
Orbene, terminata l’analisi di questi due orientamenti nomofilattici, la Suprema Corte riteneva di dovere dare seguito nel caso di specie all’orientamento tradizionale dovendosi osservare che, nel caso al vaglio, deve ritenersi integrata la condotta di sottrazione, posto che la condotta di chi, come l’imputato, manifestando interesse all’acquisto di un bene, ne acquisisca il possesso dandosi repentinamente alla fuga con esso, realizza lo spossessamento invito domino, che caratterizza il delitto di furto e che è, invece, assente nella truffa o nell’insolvenza fraudolenta, in cui il possesso della “res” si consegue con il consenso della vittima (Sez. 2, n. 3710 del 21/01/2009) atteso che tale divisamento risulta aderente alla struttura del reato di rapina impropria, come sopra delineata, essendosi al riguardo sottolineato come sia indifferente le modalità di perpetrazione della sottrazione, che -pertanto- può avere alla sua base anche una richiesta apparentemente lecita, ma in realtà finalizzata a sottrarre il bene al venditore.
Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, quanto sin qui enunciato era affettivamente accaduto nella fattispecie in esame dove l’imputato e i suoi correi avevano chiesto al benzinaio l’erogazione della benzina con il preciso proposito di sottrargliela senza corrispondere il prezzo fermo restando che, a tale condotta di sottrazione, era poi seguito l’uso della minaccia al fine di consolidare il possesso del bene.
La compresenza di tutti gli elementi costitutivi previsti dall’art. 628, comma secondo, cod. pen. portava dunque la Corte di legittimità ad affermare che integra il reato di rapina impropria la condotta di colui che rifornisca la propria autovettura di carburante presso un distributore, con l’ausilio del benzinaio, e poi si allontana omettendo di corrispondere il relativo importo e minacciando l’impiegato del distributore, atteso che la sottrazione è una condotta a forma libera e può essere realizzata anche con una richiesta finalizzata alla sottrazione del bene -nel caso di specie la benzina- senza corrisponderne il prezzo, per poi consolidarne il possesso mediante violenza o minaccia.
Ciò posto, conclusa la disamina del primo motivo, come visto prima, stimato infondato, quanto al secondo motivo, era reputato inammissibile perché, per la Cassazione, proponeva questioni non consentite in sede di legittimità, rilevandosi, in particolare, che l’argomentazione del ricorrente non evidenziava, a suo avviso, violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata ma mirava unicamente a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di Appello mentre, invece, i vizi di motivazione possono essere esaminati in sede legittimità allorquando non propongano censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008) le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum.
Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interessa in quanto è ivi chiarito, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, quando è configurabile il delitto di rapina c.d. impropria.
Invero, in tale pronuncia, si fa innanzitutto presente che il reato di rapina propria consta di due fasi, la prima fase della sottrazione a forma libera, seguita -immediatamente dopo la sottrazione- dalla fase in cui l’agente adopera violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa, già sottratta; più in particolare, un primo momento è costituito dal fatto che, in tale frangente temporale, l’agente -senza usare violenza o minaccia- toglie il bene alla vittima del reato, mentre il secondo momento si connota per la circostanza in base alla quale lui stesso o qualcun altro adopera violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso, ossia per consolidare il pieno ed esclusivo dominio sul bene sottratto.
Ciò posto, il passaggio dal primo al secondo momento viene ulteriormente specificato in questa sentenza nel senso che la disponibilità del bene ottenuta con la sottrazione -non violenta e non minacciosa- della cosa si trasforma e si consolida in possesso -ossia in dominio esclusivo sul bene- per effetto della violenza o della minaccia adoperate dallo stesso autore della sottrazione ovvero da un soggetto diverso.
Al di là di tale “trasformazione”, in codesto provvedimento si afferma per di più come sia inoltre richiesto un quid pluris, di natura temporale, consistente nel fatto che la violenza o la minaccia devono essere adoperate immediatamente dopo la sottrazione, là dove per la configurazione di tale rapporto di immediatezza non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l’unitarietà dell’azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l’impunità.
Tale decisione, quindi, proprio perché in maniera chiara specifica, punto per punto, spiega come e in che termini sia configurabile siffatto illecito penale, può essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sua sussistenza (o meno).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché per l’appunto contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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