In particolare l’art. 168 bis c.p. così recita: “Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.
La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.
La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.
La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.
La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102,103,104,105 e 108.”
Da un’attenta lettura di tale norma, si evince come il legislatore non fa riferimento ad eventuali presenze di circostanze aggravanti, non stabilendo, dunque, nulla in caso di fattispecie di reato aggravate.
Ma cosa accade in presenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale, autonoma o indipendente, che comporta una nuova cornice edittale con pena massima superiore ai quattro anni previsti dall’art. 168 bis c.p.?
In giurisprudenza si sono formati due orientamenti contrapposti.
Indice
1. Primo orientamento
Un primo orientamento ritiene che quando si procede per reati diversi da quelli nominativamente individuati per effetto del richiamo all’art. 550 c.p.p., comma 2, il limite edittale, il cui superamento comporta l’inapplicabilità dell’istituto, si determina tenendo conto delle circostanze aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (Sez. 6, n. 36687 del 30/06/2015, Fagrouch, Rv. 264045; Sez. 6, n. 46795 del 06/10/2015, Crocitti, Rv. 265484).
Tale indirizzo trova il proprio fondamento nella ratio del legislatore, il quale quando ha inteso delimitare lo spazio applicativo di istituti, processuali o sostanziali, attraverso il criterio quantitativo edittale, lo ha sempre fatto prendendo in considerazione le circostanze ai fini della determinazione della pena.
A dimostrazione di ciò si riportano a titolo di esempio le disposizioni sulla competenza (art. 4), sulla individuazione dei casi di citazione diretta a giudizio (art. 550, comma 1) nel codice di procedura penale, mentre invece nel codice penale, alle norme in materia di prescrizione (art. 157, comma 2) e, da ultimo, a quelle sull’applicazione della causa di non punibilità per tenuità del fatto (art. 131 bis).
Conseguentemente, anche per l’istituto della messa alla prova ex art. 168 bis c.p., pur in assenza di una espressa previsione normativa, si ritiene che bisogna tener presente dell’aumento di pena derivante dalla sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale, indipendente o autonoma.
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2. Secondo orientamento
Dall’ indirizzo appena sopra riportato si discostano quelle decisioni che, sulla base di una interpretazione ritenuta più aderente alla lettera della legge e più coerente sul piano logico e sistematico, ritengono che il parametro quantitativo contenuto nell’art. 168 bis c.p., si riferisce unicamente alla pena massima prevista per la fattispecie base, prescindendo dalla contestazione di qualsivoglia aggravante, comprese quelle ad effetto speciale (Sez. 6, n. 6483 del 09/12/2014, Gnocco, Rv. 262341; Sez. 2, n. -L 33461 del 14/07/2015, Ardissone, Rv. 264154; Sez. 4, n. 32787 del 27/07/2015, Jenkins Rossi, Rv. 264325).
Ratio di tale orientamento risiede nel dato letterale della norma, la quale non prevede in alcun modo la presenza e l’influenza sul limite edittale di pena di circostanze aggravanti.
3. L’intervento delle Sezioni Unite
La questione è stata così rimessa alle Sezioni Unite, per fare luce su una questione così dibattuta.
Le Sezioni Unite, nel risolvere il quesito, abbracciano e sposano interamente il secondo orientamento, affermando così tale principio di diritto.
“Ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto, della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell’art. 168 bis c.p., alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”.
Tale intervento sostiene dunque l’irrilevanza delle circostanze, trovando conferma non solo nell’interpretazione letterale dell’art. 168 bis c.p., che pone in evidenza la mancanza di ogni riferimento agli elementi accidentali del reato, ma anche in un’interpretazione logico sistematica, la dove si osservi che il legislatore, nell’introdurre tale istituto, abbia voluto ampliare al massimo la sua portata applicativa, anche al fine di graduare al meglio il trattamento sanzionatorio alla effettiva gravità del reato.
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