- Il silenzio nel procedimento
- La storia “complessa” dell’impugnazione del silenzio
- Il silenzio assenso
- Il silenzio non è strumento di liberalizzazione ma di semplificazione
- Il silenzio si confronta sia con il potere vincolato sia con quello “strettamente” discrezionale
1. Il silenzio nel Procedimento
Nel corso degli anni il tema della certezza della tempistica del procedimento amministrativo è stato valorizzato dal legislatore che ha introdotto proprio una serie di rimedi intesi a prevenire e stigmatizzare le conseguenze del ritardo. Un primo rimedio, a fronte dell’inosservanza del termine, è il silenzio assenso. Oggi l’art. 20 della legge nr. 241, dispone che “Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato.”
In questo caso, il silenzio assenso ha piena natura provvedimentale. Ad oggi esiste, quindi, di fatto e di diritto, un provvedimento per silenzio. Un eventuale terzo contro-interessato, che si intendesse pregiudicato dal silenzio assenso, potrebbe tutelarsi procedendo con una ordinaria azione di annullamento e quindi impugnando il silenzio come se fosse un provvedimento negli ordinari termini decadenziali. La stessa amministrazione una volta che si è formato il silenzio assenso, in linea generale e astratta per le motivazioni che più avanti si vedranno, non può più provvedere se non esercitando quelli che sono i normali poteri di autotutela decisoria: revoca o annullamento d’ufficio. Ciò sta a significare che non si potrà semplicemente respingere l’istanza ma seguire le regole previste dall’articolo 21-nonies della legge nr. 241.
Sarà quindi necessario per la P.A. ricorrere all’annullamento d’ufficio se ne esistono i presupposti: andrà verificato quindi se il silenzio si è formato illegittimamente oppure se si tratta di un potere connotato da profili di discrezionalità. In questo ultimo caso dovranno esser riportati i motivi di opportunità che inducono alla revoca del provvedimento ai sensi dell’articolo 21-quinquies della legge dando atto sia dell’interesse pubblico attuale e concreto, sia tenendo conto dell’affidamento che nel tempo è sorto in capo al privato ed entro un termine ragionevole.
Fin qui tutto apparentemente semplice con norme che vanno nella direzione di semplificare (in realtà agevolare) i rapporti tra amministrazione e cittadino (impresa). Infatti, ad oggi, il legislatore ha voluto stabilire, per incentivare anche l’iniziativa economica privata, che il silenzio assenso rappresentasse la regola nei procedimenti ad istanza di parte. È importante chiarire ciò in considerazione del fatto che originariamente, l’art 20 della norma, prima del 2005, applicava l’istituto del silenzio rigetto come regola generale.
Se non diversamente previsto, nel nostro attuale ordinamento, opera pertanto il silenzio assenso. Esistono tuttavia casi nelle norme di settore a cui non viene attribuito un significato al silenzio. Secondo tale indicazione è possibile immaginare che la P.A., ogni volta che rimanga in silenzio all’esito di una istanza, possa far generare una sola di queste quattro conseguenze: a. silenzio assenso; b. silenzio diniego; c. silenzio rigetto; d. silenzio inadempimento[1].
In disparte l’approfondimento che potrà essere autonomamente condotto dal lettore su autorevoli manuali di diritto amministrativo[2] in merito alle distinte connotazioni del silenzio, l’importanza che il legislatore ha voluto riconoscere alle conseguenze del silenzio, e pertanto lo stimolo che voleva trasmettere alle varie pubbliche amministrazioni nell’evitare la staticità nelle decisioni ad istanza di parte, si possono desumere da vari disposti normativi. Infatti, “La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.”[3]. “L’organo di governo individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia.(…)”[4]. “Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento (…), il privato può rivolgersi al responsabile (…) perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario.”[5]. “Il responsabile (…), entro il 30 gennaio di ogni anno, comunica all’organo di governo, i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei quali non è stato rispettato il termine di conclusione previsti dalla legge o dai regolamenti.”[6]. “Nei provvedimenti rilasciati in ritardo su istanza di parte è espressamente indicato il termine previsto dalla legge o dai regolamenti di cui all’articolo 2 e quello effettivamente impiegato.”[7]. “Le pubbliche amministrazioni (…) sono tenut(e) al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.”[8]. “(…) (I)n caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo.”[9].
Avendo chiarito le conseguenze del ritardo nell’adozione di un provvedimento che in caso di silenzio non può assumere un significato di rigetto o di assenso, è necessario sottolineare che i procedimenti ad istanza di parte, che soggiacciono al silenzio inadempimento, sono tipizzati: individuati, quindi, dal legislatore in ragione della particolare importanza di alcuni interessi pubblici primari. Vengono, pertanto, eccettuati dal silenzio qualificato, i procedimenti che toccano interessi super sensibili[10]. C’è, comunque, la possibilità per la P.A. di introdurre ulteriore eccezioni per come la materia risulta legislativamente disciplinata.
2. La storia “complessa” dell’impugnazione del silenzio
Sempre per una ricostruzione storica degli istituti che può aiutare a comprendere quale sia la vera natura di determinate fattispecie, è necessario ricordare che un tempo, per impugnare il silenzio non qualificato non era sufficiente la scadenza del termine per provvedere a cura dell’amministrazione. La giurisprudenza pretendeva uno specifico procedimento formativo applicando una norma per analogia in materia di pubblico impiego. Per stigmatizzare il silenzio del pubblico dipendente, la giurisprudenza richiedeva al privato, dopo che il termine del procedimento fosse spirato, che notificasse tramite ufficiale giudiziario una diffida intimando all’amministrazione un ulteriore termine per provvedere decorso il quale si formava il silenzio “rifiuto”. Una volta che il silenzio si fosse formato, si consentiva al privato di ricorrere nel termine di decadenza di 60 giorni.
Un tecnico attento e aperto a tali tematiche dovrebbe domandarsi come è possibile che le norme assegnino termini cosi “severi” per impugnare atti dell’amministrazione adottati in violazione di legge. È semplice riflettere, invece, sul presupposto che gli atti in argomento sono provvedimenti diretti a creare, modificare o eliminare diritti che hanno, nella gran parte dei casi, riflessi sul piano dello sviluppo economico. I termini di decadenze servono infatti a stabilizzare i provvedimenti a tutela della certezza dei traffici giuridici ed economici.
Ciò rende chiara l’importanza della disciplina sul silenzio.
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3. Il silenzio assenso
Decorso il tempo necessario a provvedere da parte della P.A. l’istanza del privato si considera accolta. Attenzione però, la giurisprudenza ha sul punto precisato che affinché possa dirsi perfezionato l’assenso a seguito del silenzio vi debba essere l’esistenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi per ottenere il “permesso”. Come prima cosa va stabilito che si sta argomentando di questioni provvedimentali: ciò sta a significare che anche se non esiste materialmente il provvedimento, il silenzio genera, comunque e implicitamente, l’atto. In virtù di ciò, è di tutta evidenza che la legge attribuisca al silenzio uno dei presupposti per la generazione e costituzione dell’atto. Non può, però, esistere un atto illegittimo[11]. Secondo questa ricostruzione, ciò starebbe a significare che il silenzio in quanto tale non dovrebbe generare, da solo, provvedimenti impliciti favorevoli in assenza dei presupposti per ottenere quel medesimo provvedimento in forma espressa. L’ordinamento riconosce quindi alla sostanza giuridica l’essenza della formazione.
La fattispecie quindi è formata non solo dal decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta risposta dell’Amministrazione, ma dalla contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge.
In virtù di ciò, tutte le volte in cui un soggetto privato, chiedesse all’organo giurisdizionale di accertare la formazione del silenzio assenso occorrerebbe verificare che, oltre al decorso del tempo necessario alla conclusione del procedimento, la domanda sia conforme al regime in concreto applicabile. Si pensi ad esempio al dritto urbanistico ed edilizio per comprendere gli effetti di tali interpretazioni.
In tal senso sembrava orientamento prevalente in giurisprudenza, il principio generale in cui per la formazione del silenzio assenso devono esistere tutte le condizioni e i presupposti richiesti dalla legge per poter, la domanda, essere accolta.
4. Il silenzio non è strumento di liberalizzazione ma di semplificazione
Ad uno sguardo disattento si potrebbe credere che il silenzio assenso sia collegato ad una logica di liberalizzazione dell’attività dei privati da parte del legislatore. In realtà ciò non può essere vero a parere di chi scrive dal momento che il silenzio assenso è un istituto concepito al solo fine di evitare, in materie stabilite dalla legge, gli effetti negativi dell’inerzia. Se il legislatore avesse voluto liberalizzare davvero il settore, avrebbe ammesso istituti diversi – come quelli del settore urbanistico quali la C.I.L.A.[12]. In questo ultimo caso non bisogna attendere il decorso del tempo per ammettere un assenso ma l’istituto in questione liberalizza completamente l’attività ammettendo l’inizio dei lavori con la mera comunicazione asseverata dove il tecnico incaricato dal committente assume la responsabilità della certificazione da lui rilasciata.
Il silenzio assenso non incide quindi in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio ma introduce una ulteriore modalità semplificata per l’ottenimento del provvedimento[13]. È tanto vera questa ricostruzione se si ammette, come infatti accade da unanime dottrina e giurisprudenza, l’esistenza in capo alla P.A. del potere di annullamento anche di provvedimenti mai concretamente espressi.
Per sintesi espositiva è possibile quindi schematizzare le eccezioni alla regola del silenzio assenso secondo una quadri partizione:
- Le materie indicate dal comma 4 dell’articolo 20 della legge nr. 241: in particolare sono tutte le materie che hanno una rilevanza costituzionale;
- I casi in cui l’U.E. impone l’adozione di un provvedimento espresso[14];
- I casi disciplinati direttamente con D.P.C.M.[15];
- Tutti i casi in cui al silenzio sia attribuito, dalla legge, valore di rifiuto o rigetto.
5. Il silenzio si confronta sia con il potere vincolato sia con quello “strettamente” discrezionale
All’inizio del corrente anno, la Giurisprudenza[16] sembrava aver confermato, nel settore tecnico dell’edilizia, proprio i principi di configurazione dei presupposti dell’esistenza del silenzio assenso.
Viene esclusa l’operatività del silenzio-assenso ex articolo 20, comma 6, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, anche dopo le modifiche generali all’istituto introdotte nel 2016, alle ipotesi di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici di cui all’articolo 14 del medesimo d.P.R., in considerazione della specialità del percorso procedurale che connota le stesse, in cui si innesta una imprescindibile valutazione ampiamente discrezionale del Consiglio comunale in ordine all’interesse pubblico dell’intervento[17]. In quella sede era stato confermato, richiamando costante giurisprudenza amministrativa, che la formazione del silenzio-assenso postula la piena conformità dell’istanza alla normativa e alla strumentazione urbanistica ed edilizia di riferimento[18].
Si deve, quindi, escludere che, a fronte dell’istanza delle ricorrenti relativa ad un progetto in deroga allo strumento urbanistico vigente, il mero trascorrere del tempo possa aver determinato la formazione del provvedimento richiesto.
Sul concetto della vincolatività del provvedimento, della sua discrezionalità o della sua amplissima discrezionalità è necessario soffermarsi per un’analisi complessiva dell’istituto del silenzio assenso.
Il problema si pone proprio nei casi in cui l’amministrazione svolga attività discrezionale. In questo senso parte della giurisprudenza, sia passata[19] sia recente[20], può portare a credere che l’applicazione del silenzio assenso sia possibile ai soli casi di attività vincolata della P.A., poiché in questi casi l’effettivo possesso dei requisiti previsti dalla legge renda possibile l’avvio dell’attività sottoposta ad autorizzazione. Secondo questa linea di pensiero ciò renderebbe possibile ogni successivo accertamento ed esercizio di poteri di secondo grado come l’autotutela. Al contrario, sembrerebbe supporre questa giurisprudenza che nel caso di poteri discrezionali, la valutazione e la conseguente scelta della misura concreta da adottare per il perseguimento dell’interesse pubblico, non verrebbero ad essere effettuate dall’organo a ciò deputato, determinandosi una decisione solo basata sul tempo. In realtà, la dottrina più attenta fa un ulteriore sforzo interpretativo prendendo ad esame la c.d. legge Madia[21] con la quale è stato applicato, per norma, l’istituto del silenzio assenso anche per quanto riguarda l’acquisizione di atti endoprocedimentali, nell’ambito della tutela di interessi sensibili, confermando così l’applicazione dell’istituto ad un grandissimo numero di procedimenti pure a carattere discrezionale.
A ciò bisogna prestare particolare attenzione senza cadere nell’errore di supporre che l’applicazione del meccanismo del silenzio assenso riguardi anche le attività che comportino valutazioni completamente discrezionali perché si perverrebbe ad una sorta di paradosso, ovvero quello di considerare come certamente espletata una valutazione della quale non si ha nessun procedimento istruttorio. Questo genererebbe la conseguenza che si sostituirebbe alle valutazioni totalmente discrezionali dell’amministrazione una cura dell’interesse pubblico basato solo sul trascorrere del tempo pregiudicando quindi l’uniformità delle scelte e la certezza dell’azione amministrativa.
La dottrina che valorizza questi aspetti rappresenta che la soluzione non può che essere mediana: il silenzio assenso è un modulo organizzativo di semplificazione ma ciò non deve essere la porta d’ingresso a patologie strutturali nella cura dell’interesse generale al quale la P.A. è preposta.
In conclusione, il silenzio assenso potrà essere applicato anche alle scelte discrezionali tutte le volte in cui esistano entrambi i seguenti presupposti:
- che si intenda comunque effettuato il bilanciamento di interessi generali primari, secondari e legittimi, derivanti da una benché minima attività istruttoria;
- che, siano esclusi da questo meccanismo automatico, i procedimenti che prevedono una discrezionalità c.d. ampia, ovvero quella tipologia di discrezionalità per la quale la forma patologica dell’eccesso di potere è praticamente inesistente. Ciò si concretizzerebbe nella condizione in cui quasi ogni scelta di opportunità presente nel set a disposizione della P.A. sia completamente ammissibile. Questo non permetterebbe di derogare ad un principio costituzionalmente garantito della c.d. riserva di esercizio, espressa dalla funzione amministrativa, posta a tutela dell’interesse pubblico e privato.
Note
[1] in realtà i silenzi dell’amministrazione possono essere interpretati anche secondo altri istituti come ad esempio il silenzio devolutivo ed il silenzio facoltativo. In questa sede, ciò che interessa è dare le nozioni base al silenzio e non illustrare le particolarità che possono generarsi. Si lascia pertanto alla lettura di altri manuali o contributi gli approfondimenti specialistici sulla tematica che in questa sede esulerebbero dalle finalità della trattazione.
[2] compendio di diritto amministrativo di Roberto Giovagnoli, Editore: ITA per un approfondimento completo e “Nel Diritto Amministrativo” della collana Diritto per Tecnici di Stefano Saracchi edito da Amazon KDP per un approfondimento per ingegneri e architetti.
[3] articolo 2 comma 9 della legge nr. 241 del 1990.
[4] parte di articolo 2 comma 9 bis della legge nr. 241 del 1990.
[5] articolo 2 comma 9 ter della legge nr. 241 del 1990.
[6] articolo 2 comma 9 quater della legge nr. 241 del 1990.
[7] articolo 2 comma 9 quinquies della legge nr. 241 del 1990.
[8] articolo 2 bis comma 1 della legge nr. 241 del 1990.
[9] articolo 2 bis comma 1 bis della legge nr. 241 del 1990.
[10] l’articolo 20 comma 4 della legge nr. 241 chiarisce quali sono questi atti.
[11] in realtà è stato osservato che l’atto amministrativo illegittimo possa esistere e anzi, se non impugnato nei termini decadenziali, si stabilizza. In questo caso però è la P.A. a perfezionare l’atto e pertanto l’errore essendo umano può generarsi. Nel caso in cui invece è la legge a perfezionare l’atto, anche attraverso il silenzio, questo si perfezionerà solo nei casi di esistenza di tutte le condizioni giuridiche per ottenerlo.
[12] Comunicazione Inizio Lavori Asseverata.
[13] implicito.
[14] come ad esempio nel settore del codice dei contratti pubblici.
[15] in dottrina questa possibilità è stata criticata in virtù dell’inesistenza esplicita di criteri direttivi per l’identificazione delle materie o dei casi di esclusione. Infatti secondo autorevoli interventi gli studiosi hanno rilevato che la mancanza di direttive contrasta la riserva di legge, sia pur relativa, che caratterizza la materia dei procedimenti amministrativi. In realtà dottrina ancora più attenta ha identificato, dai principi generali dell’ordinamento giuridico le direttive necessarie. L’esigenza di questo ragionamento è dettata dal fatto che, ad esempio, se non si intervenisse in questo senso con una esplicitazione dei procedimenti esclusi soggetti al silenzio-assenso ci sarebbero casi paradossali, come ad esempio la patente di guida, che vedrebbero generare patologie insanabili.
[16] Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2022, n. 616 – Pres. Greco, Est. Verrico.
[17] cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 2021, n. 4591; id., sez. IV, 7 settembre 2018, n. 5277; id., 26 luglio 2017, n. 3680.
[18] cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 25 febbraio 2021, n. 1629.
[19] Corte cost. n.169/1995 e n. 408/1995.
[20] Cons. di Stato, Sez. IV, 5 settembre 2016, n. 3805.
[21] Legge nr. 124 del 2015 che con il suo art. 3 ha introdotto il nuovo art. 17 bis della legge nr. 241 del 1990.
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