Il fatto
Il Tribunale di Arezzo, in funzione di giudice dell’esecuzione, in parziale accoglimento dell’istanza di una revoca della confisca, riduceva l’importo della somma oggetto di confisca per equivalente disposta con decreto emesso dal Tribunale di Arezzo.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione l’istante, per il tramite del suo difensore, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis censurando il ricorrente il fatto che, nell’ordinanza impugnata, era stata disposta la confisca di una somma pari al profitto del reato tributario seppur prevedendosi una decurtazione di detto importo e nonostante l’intervenuto pagamento del debito d’imposta, di sanzioni ed interessi a seguito di adesione intervenuta in data 24/11/2011 – per effetto della quale l’imposta dovuta per l’anno 2007 veniva determinata in 157.762 Euro mentre l’iva veniva riconosciuta come non dovuta per difetto di territorialità dell’operazione – considerando che l’ammontare oggetto di adesione, pari a Euro 439.092,01, era stato integralmente pagato, come ad attestazione allegata al ricorso; oltre a ciò, veniva osservato, in relazione all’interpretazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2, che: a) si doveva attribuire rilevanza alla quantificazione del profitto del reato operata in sede amministrativa al fine di escludere la confiscabilità di tale profitto anche laddove fosse stato divergente rispetto a quella acquisita in sede penale in ragione dell’intervenuto accordo tra il contribuente e l’Agenzia delle entrate; b) in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria e di correlato provvedimento di sgravio da parte dell’amministrazione finanziaria, non potrebbe disporsi la confisca, anche per equivalente, del profitto; c) essendo la confisca del profitto dei reati tributari disposta a garanzia della pretesa tributaria, essa non potrebbe disporsi laddove non vi sia più la pretesa tributaria atteso che, ad avviso del ricorrente, il giudice penale ben potrebbe giungere ad una diversa quantificazione dell’imposta evasa in relazione a diversi fini (valutazione degli elementi costitutivi del reato, verifica del superamento della soglia di punibilità, determinazione della pena da irrogare) ma non può disporre la confisca laddove l’Erario abbia già riscosso quanto preteso dal contribuente, anche se questi ha operato il pagamento per un importo inferiore a quello accertato in sede penale tenuto conto altresì del fatto che, nella vicenda in esame, chiarito che l’adesione è intervenuta il 24/01/2011, quindi prima del passaggio in giudicato della sentenza (il 23/02/2011), si assumeva che, fermo restando gli effetti che derivano dalla sentenza di condanna, non avrebbe dovuto disporsi confisca per equivalente del profitto del reato sia perché tale profitto fu calcolato in maniera errata nel PVC, sia perché non sussisterebbe più a seguito del versamento delle somme dovute da parte del contribuente mentre la circostanza che il Tribunale abbia decurtato dalla somma confiscata l’importo di Euro 157.762,00, pagato nell’ambito del procedimento con adesione, avrebbe dimostrato che la confisca disposta in sede esecutiva ben avrebbe potuto tener conto dei fatti sopravvenuti quali il pagamento del debito tributario; 2) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 2 c.p., comma 2, dato che, essendo l’art. 12-bis stato introdotto nel 2015, avrebbe dovuto trovare piena applicazione alla misura della confisca, disposta nel 2018, ai sensi dell’art. 2 c.p., norma applicabile avendo la confisca per equivalente natura sanzionatoria; 3) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione di legge, con riferimento all’esistenza del giudicato sull’imposta evasa in quanto, a detta del ricorrente, nel caso di specie, il giudicato penale non avrebbe coperto la quantificazione dell’imposta evasa essendosi la sentenza di patteggiamento limitata a rinviare alla formulazione del capo d’imputazione e alla quantificazione dei tributi evasi svolta sulla base del PVC da ritenersi “precario“, come sostenuto dagli stessi verbalizzanti, perché non si era tenuto conto dei costi sostenuti dalla D. C. Ltd. per l’acquisto della merce poi venduta in evasione d’imposta; difatti, a seguito della trasmissione del PVC, l’Agenzia delle Entrate aveva rideterminato il reddito tassabile in base ai costi sostenuti per l’acquisto della merce con riduzione, per l’effetto, delle imposte (Ires evasa Euro 242.711,00 e Iva evasa 735.488,83) mentre successivamente, su proposizione dell’eccezione di non debenza dell’Iva da parte della società per difetto di territorialità, l’IVA era stata riconosciuta come non dovuta e veniva altresì rideterminato, con procedimento di accertamento con adesione, l’importo l’Ires, oltre interessi e sanzioni, in complessivi Euro 439.092,01; pertanto, ad avviso dell’impugnante, la valutazione del profitto operata dall’Agenzia delle Entrate sarebbe stata idonea a superare, in ordine all’accertamento dell’entità del profitto, l’accertamento sommario effettuato dal giudice penale; 4) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine alla violazione del principio del ne bis in idem in quanto, stante la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, per la difesa, essa, se applicata nel caso in esame, sarebbe stata vessatoria perché non avrebbe tenuto conto dell’intervenuto pagamento del debito tributario comprensivo di interessi e sanzioni.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Il ricorso veniva reputato fondato per i seguenti motivi.
Dopo aver ricostruito la vicenda processuale in oggetto, gli Ermellini, difatti, osservavano come, pur prescindendo della correttezza giuridica delle argomentazioni sviluppate nell’ordinanza impugnata secondo cui – in estrema sintesi – il giudicato è totalmente impermeabile agli accertamenti in sede amministrativa nel particolare caso in cui la confisca non sia stata disposta con la sentenza di condanna o di patteggiamento, dette argomentazioni – ad avviso del Supremo Consesso, poggiavano su un dato fattuale travisato perché l’accertamento con adesione e il relativo pagamento del dovuto si è perfezionato in data 24/11/2011: prima del passaggio in giudicato di entrambe le sentenze e ciò, sempre secondo il Supremo Consesso, mina alla radice la motivazione della sentenza impugnata la quale, nell’affermare l’assoluta impermeabilità del giudicato penale rispetto ai provvedimenti emessi in sede tributaria, aveva omesso di considerare che il pagamento di quanto dovuto dal contribuente a seguito di adesione era avvenuto prima del passaggio in giudicato delle due sentenze ex art. 444 c.p.p. che avevano omesso ogni statuizione in ordine alla confisca.
Tal che se ne faceva discendere che, in sede di determinazione del profitto confiscabile, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto necessariamente considerare l’avvenuto pagamento dell’imposta a seguito di accordo con l’amministrazione finanziaria e ciò in quanto, come a più riprese affermato dalla Corte di legittimità, la previsione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, secondo la quale la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro“, si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, transazione fiscale, attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda) (Sez. 3, n. 42470 del 13/07/2016; Sez. 3, n. 28225).
Difatti, se è vero che il giudice, nella determinazione del profitto confiscabile, non è vincolato all’imposta risultante a seguito dell’accertamento con adesione o del concordato fiscale tra l’amministrazione finanziaria ed il contribuente, è altrettanto vero che, per potersi discostare dal dato quantitativo convenzionalmente accertato e tener invece conto dell’iniziale pretesa tributaria dell’Erario, occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’originaria quantificazione dell’imposta dovuta (Sez. 3, n. 29091 del 04/04/2019).
Da ciò se ne faceva conseguire l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Arezzo per nuovo esame.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui viene affermato che la previsione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, secondo la quale la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro“, si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, transazione fiscale, attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda) posto che, per potersi discostare dal dato quantitativo convenzionalmente accertato e tener invece conto dell’iniziale pretesa tributaria dell’Erario, occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’originaria quantificazione dell’imposta dovuta.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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