Che cos’è il tirocinio forense?
Come si svolge il tirocinio forense?
Quale normativa disciplina il tirocinio forense?
Si segnala prima di tutto la Legge professionale n. 247/2012 “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”, che disciplina la pratica forense al Titolo V “Accesso alla professione forense”, Capo I “Tirocinio professionale” (artt. 40 – 45); mentre al Capo II “Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato” (artt. 46 – 49), si occupa per l’appunto dell’esame di stato (rinvio Normativa).
E’ poi di fondamentale importanza il Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016, emanato ai sensi dell’art. 41 della Legge professionale, il quale disciplina, più nel dettaglio, le modalità di svolgimento del tirocinio forense, le procedure di controllo da parte dei Consigli dell’Ordine, le ipotesi di interruzione del tirocinio, nonché i requisiti di validità del periodo di tirocinio eventualmente svolto in altro Stato dell’Unione europea (rinvio Normativa).
Tale ultima disciplina si applica ai tirocini iniziati a partire dalla sua entrata in vigore (3 giugno 2017), mentre a quelli antecedenti continua ad applicarsi la normativa previgente, fatta eccezione per alcune disposizioni, più favorevoli ai praticanti, che hanno dunque efficacia retroattiva. Trattasi in particolare della durata di diciotto mesi del tirocinio (anziché, come prima, di due anni) e della facoltà, per il praticante, di avvalersi di modalità di svolgimento del tirocinio alternative alla tradizionale frequenza presso lo studio legale del professionista (come si vedrà meglio in seguito).
Come avviene l’iscrizione nel registro dei praticanti?
Il laureato in giurisprudenza che intenda intraprendere la professione di avvocato, per prima cosa, deve rivolgere apposita istanza al Consiglio dell’Ordine presso il Tribunale nella cui circoscrizione ha la residenza, per essere iscritto nel registro speciale dei praticanti. A tale istanza deve essere allegata la dichiarazione di disponibilità dell’avvocato presso cui il praticante intende svolgere il tirocinio. Per questo motivo è importante che il laureato prenda prima i contatti con un avvocato iscritto all’albo del medesimo Ordine da almeno cinque anni, onde accertare la sua eventuale disponibilità ad accoglierlo come tirocinante. In alternativa, la pratica forense può essere svolta – per non più di dodici mesi – presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico.
Va precisato che tale iscrizione segue regole diverse in base a ciascun Ordine, che rende disponibile l’apposita modulistica con l’elenco della documentazione da allegare, prevedendosi altresì costi di iscrizione differenti (Nella Sezione Modulistica sono riportati alcuni esempi di domande d’iscrizione al registro dei praticanti, tratti dai siti istituzionali degli Ordini forensi).
In ogni caso, una volta accettata l’iscrizione da parte del Consiglio dell’Ordine, il praticante avvocato potrà recarsi presso la segreteria dell’Ordine, dove, una volta provveduto al pagamento del contributo annuale per l’iscrizione al registro dei praticanti, avrà in consegna l’apposito libretto in cui annotare la presenza alle udienze e, se richiesto (come si vedrà in seguito – rinvio), la descrizione di alcune casistiche affrontate durante il tirocinio. A seconda dell’Ordine, infine, al praticante può essere consegnato anche un tesserino di riconoscimento attestante l’appartenenza all’Ordine medesimo.
Iscrizione facoltativa praticante avvocato e modalità di iscrizione
Quali sono i requisiti per l’iscrizione?
Per potersi iscrivere al registro dei praticanti, devono possedersi determinati requisiti. Innanzitutto occorre aver conseguito la laurea in giurisprudenza, anche se – si vedrà in seguito – è prevista la possibilità di poter anticipare un semestre di pratica forense prima del conseguimento del diploma di laurea. Tale possibilità, come verrà specificato, è riservata agli studenti di giurisprudenza regolarmente iscritti all’ultimo anno del corso di studi, sempre che il proprio istituto abbia predisposto un’apposita convenzione con il Consiglio dell’Ordine o con il Consiglio nazionale forense.
Tra gli altri requisiti necessari all’iscrizione, come previsto dall’art. 17 Legge professionale (riferiti sia agli avvocati che ai praticanti), si annoverano:
essere cittadino italiano o di Stato appartenente all’Unione europea, salvo quanto previsto dal comma 2 per gli stranieri cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea;
avere il domicilio nel circondario del Tribunale ove ha sede il Consiglio dell’Ordine;
godere del pieno esercizio dei diritti civili;
non trovarsi in una delle condizioni di incompatibilità di cui all’articolo 18 della Legge professionale;
non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive;
non avere riportato condanne per i reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis c.p.p. e per quelli previsti dagli articoli 372, 373, 374, 374-bis, 377, 377-bis, 380 e 381 c.p.;
essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal Codice deontologico forense (rinvio Normativa).
Da notare – anche questo verrà specificato in seguito, rinvio – che il tirocinio forense può essere svolto anche nel caso si stia contemporaneamente svolgendo attività lavorativa subordinata, sia privata che pubblica. Detta situazione è causa di incompatibilità per l’avvocato, ma non anche per il praticante. A condizione che, tuttavia, riesca comunque a svolgere la pratica in modo effettivo, puntuale e proficuo, sempre che non sussistano specifici motivi di conflitto d’interessi.
Come può reperirsi uno studio legale interessato ad accogliere il praticante?
Se il praticante non ha conoscenza nel settore, presso la segreteria dell’Ordine è solitamente disponibile un registro in cui, oltre all’indicazione di alcuni studi legali che sono alla ricerca di collaboratori, è possibile inserire i propri dati e la propria disponibilità.
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La pratica si svolge necessariamente in uno studio professionale?
La pratica professionale può essere svolta anche al di fuori degli studi professionali, con una delle forme alternative previste dalla legge (come si vedrà meglio in seguito, stage presso gli uffici giudiziari, frequenza di scuole professionali) che hanno una valenza sostitutiva per massimo dodici mesi. E’ prevista in ogni caso la frequenza obbligatoria e con profitto di corsi di formazione, per un periodo non inferiore a diciotto mesi.
Il tirocinio forense può essere svolto, dunque:
a) presso un avvocato, con anzianità di iscrizione all’albo non inferiore a cinque anni;
b) presso l’Avvocatura dello Stato, presso l’ufficio legale di un ente pubblico o presso un ufficio giudiziario, per non più di dodici mesi (come si vedrà in seguito o rinvio);
c) in altro Paese dell’Unione europea presso professionisti legali con titolo equivalente a quello di avvocato ed abilitati all’esercizio della professione, per non più di sei mesi (come si vedrà in seguito o rinvio);
d) in concomitanza con il corso di studi per il conseguimento della laurea, dagli studenti regolarmente iscritti all’ultimo anno di giurisprudenza (come si vedrà in seguito o rinvio);
In ogni caso, il tirocinio deve essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all’Ordine o presso l’Avvocatura dello Stato.
Il tirocinio può svolgersi anche presso più di un avvocato?
Il tirocinio può essere svolto anche presso due avvocati contemporaneamente, previa richiesta del praticante e previa autorizzazione del competente Consiglio dell’Ordine, nel caso si possa presumere che la mole di lavoro di uno di essi non sia tale da permettere al praticante una sufficiente offerta formativa.
Tutti gli avvocati possono accogliere un praticante?
L’avvocato c.d. dominus, per poter accogliere un praticante, deve essere iscritto all’albo degli Avvocati da almeno cinque anni e non può consentire a più di tre praticanti di svolgere contemporaneamente il tirocinio presso il suo studio, salva motivata autorizzazione del Consiglio dell’Ordine.
Quali sono i doveri del dominus?
Ai sensi dell’art. 41 Legge professionale (rinvio Normativa), l’avvocato c.d. dominus è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in modo proficuo e dignitoso e non può assumere la funzione, come visto sopra, per più di tre praticanti, salva l’autorizzazione rilasciata dal competente Consiglio dell’Ordine.
Il compito del dominus, pertanto, è quello di insegnare nella maniera più chiara ed esaustiva possibile la realtà della professione e lo svolgimento di questa presso i vari uffici giudiziari, nonché come rapportarsi con gli operatori del diritto (magistrati, cancellieri, ufficiali giudiziari), con i colleghi e con i clienti.
Verranno così insegnati – o perlomeno, ciò è auspicabile – i metodi di redazione degli atti necessari allo svolgimento dell’attività di difesa tecnica, sia stragiudiziale che giudiziale. Inoltre è compito del dominus far comprendere gli adempimenti necessari per lo svolgimento dell’attività in giudizio ed, in tale ambito, rientra la presenza del praticante alle udienze, nonché l’attività di segreteria.
Va precisato che il tirocinio professionale non determina di diritto l’instaurazione di un rapporto di lavoro, subordinato o anche occasionale.
Quanto dura il tirocinio?
(Cfr. art. 4 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016)
Come già previsto nella Legge professionale, il più recente Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016 (rinvio Normativa), conferma che la durata del tirocinio è pari a diciotto mesi (a fronte dei precedenti due anni). Il nuovo Regolamento ministeriale, inoltre, precisa che tale periodo inizia a decorrere dalla data in cui il Consiglio dell’Ordine di riferimento, con propria delibera, si pronuncia positivamente sulla domanda di iscrizione. Il tirocinio deve essere svolto in maniera ininterrotta – salvo le specifiche ipotesi di interruzione motivata, di seguito indicate (rinvio)– con la conseguenza che in caso di interruzione, il periodo già compiuto rimane privo di effetti.
Diviene inoltre obbligatoria, per tutti i diciotto mesi, la frequenza con profitto dei corsi di formazione di cui all’art. 43 Legge professionale.
A quante udienze deve assistere il praticante?
In ogni semestre il praticante deve assistere ad almeno venti udienze, oltre a compiere una proficua attività di studio.
Per ciò che riguarda la presenza del praticante alle udienze, il numero, la frequenza ecc, si rimanda tuttavia ai Regolamenti dei singoli Ordini (nella Sezione Modulistica ne sono riportati alcuni esempi, tratti dai siti istituzionali degli Ordini forensi), i quali possono regolare la materia in maniera differente. Solitamente, tuttavia, è prevista la possibilità di poter partecipare a non più di una udienza al giorno o, comunque, a non più di cinque alla settimana.
Tra le udienze valide ai fini della pratica forense, devono essere escluse quelle di “mero rinvio”, ossia le udienze nelle quali l’attività svolta in aula non prevede alcun tipo di trattazione della causa, ma consiste nella sola richiesta o concessione di un rinvio ad altra data.
Le udienze a cui il praticante assiste – relative ai procedimenti nei quali il suo dominus sia difensore o codifensore – devono essere appuntate nel libretto di pratica consegnato dal Consiglio dell’Ordine al momento dell’iscrizione.
E’ previsto un compenso per il praticante?
Secondo l’art. 41 comma 11 della Legge professionale, negli studi legali privati al praticante è sempre dovuto il rimborso delle spese sostenute per conto dello studio presso il quale svolge il tirocinio.
Ad eccezione che negli enti pubblici e presso l’Avvocatura dello Stato, decorso il primo semestre, con apposito contratto possono essere riconosciuti al praticante avvocato un’indennità o un compenso proporzionati all’attività svolta per conto dello studio e commisurati all’effettivo apporto professionale fornito, tenuto altresì conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio da parte del praticante medesimo.
Gli enti pubblici e l’Avvocatura dello Stato riconoscono al praticante avvocato un rimborso per l’attività svolta, ove previsto dai rispettivi ordinamenti e comunque nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.
La stessa Legge professionale precisa altresì che il tirocinio non è costitutivo di un rapporto di lavoro subordinato, né occasionale tra avvocato dominus e praticante. Tuttavia se il praticante, soprattutto dopo che abbia anche acquisito l’abilitazione, inizia a svolgere una vera e propria attività di collaborazione all’interno dello studio, deve essere giustamente compensato (è quanto prevede il Codice deontologico forense, art. 25 – rinvio Normativa).
Per saperne di più, leggi anche Tirocinio avvocati: chi ha diritto a un compenso?
Che cos’è il libretto della pratica forense?
Ai fini della pratica forense è richiesta al praticante avvocato la compilazione di un libretto che gli viene consegnato al momento dell’iscrizione al registro dei praticanti, presso l’Ordine degli Avvocati del proprio Foro. Il libretto può differire parzialmente, come impostazione, a secondo dall’Ordine di appartenenza, ma è comunque suddiviso in tre semestri, per la durata complessiva di diciotto mesi di pratica. Al termine di ogni semestre è necessario consegnare il libretto, compilato nella relativa parte, all’Ordine degli Avvocati di appartenenza ai fini della sua correzione.
Come si compila il libretto della pratica?
Quanto alla compilazione del libretto, solitamente i singoli Ordini forensi predispongono appositi Regolamenti o Linee guida, a cui pertanto si rimanda.
Tuttavia, in via generale, nella Sezione del libretto dedicata alle udienze, devono essere annotate le udienze a cui il praticante ha preso parte. In particolare, dovranno essere riportati i dati relativi alla causa (Giudice, parti, ecc.) e, sinteticamente, l’attività espletata in udienza. Si ribadisce che non sono ammesse e ritenute valide udienze di mero rinvio.
Nella sezione relativa agli atti processuali, il praticante dovrà annotare alcuni di quelli alla cui redazione ha partecipato, nonché le attività stragiudiziali compiute (in numero variabile a seconda dell’Ordine di appartenenza), avendo cura di garantire la diversificazione della tipologia degli atti.
Nella Sezione dedicata alle questioni giuridiche, il praticante dovrà indicare le questioni che ha avuto modo di studiare ed approfondire nel corso del semestre (anche qui, in numero variabile a seconda dell’Ordine di appartenenza), con indicazione sintetica dell’oggetto e del riferimento normativo. Al termine di ciascun semestre, entro 30 giorni, il libretto debitamente compilato, andrà consegnato per la vidimazione al Consiglio dell’Ordine. Prima del deposito, tuttavia, il libretto dovrà essere controfirmato (per attestazione di veridicità delle annotazioni in esso contenute) dall’avvocato presso il cui studio si svolge la pratica.
Che cos’è la relazione finale?
Al termine del primo anno di tirocinio, il praticante dovrà redigere un’apposita relazione – firmata dall’avvocato presso cui svolge la pratica – in cui illustra sinteticamente le attività svolte ed indicate nel libretto, nonché le questioni di diritto trattate. Anche per tale aspetto si rimanda, tuttavia, ai Regolamenti predisposti dai singoli Ordini forensi.
Quanto alla valutazione circa l’effettivo svolgimento della pratica, alcuni Consigli dell’Ordine ritengono sufficiente la presentazione del libretto, che viene visionato e vistato; altri sottopongono il candidato ad un colloquio orale, vertente in genere sulle attività indicate nel libretto.
In che consiste il colloquio orale di accertamento della pratica?
Il Consiglio dell’Ordine è tenuto a verificare l’effettivo svolgimento della pratica forense al termine di ogni semestre o diversamente, a discrezione di ciascun Ordine. Può decidere di farlo mediante un colloquio del praticante, che avrà presumibilmente ad oggetto: domande di carattere tecnico sulle cause trattate nelle udienze a cui il praticante ha partecipato o relative alle pratiche patrocinate dall’avvocato presso il quale svolge la pratica; domande sugli atti giudiziali e stragiudiziali più rilevanti alla cui predisposizione e redazione il praticante ha preso parte.
Va comunque ribadito che l’esaminatore ha piena discrezionalità in materia e che, anche per tale aspetto, si rimanda alla regolamentazione di ciascun Ordine forense.
Quando può essere conseguita l’abilitazione al patrocinio?
(Cfr. art. 9 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016)
Al raggiungimento dei primi sei mesi di iscrizione al registro dei praticanti (precedentemente, quando la pratica era di due anni, a decorrere dal primo anno di iscrizione) il praticante avvocato ha la possibilità di richiedere al Consiglio dell’Ordine di appartenenza l’abilitazione a poter esercitare l’attività professionale in sostituzione del proprio dominus. La richiesta al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, viene formulata mediante apposito modulo da compilare e presentare presso la segreteria dell’Ordine (ciascun Ordine predispone e pubblica la propria modulistica), nel quale è di regola contenuta una dichiarazione da sottoscrivere, di non incorrere in nessuno dei casi di incompatibilità all’esercizio della professione previsti dalla Legge Professionale, a cui devono allegarsi le attestazioni di pagamento delle dovute tasse e del contributo annuale. Anche in questo caso si rimanda ai Regolamenti dei singoli Consigli dell’Ordine riguardo alla corretta procedura ed ai necessari allegati (Nella Sezione Modulistica sono riportati alcuni esempi di domanda d’iscrizione al registro dei praticanti abilitati, tratti dai siti istituzionali degli Ordini forensi).
Una volta presentata la domanda, il Consiglio, alla prima adunanza utile, provvede a deliberare sulla iscrizione nell’apposito registro dei praticanti abilitati. Da tale giorno inizierà a decorrere l’abilitazione, la quale ha una durata di cinque anni (secondo la disciplina previgente, la durata era di 6 anni).
Va in proposito sottolineato che la nuova regolamentazione (Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016) parla espressamente di “attività professionale in sostituzione” del dominus. Deve pertanto ritenersi che il praticante abilitato, a differenza che nella legislazione previgente, non può più avere cause proprie o essere inserito nel mandato difensivo.
Quali sono le incompatibilità?
Se le incompatibilità tipiche degli avvocati non si estendono ai praticanti “semplici” – i quali, si vedrà meglio in seguito (rinvio), possono svolgere qualsiasi attività lavorativa di carattere subordinato o autonomo, purché venga dichiarata al Consiglio dell’Ordine competente – ciò non vale, invece, per i praticanti abilitati al patrocinio. Per cui, analogamente all’avvocato, l’attività del praticante abilitato è incompatibile con:
– qualunque impiego retribuito (ad eccezione dei professori ed assistenti delle università e dei professori degli istituti secondari dello Stato che insegnino materie giuridiche);
– l’esercizio in nome proprio o altrui di attività di commercio (comprese pertanto la qualità di socio delle società di persone e le cariche di amministratore delle persone giuridiche);
– la professione di notaio, di giornalista professionista, di mediatore, di agente di cambio.
Per cui si può affermare che l’iscrizione nel registro dei praticanti abilitati al patrocinio – così come l’iscrizione all’Albo degli Avvocati – deve ritenersi incompatibile con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario limitato, mentre non si ritiene preclusa la possibilità di svolgere attività di docenza in corsi di formazione professionale, giacché tale tipo di attività risulta essere esercitata come attività di lavoro autonomo con carattere di occasionalità e non di periodicità. E’ consigliabile farne comunque menzione nella domanda di iscrizione.
Se dopo aver ottenuto l’abilitazione al patrocinio sostitutivo insorgono condizioni di incompatibilità, il praticante deve informarne subito il Consiglio dell’Ordine e chiedere, eventualmente, la cancellazione dall’elenco dei praticanti abilitati. In tal caso, tuttavia, egli può continuare a rimanere iscritto nel registro dei praticanti (semplici).
Cosa può fare il praticante abilitato?
Il praticante abilitato può svolgere attività di consulenza ed assistenza, sia giudiziale che stragiudiziale (si ribadisce, in sostituzione del proprio dominus) con i limiti individuati dall’art. 7 Legge 479/1999 (rinvio Normativa), tutt’ora in vigore anche dopo la riforma. In particolare, il praticante abilitato al patrocinio può esercitare attività professionale:
1) affari civili
– nelle cause davanti al Giudice di pace;
– davanti al Tribunale in composizione monocratica: nelle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore ad € 25.822,84; nelle cause per azioni possessorie, salvo il disposto dell’art. 668 secondo comma c.p.c.;
– nelle cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e a quelle di affitto di aziende, in quanto non siano di competenze delle sezioni specializzate agrarie;
2) affari penali
– nella cause per i reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva;
– nelle cause per i seguenti reati: violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 primo comma c.p.); resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.); oltraggio a un magistrato in udienza aggravato (art. 343 secondo comma c.p.); violazione di sigilli aggravata (art. 349 secondo comma c.p.); favoreggiamento reale (art. 379 c.p.); maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli (quando non ricorra l’aggravante previsto dall’art. 572 secondo comma c.p.); rissa aggravata (art. 588 secondo comma c.p., con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime); omicidio colposo (art. 589 c.p.); violazione di domicilio aggravata (art. 614 quarto comma c.p.); furto aggravato (art. 625 c.p.); truffa aggravata (art. 640 secondo comma c.p.); ricettazione (art. 648 c.p.);
3) lavoro e previdenza, procedure esecutive mobiliari:
– nelle cause entro il limite di valore di € 25.822,64.
Infine, il praticante abilitato non può patrocinare nelle cause davanti al Tribunale in composizione collegiale, al Tribunale per Minorenni, al TAR, al Consiglio di Stato, alla Commissione Tributaria, né nelle procedure esecutive immobiliari. Non può inoltre difendersi personalmente davanti al Consiglio nazionale forense.
Per saperne di più, leggi anche Praticante avvocato: l’abilitazione al patrocinio, tra vecchia e nuova normativa
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Cosa succede, in caso di mancato rispetto della competenza del praticante abilitato?
L’esercizio di funzioni improprie da parte del praticante abilitato può comportare l’accusa di esercizio abusivo della professione di avvocato, oltre che la nullità degli atti giudiziari eventualmente redatti.
E’ possibile anticipare il tirocinio forense durante l’università?
A partire dall’anno accademico 2017/2018 è possibile, per coloro che frequentano l’ultimo anno di giurisprudenza, anticipare di sei mesi il tirocinio per l’accesso alla professione di avvocato.
E’ questo, in sintesi, il contenuto della Convenzione quadro siglata il 24 febbraio 2017, tra il Consiglio nazionale forense e la Conferenza dei direttori di Giurisprudenza e Scienze giuridiche (rinvio Normativa), ai sensi dell’art. 40 Legge n. 247/2012 e dell’art. 5 Decreto del Ministero della Giustizia n. 70 del 17 marzo 2016.
Con il presente accordo, in particolare, si intende dare seguito ed attuazione alla previsione, di cui già alla Legge professionale, per cui è possibile anticipare di un semestre la pratica forense in costanza dell’ultimo anno del corso di laurea in Giurisprudenza (Classe delle lauree magistrali in Giurisprudenza LMG-01). Anticipazione che potrà effettivamente scattare solo quando i singoli Consigli degli Ordini territoriali avranno stipulato apposite convenzioni con le locali facoltà di Giurisprudenza (nella Sezione ? vi sono alcuni esempi di Convenzioni tra gli Ordini e le locali facoltà di Giurisprudenza).
Tali convenzioni, in ogni caso, dovranno prevedere modalità di svolgimento del tirocinio idonee a garantire sia la frequenza proficua dei corsi e la conclusione degli studi universitari, sia l’effettiva frequenza allo studio legale per almeno dodici ore settimanali. Viene altresì puntualizzato che l’esecuzione del semestre di tirocinio anticipato non esonera il praticante dall’obbligo di frequentare i corsi di formazione, ex art. 43 Legge professionale.
Quali sono i requisiti per essere ammessi ad anticipare il primo semestre di tirocinio?
(Cfr. art. 5 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016)
Il Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016, art. 5, delinea i seguenti requisiti, per poter anticipare la pratica forense in costanza dell’ultimo anno di università:
– essere in regola con lo svolgimento degli esami di profitto del corso di laurea in Giurisprudenza;
– avere ottenuto il riconoscimento dei crediti nelle seguenti materie: diritto civile, diritto processuale civile, diritto penale, diritto processuale penale, diritto amministrativo, diritto costituzionale, diritto dell’Unione europea.
Laddove la laurea non sia conseguita nei due anni successivi alla durata legale del corso, il praticante/studente ha la possibilità di domandare la sospensione, per massimo sei mesi, del tirocinio. Superato tale termine senza che il tirocinio sia ripreso, è prevista la cancellazione dal registro dei praticanti ed il periodo già compiuto rimane privo di effetti. Quest’ultima conseguenza si verifica anche nel caso in cui il praticante, pur avendo conseguito il diploma di laurea, non provvede, nei sessanta giorni successivi, a confermare l’scrizione nei registro dei praticanti.
Come si presenta la domanda per anticipare un semestre di tirocinio?
La domanda d’iscrizione nel registro dei praticanti avvocati può essere presentata dallo studente al Consiglio dell’Ordine con il quale la propria università abbia stipulato apposita convenzione, in cui risulta essere iscritto l’avvocato presso cui intende svolgere la pratica. Nella stessa domanda sarà indicato anche un tutor accademico, scelto tra i docenti e gli assegnisti di ricerca dell’università, in base a quanto previsto dalla specifica convenzione. Occorrerà altresì allegare un’autocertificazione attestante il possesso dei requisiti suindicati ed un progetto formativo che illustri gli obiettivi e le attività del semestre di tirocinio anticipato. Si rimanda tuttavia, nei dettagli, alla modulistica eventualmente predisposta dai singoli Ordini ed alle Convenzioni stipulate fra gli stessi e le locali facoltà di Giurisprudenza, le quali potranno prescrivere particolari criteri di redazione del progetto formativo (nella Sezione Modulistica si riportano alcuni esempi di domanda d’iscrizione anticipata tratti dai siti istituzionali degli Ordini forensi).
Come si svolge il semestre di tirocinio anticipato?
Il semestre di tirocinio anticipato dovrà svolgersi in modo tale da assicurare sia la prosecuzione del percorso di studi sia l’effettiva frequenza dello studio legale (per quest’ultimo è prevista una presenza minima settimanale di almeno 12 ore). Lo studente praticante, nel corso di tale semestre anticipato, non è esentato dagli obblighi di frequenza dei corsi di formazione per l’accesso alla professione, né dal rispetto degli stessi doveri e delle norme deontologiche degli avvocati.
Il professionista presso il quale si svolge il tirocinio deve garantire, sotto la vigilanza del Consiglio dell’Ordine, l’effettivo carattere formativo del tirocinio, favorendo in particolare la partecipazione dello studente praticante alle udienze, alla redazione degli atti ed alle ricerche funzionali allo studio delle controversie. Il numero minimo di udienze cui il tirocinante deve assistere nel corso del proprio semestre anticipato è ridotto a 12 (in luogo delle 20 udienze minime semestrali per i praticanti già laureati). Il professionista dominus ed il tutor accademico possono, di comune accordo, individuare specifiche materie o questioni sulle quali lo studente tirocinante potrà effettuare approfondimenti e ricerche, anche ai fini dell’elaborazione della tesi di laurea. Al termine del semestre anticipato, lo studente praticante è tenuto a redigere una relazione finale dettagliata delle attività svolte, da depositare presso il proprio Consiglio dell’Ordine. Quest’ultimo, a sua volta, rilascerà un attestato finale, a meno che, da proprie verifiche, non emergano risultati insufficienti. Per i dettagli, tuttavia, si rimanda anche qui alle Convenzioni eventualmente stipulate tra i singoli Ordini forensi e le università locali.
Come anticipato, si ribadisce che nei casi in cui lo studente praticante non consegua la laurea in giurisprudenza entro i due anni successivi alla durata legale del corso, può chiedere la sospensione del tirocinio per un periodo massimo di sei mesi, superato il quale, se non riprende, è cancellato dal registro dei praticanti ed il periodo di tirocinio compiuto rimane privo di effetti. Così come rimane privo di effetti anche quando il praticante, pur avendo conseguito la laurea, non provvede entro sessanta giorni a confermare l’iscrizione nel registro dei praticanti.
E’ possibile sostituire la pratica forense, con la frequenza di una scuola di formazione/specializzazione?
Oltre che presso uno studio legale, il tirocinio può avvenire anche attraverso la frequenza di una scuola di formazione per l’accesso alle professioni legali, sebbene limitatamente a dodici mesi e fermo restando, dunque, l’obbligo di un semestre di pratica effettiva e continuativa presso un avvocato iscritto all’albo o presso l’Avvocatura dello Stato. In tal senso, l’art. 41 della Legge professionale.
Occorre precisare, tuttavia, che esistono due tipologie differenti di scuole, con diversa valenza ai fini del conseguimento della compiuta pratica: una è la scuola di formazione per l’accesso alla professione di avvocato (scuola forense) e l’altra è la scuola di specializzazione per le professioni legali (SSPL)
Scuola di formazione per l’accesso alla professione di avvocato (scuola forense)
Può essere frequentata parallelamente alla pratica vera e propria e non è sostitutiva di questa. E’ solitamente tenuta dai Consigli degli Ordini, ovvero da associazioni forensi o altri istituti ed enti ritenuti idonei dal Consiglio Nazionale Forense. I corsi hanno una durata non inferiore a centosessanta ore di formazione e sono svolti, in ogni caso, in modo tale da permettere ai praticanti il regolare svolgimento del tirocinio presso gli studi.
La finalità di questi corsi è quella di integrare la pratica forense, con l’intento di fornire ai praticati una maggiore acquisizione degli elementi formativi e delle nozioni tecniche necessarie all’idoneo esercizio della professione, mediante insegnamenti in ambito civile, penale ed amministrativo.
Detta scuola ha inoltre lo specifico compito di preparare i praticanti allo svolgimento dell’esame di abilitazione, insegnando loro le tecniche di redazione di pareri stragiudiziali ed atti giudiziari, nonché le tecniche di ricerca giurisprudenziale.
Scuola di specializzazione per professioni legali (SSPL)
A differenza della scuola forense, prevedendo una regolare frequenza obbligatoria alle lezioni, va sostituirsi ad un periodo di pratica presso uno studio legale pari ad un anno. Questa scuola post-universitaria, istituita presso le facoltà universitarie di giurisprudenza, sia pubbliche che private, si propone di offrire ai laureati in giurisprudenza un percorso formativo specificatamente indirizzato verso le attività di avvocato, magistrato e notaio.
La durata delle scuole di specializzazione è fissata in due anni, con lo svolgimento di almeno cinquecento ore di lezione, la cui frequenza, come detto, è obbligatoria al fine di poter conseguire il diploma valevole quale esonero di un intero anno di pratica.
Per poter essere ammessi alla frequentazione, dato il numero chiuso delle iscrizioni, si deve solitamente sostenere un apposito esame di ammissione.
Il praticante avvocato che ha frequentato con profitto la scuola di specializzazione e ne ha conseguito il diploma, si trova pertanto esonerato, si è detto, dalla frequentazione dello studio legale e dalle udienze per la durata di un anno. Per poterne usufruire, deve rendere noto il conseguimento del diploma al Consiglio dell’Ordine dove è iscritto, dichiarando il periodo per il quale intende avvalersi dell’esonero; periodo che non potrà essergli dunque eccepito come interruzione della pratica forense.
E’ possibile interrompere il tirocinio forense?
(Cfr. art. 7 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016)
Nonostante la regola generale prescriva la continuità del tirocinio, in alcuni casi eccezionali – ai sensi dell’art. 7 Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016 – l’interruzione è ammissibile. In particolare, l’interruzione per un periodo pari o superiore a sei mesi può essere giustificata in presenza di motivi di salute accertati, in caso di maternità, paternità o adozione, in caso di malattia di prossimi congiunti o del coniuge che ne abbiano determinato la totale mancanza di autosufficienza o, infine, laddove il dominus sia stato colpito da sanzioni disciplinari interdittive. L’interruzione per un periodo di tempo inferiore, invece, non è vincolata alla sussistenza di cause predefinite ma può essere giustificata in presenza di motivi di carattere personale, purché comprovati.
Generalmente è Consiglio dell’Ordine territorialmente competente a pronunciarsi sulla domanda di interruzione presentata dall’interessato, potendo anche rigettarla (dopo averlo debitamente sentito) se ritenuta infondata o non dimostrata.
E’ possibile lavorare e svolgere contemporaneamente il tirocinio forense?
(Cfr. art. 2 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016)
Come previsto dal Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016, art. 2, il praticante ha la possibilità di svolgere attività lavorativa, sia autonoma che subordinato, purché lo comunichi preventivamente al Consiglio dell’Ordine competente, avendo cura di indicare gli orari e le modalità di svolgimento dell’attività medesima.
Il Consiglio dell’Ordine ha comunque la possibilità di negare l’iscrizione nel registro dei praticanti o di disporre la cancellazione dallo stesso (qualora l’impiego abbia avuto inizio in costanza di tirocinio), nel caso in cui accerti la sussistenza di un conflitto di interesse o se lo svolgimento del lavoro avvenga con modalità ed orari tali da non consentire l’effettiva e puntuale partecipazione al tirocinio.
Stesso discorso, si è detto, non vale invece per i praticanti abilitati, per la cui attività professionale valgono le stesse incompatibilità previste per gli avvocati iscritti all’albo, compresa l’impossibilità di svolgere qualsivoglia attività di lavoro subordinato, anche se ad orario limitato (vedi sopra).
Il tirocinio può essere svolto anche all’estero?
(Cfr. art. 6 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016)
Ai sensi del Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016, art. 6, un semestre di pratica può essere svolto anche presso un qualsiasi altro Stato dell’Unione Europea.
A tal fine, il tirocinante dovrà effettuare una puntuale preventiva comunicazione al Consiglio dell’Ordine, precisando i riferimenti del professionista presso cui andrà a svolgere il tirocinio – il quale è tenuto a prestare il suo consenso scritto – nonché l’equivalenza della qualifica del legale straniero ospitante al titolo di avvocato, in conformità alla disciplina sul riconoscimento dei titoli professionali.
Una volta completato il semestre all’estero, il praticante deve consegnare al Consiglio dell’Ordine la documentazione atta a certificare l’effettivo svolgimento del tirocinio secondo le modalità previste dal paese ospitante ed una dichiarazione con la quale il professionista straniero attesta che il periodo di pratica si è compiuto con profitto. Detta documentazione è redatta in originale nella lingua dello Stato in cui si è svolta la pratica, accompagnata dalla traduzione in italiano.
Sulla base di tale documentazione il Consiglio convalida il semestre o non lo riconosce, con delibera motivata. In ogni caso anche in tale ambito, per maggiori dettagli, si rimanda a quanto previsto nei Regolamenti dei singoli Ordini forensi.
Si può svolgere il tirocinio presso gli uffici giudiziari, con valore sostitutivo della pratica forense?
Sì, si tratta di una possibilità prevista dalla Legge professionale, all’art. 44, il quale prevede che “L’attività di praticantato presso gli uffici giudiziari è disciplinata da apposito regolamento da emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il CNF”.
A tal proposito, è stato emanato il Decreto del Ministero della Giustizia 17 marzo 2016, n. 58 (rinvio Normativa), che disciplina per l’appunto l’attività di praticantato del tirocinante avvocato presso i seguenti uffici giudiziari:
la Corte di Cassazione, la Procura generale presso la Corte di Cassazione, le Corti di appello, le Procure generali presso le Corti di appello, i Tribunali ordinari, gli uffici e i Tribunali di sorveglianza, i Tribunali per i minorenni, le Procure della Repubblica presso i tribunali ordinari e presso i Tribunali per i minorenni, la Corte dei conti, la Procura generale presso la Corte dei conti, le Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti, le Commissioni tributarie nonché il Consiglio di Stato ed i Tribunali amministrativi regionali.
I tirocini interessati dalla nuova disciplina, sono quelli che hanno avuto inizio dopo l’entrata in vigore del suddetto Decreto (ossia dal 17 maggio 2016).
I destinatari di detto strumento alternativo alla tradizionale pratica forense, sono tutti i praticanti avvocati interessati all’affiancamento di un magistrato che, al momento della presentazione della domanda:
– siano iscritti nel registro dei praticanti;
– non abbiano riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni, né siano stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza;
– abbiano già svolto sei mesi di tirocinio presso un avvocato iscritto all’Ordine o presso l’Avvocatura dello Stato.
Per saperne di più, leggi anche Esame Avvocato e Tirocinio Uffici Giudiziari: quando è nulla la pratica forense?
Come si presenta la domanda di partecipazione al tirocinio presso gli uffici giudiziari?
La domanda di partecipazione, redatta su un supporto analogico o digitale, va solitamente indirizzata al capo dell’ufficio e consegnata alla segreteria dell’ufficio giudiziario in cui si vuole svolgere il praticantato. Nella domanda, l’aspirante avvocato può indicare delle preferenze sulle materie ai fini dello svolgimento dell’attività di praticantato, oltre agli ulteriori seguenti elementi:
– punteggio di laurea;
– possesso dei requisiti richiesti;
– i dati relativi all’avvocato presso il quale il praticante ha già svolto il periodo di tirocinio di cui all’articolo 41, comma 7;
– ogni altro requisito ritenuto rilevante;
– la media riportata negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo.
Per ulteriori dettagli, si rimanda tuttavia alla modulistica eventualmente predisposta da ciascun Ordine forense ed ai relativi Regolamenti stipulati tra l’Ordine medesimo e i locali uffici giudiziari (nella Sezione Modulistica si riportano alcuni esempi di domanda di tirocinio presso gli uffici giudiziari, tratti dai siti istituzionali degli Ordini forensi)
Dopo che la domanda verrà accolta, il capo dell’ufficio darà comunicazione della data di inizio del tirocinio al Consiglio dell’Ordine in cui è iscritto il praticante.
Di norma, ciascun giudice può prendere in affidamento massimo 2 praticanti contemporaneamente, per cui se le domande di partecipazione presentate dovessero superare la disponibilità dell’ufficio giudiziario, questo riconoscerà preferenza ai praticanti con una media di voti più alta, un voto di laurea superiore ed una minore età anagrafica.
Come si svolge il praticantato negli uffici giudiziari?
Durante il praticantato presso gli uffici giudiziari, l’aspirante avvocato assisterà e coadiuverà il magistrato affidatario anche in udienza e sarà chiamato a svolgere attività come lo studio dei fascicoli, l’approfondimento giurisprudenziale, dottrinale, la predisposizione delle minute dei provvedimenti. Per consentirgli di completare il suo percorso formativo, al tirocinante viene data anche la possibilità di apprendere le modalità di svolgimento dei servizi amministrativi da parte del personale di cancelleria.
Contestualmente allo svolgimento del tirocinio presso gli uffici giudiziari, il praticante potrà svolgere attività di lavoro subordinato, pubblico o privato, nonché continuare a frequentare lo studio professionale di un avvocato iscritto all’Ordine, l’Avvocatura dello Stato o l’ufficio legale di un ente pubblico, purché con modalità ed orari idonei a consentire l’effettivo e puntuale svolgimento del tirocinio presso gli uffici giudiziari.
Al fine di assicurare il coordinamento tra l’attività di pratica ed il tirocinio in questione, i capi degli uffici giudiziari, solitamente, elaborano d’intesa con il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, un progetto formativo cui deve conformarsi l’attività del praticante avvocato. A tal proposito si rimanda alle Convenzioni tra i singoli Ordini forensi e gli uffici giudiziari locali (nella Sezione ? sono riportate, a titolo esemplificativo, alcune di tali Convenzioni).
Lo svolgimento del tirocinio, infine, non dà diritto ad alcun compenso e non determina il sorgere di alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo, né di obblighi previdenziali e assicurativi.
Durante la pratica è possibile trasferirsi presso un altro ordine forense?
Sì. Nel caso in cui il praticante, durante il tirocinio, si trasferisca presso un’altra località e sia intenzionato a proseguire il proprio tirocinio presso il competente Ordine territoriale, deve provvedere a fare domanda di trasferimento al nuovo Ordine e, nel contempo, il vecchio Ordine provvederà ad emettere una certificazione attestante la durata del tirocinio sinora svolto o, se già completato, la certificazione di compiuta pratica. Anche in tale ambito, si rimanda alla modulistica predisposta da ciascun Ordine forense (nella Sezione Modulistica sono disponibili alcuni esempi di domanda di trasferimento, tratti dai siti istituzionali degli Ordini forensi).
Quando viene rilasciato il certificato di compiuta pratica?
Al compimento dei diciotto mesi di pratica, ovvero alla conclusione della scuola di specializzazione per le professioni legali, il praticante, se ha compiuto tutte le necessarie formalità previste dal regolamento sulla pratica emanato dal proprio Ordine di appartenenza, può richiedere al Consiglio dell’Ordine il rilascio del certificato di compiuto pratica, che risulta necessario per l’iscrizione all’esame di stato. Anche in tal caso, si rimanda alla regolamentazione di ciascun ordine, che può contemplare una determinata spesa al ritiro del certificato (Nella Sezione Modulistica sono disponibili alcuni esempi di domanda per il rilascio del certificato di compiuta pratica, tratti dai siti istituzionali degli Ordini forensi).
Dove si sostiene l’esame di Stato?
Concluso il periodo di tirocinio, il praticante deve affrontare l’esame di Stato, necessario per poter acquisire il titolo di avvocato. L’esame si svolge tutti gli anni intorno a metà dicembre, presso ogni sede di Corte d’appello. L’aspirante avvocato lo andrà a sostenere nel distretto della Corte d’appello ove risulta iscritto nel registro dei praticanti (per eventuali approfondimenti sull’esame di stato, si rimanda all’apposita Sezione).
Nel caso in cui egli avesse svolto la pratica forense in luoghi diversi, il praticante è ammesso a sostenere l’esame presso la sede di Corte d’appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. E qualora i periodi di pratica presso luoghi diversi siano di pari durata, la sede ove andrà a svolgere l’esame sarà quella relativa al distretto della Corte d’appello ove ha avuto inizio il tirocinio.
Quali sono i requisiti per essere ammessi a sostenere l’esame di Stato?
Per essere ammessi a sostenere l’esame è necessario, oltre a possedere requisiti di moralità e condotta, aver compiuto il periodo di pratica forense nei termini e con le modalità sopra descritte. Precedentemente, è necessario aver conseguito la laurea in giurisprudenza e non sono ammesse altre lauree equipollenti. Attualmente il percorso di studi prevede la cosiddetta “laurea magistrale”, ossia un corso della durata di cinque anni.
Come e quando presentare la domanda per l’esame di Stato?
Per potersi iscrivere all’esame occorre essere in possesso, innanzitutto, del certificato di compiuta pratica.
Alcuni mesi prima rispetto alla data d’esame, il Ministero della Giustizia pubblica il bando con cui indice la sessione di esami per l’anno in corso.
Nella scorsa edizione, ad esempio, il Decreto del 19 luglio 2017 con cui il Ministero della Giustizia ha indetto la sessione di esami per l’anno 2017, prevedeva l’inoltro della domanda di partecipazione all’esame, pena l’irricevibilità della stessa, esclusivamente per via telematica entro il 13 novembre 2017, mediante previa registrazione al sito del Ministero della Giustizia (con rilascio di credenziali personali) e compilazione di un apposito modulo (Form) a disposizione nel medesimo sito, in cui andava anche indicata precisamente la Corte d’appello a cui era rivolta la domanda ed il Consiglio dell’Ordine degli avvocati certificante il compimento della pratica.
Per l’ammissione all’esame, come tutti gli anni, è stato altresì contemplato il versamento di una tassa da parte del candidato (per il 2017, di euro 12,91), nonché di un contributo spese (per il 2017 di 50,00 euro).
Il praticante deve iscriversi alla Cassa forense?
Come precisa la stessa Cassa di previdenza e assistenza forense, l’iscrizione alla Cassa è facoltativa per gli iscritti nel registro dei praticanti. Non vi è pertanto alcun obbligo in tal senso da parte del praticante, ancorché abilitato.
Nel caso in cui, tuttavia, il praticante optasse per l’iscrizione alla Cassa, la richiesta potrà riguardare tutti gli anni di iscrizione nel registro dei praticanti, a partire da quello del conseguimento del diploma di Laurea (iscrizione retroattiva), ad eccezione di quelli in cui il praticante abbia, per più di sei mesi, svolto il tirocinio contestualmente ad attività di lavoro subordinato. In tale ipotesi (iscrizione retroattiva), a pena di decadenza dall’iscrizione, l’interessato dovrà procedere al pagamento dei contributi dovuti per gli anni oggetto di iscrizione, in unica soluzione entro sei mesi dalla comunicazione della Cassa o in via rateale in tre anni.
Per l’iscrizione del praticante, è disponibile nel sito della stessa Cassa forense, un apposito modulo (http://www.cassaforense.it/media/4446/domandaiscrizione-praticante.pdf) da compilare ed inoltrare nei seguenti modi: a mezzo Pec (istituzionale@cert.cassaforense.it); per raccomandata A/R.
E’ prevista, dunque, solo un’iscrizione facoltativa da parte del praticante avvocato, anche abilitato, alla Cassa forense (o in alternativa alla Gestione separata Inps), in quanto nella generalità dei casi si presume che egli non svolga un’attività professionale retribuita.
L’obbligo di iscriversi a una determinata gestione previdenziale sorge, invece, se il tirocinante svolge un’attività di lavoro autonomo retribuito. In questa ipotesi, difatti, gli obblighi contributivi si differenziano a seconda che il praticante sia abilitato (nel qual caso può optare per l’iscrizione alla Cassa forense) o meno (in questo caso deve versare i contributi alla Gestione separata Inps).
Domanda di iscrizione alla Cassa forense per praticante avvocato
Domanda di cancellazione alla Cassa forense per praticante avvocato
Cosa succede se il praticante abilitato che svolge lavoro autonomo retribuito, non si iscrive ad alcuna Cassa previdenziale?
In detta ipotesi, potrebbe arrivare un accertamento basato sul reddito, da parte dell’Inps, con cui si richiede di versare i contributi alla Gestione separata.
Situazione a cui, tuttavia, il praticante può ovviare optando per una iscrizione tardiva alla Cassa forense, che può essere esercitata con efficacia retroattiva anche dopo aver ottenuto l’accertamento dall’Inps (che dovrà in tal caso essere annullato).
Il praticante avvocato è tenuto a frequentare corsi di formazione?
Contestualmente alla pratica legale, ed in aggiunta ad essa, il praticante dovrà seguire con profitto dei corsi di formazione per un periodo non inferiore a 18 mesi, tenuti da Ordini ed associazioni forensi, nonché dagli altri soggetti previsti dalla legge. La frequenza di detti corsi è quindi obbligatoria ai sensi dell’art. 3 Decreto Ministero della Giustizia n. 70/2016 e dell’art. 43 Legge professionale. A tal proposito si segnala la recente pubblicazione, in data 16 marzo 2018, del Decreto del Ministero della Giustizia n. 17/2018, che disciplina, nel dettaglio, le modalità di istituzione e frequenza dei corsi di formazione per l’accesso alla professione forense.
Per saperne di più, leggi anche Corsi di formazione durante la pratica forense
Scheda esplicativa del Ministero della Giustizia