Indice
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
1. Il fatto
Il Tribunale di Catanzaro, decidendo su una richiesta di riesame, confermava una misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari nei confronti di una persona accusata per i reati di cui agli artt. 337, 582 e 585 cod. pen., per non essersi fermato con la propria auto, marciando ad alta velocità, all’alt dei carabinieri e nell’aver investito il militare che glielo intimava con una paletta catarifrangente, tanto da cagionargli lesioni giudicate guaribili in 25 giorni, allo scopo di impedire il compimento dell’atto del loro ufficio.
2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 337 e 582 cod. pen. e vizio della motivazione in relazione alla gravità indiziaria; 2) vizi della motivazione, per quanto riguarda le esigenze cautelari, circa l’applicazione della misura in ragione dell’incensuratezza del ricorrente, tale da rendere la condotta tenuta assolutamente occasionale e comunque di ostacolo per una valutazione circa la proclività a delinquere.
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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era dichiarato inammissibile per le seguenti considerazioni.
Si osservava a tal proposito innanzitutto che, a fronte del fatto che, ad avviso della Suprema Corte, il ricorrente, attraverso argomentazioni di merito volte ad una lettura alternativa di un fatto non contestato, da preferire rispetto a quella adottata dal giudice del merito, perché considerata maggiormente plausibile o perché assertivamente ritenuta dotata di una migliore capacità esplicativa del contesto delittuoso, insisteva con la riproposizione di temi e argomenti già considerati e disattesi dal Tribunale del riesame in termini logici e coerenti, costituisce principio consolidato quello secondo cui, in caso di ricorso avverso provvedimenti in materia di misure cautelari, la Cassazione è tenuta esclusivamente a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni del suo convincimento su punti rilevanti per il giudizio, cosicché l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ex art. 273 cod. proc. pen., o delle esigenze cautelari, ex art. 274 cod. proc. pen., è rilevabile in sede di legittimità solo se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato mentre il controllo della Suprema Corte non concerne, né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti o la rilevanza e concludenza dei dati probatori, ma solo il rispetto dei canoni della logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze, e da ciò consegue che sono inammissibili quelle censure che, come nel caso di specie, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito.
Premesso ciò, gli Ermellini per quanto concerne la prima doglianza, ritenevano come il provvedimento impugnato si fosse misurato in modo preciso con le risultanze investigative così come, a proposito della seconda doglianza, costoro prendevano atto di come la decisione di merito avesse, a loro avviso, reso congrua motivazione in riferimento ai presupposti che legittimano l’applicazione della misura restrittiva, specificando gli elementi sui quali era fondato il giudizio di pericolosità, con prognosi di recidiva, ritenendo ininfluente lo stato di incensuratezza dell’indagato, deducendosi al contempo come il provvedimento de quo fosse pienamente conforme all’indirizzo giurisprudenziale della Cassazione in riferimento all’articolo 274 lett. c) cod. proc. pen. secondo il quale ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva e alla scelta della misura coercitiva in concreto adeguata a soddisfarla, la pregressa incensuratezza dell’indagato ha valenza di mera presunzione relativa di minima pericolosità sociale, che ben può essere superata valorizzando l’intensità del pericolo di recidiva desumibile dalle accertate modalità della condotta in concreto tenuta (Sez. 1, n. 51030 del 06/06/2017).
4. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito cosa la Cassazione è tenuta a verificare in caso di ricorso avverso provvedimenti in materia di misure cautelari.
Difatti, in tale pronuncia, si afferma che, ove venga proposto un ricorso di questo genere, i giudici di piazza Cavour sono tenuti a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni del suo convincimento su punti rilevanti per il giudizio, cosicché l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ex art. 273 cod. proc. pen., o delle esigenze cautelari, ex art. 274 cod. proc. pen., è rilevabile in sede di legittimità solo se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato mentre il controllo giudiziale non concerne, né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti o la rilevanza e concludenza dei dati probatori, ma solo il rispetto dei canoni della logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione quando viene proposta una impugnazione di siffatto tipo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale sentenza, proprio perché fa chiarezza su codesta tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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