1. I fatti
La procuratrice speciale di un paziente aveva agito nei confronti di due medici e della casa di cura presso cui il rappresentato era stato sottoposto a dei trattamenti sanitari, risultati poi inadeguati, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dal paziente medesimo.
Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda e condannato i convenuti al risarcimento del danno biologico subito dal paziente (che, nel frattempo, era deceduto nel corso del giudizio di primo grado), quantificato in circa €. 970.000.
La decisione di prime cure era pero stata parzialmente riformata dalla Corte di Appello, che aveva ridotto l’importo del risarcimento a circa €. 352.000 e conseguentemente condannato gli eredi del paziente deceduto a restituire ai convenuti quanto corrisposto in eccesso.
La Corte territoriale aveva ridotto l’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico subito dal paziente, in considerazione del fatto che quest’ultimo era deceduto nel corso del giudizio di primo grado e quindi la Corte aveva valutato, ai fini del calcolo del danno, solo il periodo di tempo intercorrente tra l’evento dannoso e la morte del paziente (invece di affidarsi al criterio della presumibile durata della vita del paziente, previsto dalle apposite tabelle usate dai tribunali italiani).
Gli eredi del paziente deceduto ricorrevano dinanzi alla Corte di Cassazione sostenendo l’erroneità della decisione impugnata, per quanto qui di interesse, in ragione del fatto che la liquidazione del danno avrebbe dovuto essere effettuata sulla base della durata di vita statisticamente probabile del paziente, anziché sulla base della durata effettiva della sua vita: ciò in quanto questa seconda modalità di calcolo sarebbe stata applicabile soltanto nel caso in cui i giudici avessero accertato che il decesso del paziente fosse avvenuto per una causa non ricollegabile alle menomazioni dell’integrità fisica che aveva subito a causa della condotta illecita dei convenuti (accertamento che, nel caso di specie non era stato compiuto dalla Corte di Appello).
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2. La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il suddetto motivo di Ricorso è ha quindi confermato la decisione del giudice territoriale.
Preliminarmente, gli Ermellini hanno ricordato che, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui intervenga il decesso del soggetto danneggiato prima della liquidazione del danno biologico dal medesimo subito, il periodo da prendere in considerazione per calcolare il risarcimento è quello che intercorre tra la data in cui si è verificata la condotta illecita e la data in cui è avvenuta la morte del soggetto danneggiato. Invece, non deve essere preso in considerazione, come limite finale per il calcolo del danno biologico, il tempo di aspettativa di vita del danneggiato.
Dopo tale premessa di carattere generale, i giudici supremi hanno esaminato la doglianza dei ricorrenti, che si fondava su alcune decisioni della stessa Corte di Cassazione, nelle quali, nel liquidare il quantum del risarcimento del danno biologico a favore degli eredi del danneggiato defunto, facevano riferimento alla durata effettiva della vita di quest’ultimo (invece che alla durata probabile della vita), con la precisazione che tale criterio di liquidazione si riferiva all’ipotesi in cui il danneggiato fosse morto per cause non ricollegabili alla menomazione che aveva subito a causa dell’illecito.
Ebbene, secondo gli Ermellini, il suddetto riferimento (al fatto che la causa della morte del danneggiato sia dipesa da una causa diversa dall’illecito subito) contenuto nelle decisioni citate dai ricorrenti, non sostanzia una condizione necessaria affinché il giudice possa liquidare il danno calcolandolo in base alla durata effettiva della vita del danneggiato (con la naturale conseguenza che, invece, quando manca tale condizioni il danno dovrebbe essere calcolato tenendo conto della probabilità statistica di vita che avrebbe avuto il danneggiato al momento in cui ha subito la condotta illecita).
Infatti, secondo gli Ermellini, le suddette decisioni contenevano il riferimento alla causa del decesso del danneggiato, al fine di decidere sul risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale richiesto dagli attori. In quanto soltanto nel caso in cui la morte del parente sia avvenuta a causa della condotta illecita dei convenuti, i congiunti del deceduto possono chiedere il risarcimento del c.d. danno parentale: dovendo, in mancanza (e quindi nel caso di morte del congiunto dovuta a causa diversa dalla condotta dei soggetti che hanno causato la menomazione al soggetto poi deceduto) escludersi un diritto al risarcimento dei congiunti per la perdita del rapporto parentale.
In conclusione, quindi, i giudici hanno confermato che, nel caso in cui il decesso del soggetto danneggiato sia conseguenza del fatto illecito subito, il danno biologico (che è trasmissibile agli eredi) deve essere liquidato tenendo in considerazione il periodo di tempo tra il fatto lesivo e la morte effettiva del danneggiato.
Infatti, nel momento in cui si abbia certezza sul momento della morte del danneggiato e quindi la durata della sua vita non è più legato ad una probabilità statistica ma diventa un dato noto e certo, il danno biologico deve necessariamente essere correlato alla durata effettiva della vita: ciò in quanto detto danno è costituito dalle conseguenze negative che derivano al danneggiato dalla lesione permanente della sua integrità psicofisica per tutta la durata della sua vita residua.
Tuttavia, i giudici hanno evidenziato che, nel caso di morte del danneggiato, a fianco al danno biologico da questi subito e trasmesso agli eredi per via ereditaria, è possibile comunque riconoscere ai suoi congiunti anche il danno da perdita del rapporto parentale per il caso in cui il decesso della parente sia avvenuto dopo un apprezzabile lasso di tempo dal momento in cui si è verificata la condotta dannosa.
In considerazione di tali principi di diritto, gli Ermellini hanno ritenuto che, nel caso oggetto del loro esame, non era stato neanche dedotto da alcuna delle parti che il paziente fosse morto a causa della condotta illecita dei convenuti, né tanto meno i ricorrenti avevano formulato domanda di risarcimento per il danno da perdita del rapporto parentale.
Pertanto, la decisione della corte di appello, che ha ridotto il quantum del danno biologico subito dal paziente (e trasmesso agli eredi) in base al momento effettivo della morte di quest’ultimo e che non ha esaminato altri profili di danno (come quello da perdita del rapporto parentale) è stata ritenuta corretta.
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