La teoria bipartita, la teoria tripartita e le teorie pluri-ripartite del reato

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   Indice

  1. Il reato
  2. La struttura del reato

1. Il reato

Il reato comprende ogni azione od omissione umana, vietata dalla legge penale e sanzionata con una pena irrogata dall’Autorità Giudiziaria.

Dal punto di vista formale, il reato è quel fatto giuridico, infrattivo della legge penale, espressamente previsto dal legislatore [1] ed al quale l’ordinamento giuridico ricollega come conseguenza, una sanzione [2].

Dal punto di vista strutturale, pertanto, il reato è quel fatto umano attribuibile al soggetto, offensivo di un bene giuridicamente tutelato, sanzionato con una pena ritenuta proporzionale alla rilevanza del bene tutelato, in cui la sanzione svolge la funzione di rieducazione del condannato.

Il reato si distingue dall’illecito amministrativo e dall’illecito civile per la diversa natura della sanzione prevista.

Alla concezione formale si contrappone la concezione sostanziale del reato in base alla quale è tale il fatto socialmente pericoloso anche se non espressamente previsto dalla legge: sono punibili le condotte socialmente pericolose anche se non sono criminalizzate dalla legge.

Tale concezione elide, tuttavia, la certezza del diritto e le garanzie per i cittadini e, per tale motivo, tutti i paesi democratici e liberali hanno adottato una nozione formale del reato.

Essendo plurime le modalità di estrinsecazione del reato, si distingue tra delitti e contravvenzioni, tra reati dolosi, reati colposi o reati preterintenzionali, tra reati consumati e reati tentati.

Il reato, infine, può essere proprio o comune: è proprio il reato che può essere commesso soltanto da colui che rivesta una determinata qualifica o posizione; è comune il reato che può essere commesso da chiunque.


In materia leggi anche: Teoria bipartita e tripartita del reato. Tesi a confronto


2. La struttura del reato

Le tesi sulla struttura del reato sono molto diverse: senza prendere posizione su nessuna di esse (la teoria bipartita, la teoria tripartita, le teorie pluriripartite), limitiamoci a descriverle.

La teoria bipartita del reato [3], di derivazione italiana, scinde l’illecito penale in due parti, distinguendo l’elemento oggettivo del reato dall’elemento soggettivo. Il primo comprende la condotta del reo e i presupposti del reato mentre il secondo attiene all’imputazione soggettiva del fatto al reo e alla sua imputabilità. L’elemento oggettivo è costituito dalla condotta posta in essere dal reo, dall’evento cagionato, dal nesso eziologico che lega l’eventuale azione o omissione del reo, nonché dalla antigiuridicità del fatto commesso, in assenza di cause di giustificazione. L’elemento soggettivo abbraccia ogni profilo attinente alla sfera psicologica del reo, in termini di capacità di intendere e di volere e di elemento soggettivo in senso stretto.

Secondo tale impostazione, l’antigiuridicità, cioè l’illiceità del fatto tipico che si verifica in assenza di cause di giustificazione, è l’essenza o il presupposto del reato.

La teoria tripartita della struttura dell’illecito penale [4], di derivazione tedesca, affianca all’elemento oggettivo del reato, detto tipicità, e all’elemento soggettivo, detto colpevolezza, un terzo e autonomo elemento, consistente proprio nella antigiuridicità del reato.

Secondo tale impostazione l’elemento oggettivo del reato non ricomprende l’assenza di cause di giustificazione, che assumono autonoma rilevanza nella struttura dell’illecito penale.

Secondo la teoria tripartita meno recente, il fatto tipico si riferisce alla condotta (eventualmente accompagnata dal nesso di causalità ed all’evento), l’antigiuridicità e la colpevolezza, che è composta dall’elemento soggettivo (o elemento psicologico), cioè dal dolo e dalla colpa.

Secondo la teoria tripartita più recente, invece, Il fatto non è tipico se non fa riferimento anche all’elemento soggettivo, e quindi il fatto tipico comprende sia l’elemento oggettivo sia l’elemento soggettivo, poi abbiamo la antigiuridicità e, infine, la colpevolezza che, svuotata dell’elemento soggettivo, si sostanzia nella rimproverabilità, cioè l’ammonimento mosso al soggetto agente di poter comportarsi in maniera diversa.

Il problema di questa teoria è che i vari autori che la sostengono sono costretti a tali acrobazie logiche per rientrare nei diversi schemi, rendendo astruso e complesso lo stesso studio del reato.

Si consideri, poi, che per quanto si voglia spezzettare il reato in elementi e in sotto elementi, esso rimane un fatto unitario e raramente si è visto un giudice che, nell’accertare l’esistenza di un reato, abbia seguito alla lettera l’uno o l’altro schema.

Tra le teorie quadri o tetra partite [5] spicca la ricostruzione che affianca alla tipicità, alla antigiuridicità alla colpevolezza l’ulteriore elemento della punibilità, sul presupposto che il reato non possa definirsi tale se non risulta punibile [6].

Una diversa teoria che sposa la tesi della quadripartizione del reato assegna rilevanza all’offensività della condotta del reo invece che alla punibilità dello stesso; secondo tale impostazione il reato può dirsi perfezionato in presenza di un fatto tipico, antigiuridico, colpevole e offensivo.

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Note bibliografiche:

[1] Il principio di legalità, in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato da un’apposita legge, è sancito dalla Costituzione all’articolo 25 e dal codice penale agli articoli 1 e 199.

[2] La pena è la sanzione irrogata dall’Autorità Giudiziaria a seguito di un processo penale, tenendo conto della gravità del reato e della capacità a delinquere (ex articolo 133 c.p.), nei confronti di un soggetto condannato per aver commesso un fatto penalmente rilevante, diretta non solo a svolgere una funzione punitiva, nel rispetto dei principi di umanità, ma anche a garantire la riabilitazione e il successivo inserimento sociale del reo (ex articolo 27 costituzione). Si caratterizza in quanto denotata da: afflittività (intesa come la privazione o la diminuzione di un bene individuale), personalità (in quanto colpisce solo l’autore del reato), legalità (la sua applicazione è disciplinata dalla legge), proporzionalità (la pena deve essere proporzionata al reato). Le pene sono poi distinte in: principali, ovvero inflitte dal giudice con la sentenza penale di condanna (per i delitti, la pena di morte, l’ergastolo, la reclusione, la multa; per le contravvenzioni, l’arresto e l’ammenda), accessorie, le quali conseguono di diritto alla condanna, come effetto penale della stessa, e sostitutive delle pene principali detentive che, in presenza di determinate condizioni, vengono inflitte in sostituzione delle pene detentive brevi.

[3] L. Tramontano, Lineamenti di diritto penale, Halley Editrice, Macerata, 2006, p. 94.

[4] Ibidem.

[5] S. Maresca, L. Nacciarone, Compendio di diritto penale, Maggioli Editore, Rimini, 2011, p. 24.

[6] Ricostruzione analitica del reato proposta da Marinucci-Dolcini.

 

Tullio Facciolini

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