Indice
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
1. Il fatto
La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Tribunale di Venezia, che aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 337 cod. pen. alla pena ritenuta di giustizia, disponendone l’allontanamento dallo Stato a pena espiata, riduceva la pena detentiva inflitta e revocava la misura dell’espulsione, applicando al predetto la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni uno.
2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, che deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge, in relazione agli artt. 62-bis e 89 cod. pen. in quanto, ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello, pur riducendo la pena, aveva disatteso il motivo relativo alle attenuanti generiche, con argomentazione (ritenuta) errata perché aveva finito per equiparare il tema della capacità mentale dell’imputato (per il quale vi era stata la riduzione ex art. 89 cod. pen.) con le precarie condizioni di vita del medesimo, che ben potevano essere valutate ai fini delle invocate attenuanti generiche; 2) violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. poiché, per il difensore, la Corte di Appello, in assenza di impugnazione del P.M., aveva applicato d’ufficio la misura di sicurezza della libertà vigilata, così riformando in peius la sentenza appellata.
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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era rigettato per le seguenti ragioni.
Per quanto concerne il primo motivo, gli Ermellini ritenevano come esso denunciasse il solo vizio della violazione della legge penale mentre, a loro avviso, alcun errore di diritto era riscontrabile nella decisione della Corte di Appello di non riconoscere le attenuanti generiche, avendo la Corte territoriale valutato irrilevanti gli elementi indicati dalla difesa (“non si ravvisano ulteriori elementi da valorizzare“), rispetto a quelli già considerati ai fini della diminuente legata alle condizioni mentali, così esprimendo un apprezzamento sulla loro significatività, sul quale nessuna critica sulla logicità della motivazione, per la Cassazione, il ricorrente aveva avanzato.
Ciò posto, in riferimento al secondo motivo, lo si riteneva infondato perché, ad avviso del Supremo Consesso, il principio di diritto evocato dal ricorrente e richiamato anche dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, secondo cui incorre nella violazione del divieto della “reformatio in pejus” il giudice di appello che, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, applichi all’imputato una misura di sicurezza personale (Sez. 6, n. 15892 del 08/01/2014; Sez. 3, n. 12999 del 12/11/2014) si riferisce all’ipotesi in cui nessuna misura di sicurezza sia stata disposta nella sentenza di primo grado e, non, come quello in esame, in cui la Corte di Appello, nel ridurre la pena inflitta in una misura inferiore ai due anni, ha soltanto “sostituito” la misura di sicurezza applicata in primo grado con quella della libertà vigilata, avendo accertato la pericolosità sociale dell’imputato dal momento che, in tal caso, in presenza dell’impugnazione del solo imputato, la Corte di Appello non poteva applicare una misura di sicurezza più grave di quella individuata in primo grado, come prescrive l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. e la misura di sicurezza della libertà vigilata non costituisce – né la parte ricorrente lo aveva dedotto – una misura più grave rispetto all’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.
4. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando è applicabile il principio di diritto, postulato in Sez. 6, n. 15892 del 08/01/2014 e Sez. 3, n. 12999 del 12/11/2014, secondo cui incorre nella violazione del divieto della “reformatio in pejus” il giudice di appello che, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, applichi all’imputato una misura di sicurezza personale.
Difatti, in tale pronuncia, è precisato che tale criterio ermeneutico ricorre solo nell’ipotesi in cui nessuna misura di sicurezza sia stata disposta nella sentenza di primo grado e non invece quella in cui la Corte di Appello, nel ridurre la pena inflitta in una misura inferiore ai due anni, ha soltanto “sostituito” la misura di sicurezza applicata in primo grado con quella della libertà vigilata, avendo accertato la pericolosità sociale dell’imputato.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione allo scopo di interpretare correttamente siffatto principio di diritto.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa specifica tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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